A Berna si parla poco italiano

Berna ha un compito: l’Amministrazione federale deve rappresentare adeguatamente tutte le comunità linguistiche e, dunque, deve parlare anche italiano. Lo indica la legge ed è scritto a chiare lettere in un documento dell’Ufficio federale del personale sui «Valori di riferimento strategici per la gestione del personale dell’Amministrazione federale per il periodo 2024-2027». Per l’italiano, la quota può variare dal 6,5% all’8,5%.
Ma, oggi, qual è la situazione? «C’è ancora parecchio da fare, soprattutto in alcuni dipartimenti», critica la consigliera nazionale Greta Gysin (Verdi), presidente della Deputazione ticinese alle Camere federali, aggiungendo che in molti casi non viene raggiunto l’obiettivo.
I servizi di Parmelin in fondo
Andando ad analizzare i dati forniti dall’Amministrazione, emerge che tra il 2020 e il 2024 la quota di italofoni (come prima lingua) è passata dal 6,6% al 7,0%. Tale percentuale supera così le esigenze minime del 6,5%.
Le cose cambiano però quando si spulciano i dati relativi ai singoli dipartimenti. Al Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR), guidato da Guy Parmelin, la quota di italofoni raggiunge solo il 4,7%. È il dato peggiore dell’intera Amministrazione. Segue il Dipartimento federale dell’interno (DFI) di Elisabeth Baume-Schneider con il 5,3% e il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) di Beat Jans con il 5,9%.
Anche i servizi del ticinese Ignazio Cassis (Dipartimento federale degli affari esteri, DFAE) non raggiungono il mimino auspicato: la quota di italofoni (seppur in aumento rispetto agli anni precedenti) si ferma al 6,4%. Al di sopra della sufficienza ci sono dunque solo tre dipartimenti: il Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC) di Albert Rösti (6,5%), il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) di Martin Pfister (6,6%) e infine il Dipartimento federale delle finanze (DFF) che raggiunge addirittura il 9,2%. Ben al di sopra del valore di riferimento fissato tra il 6,5% e l’8,5%. Il motivo? «Nel DFF la quota è influenzata dall’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC)», spiega Berna.
Cancelleria e quadri
A far schizzare verso l’alto la quota complessiva è però la Cancelleria federale, con l’11,9% di personale italofono. Questo dato è riconducibile ai servizi linguistici centrali, ovvero (principalmente) a chi si occupa delle traduzioni.
Per Greta Gysin, i numeri dei sette dipartimenti federali non sono accettabili. «Se guardiamo alla media dell’Amministrazione federale, l’obiettivo è raggiunto. Ma nel dettaglio ci sono troppe differenze tra i Dipartimenti. E se togliamo il personale che si occupa di traduzioni, la situazione è tutt’altro che rallegrante. Il panorama diventa desolante se si guarda anche a quanti italofoni ci sono nei quadri dell’Amministrazione federale», fa notare ancora Gysin.
Il dato è inequivocabile: per le posizioni di vertice nell’Amministrazione federale, la quota di italofoni non supera il 5,3%. I valori di riferimento (6,5-8,5%) tra i quadri sono rispettati solo al DFAE di Ignazio Cassis (e alla Cancelleria federale, che risultano essere ben superiori alla media). «Al DFAE, da quando il titolare è un ticinese, la situazione è cambiata. Ciò dimostra che quando c’è la volontà di trovare personale italofono lo si trova», nota la consigliera nazionale ecologista.
Responsabili a colloquio
Già durante la sessione estiva, lo scorso giugno, la Deputazione ha incontrato Rahel von Kaenel, direttrice dell’Ufficio federale del personale. «Si è trattata di una discussione molto importante e costruttiva, ma la politica di assunzione viene fatta a livello di dipartimento», spiega Gysin.
Proprio per questo motivo, a partire da questo settembre la Deputazione ticinese alle Camere incontrerà i responsabili del personale e del plurilinguismo di tutti i dipartimenti. «A cominciare dal DFAE, che è un esempio virtuoso». Soprattutto per quanto riguarda i dipartimenti con pochi italofoni (DEFR, DFI e DFGP) sono necessarie misure più incisive.
Creare posti di lavoro in Ticino, per aumentare la quota di italofoni, può essere un’opzione? «La distribuzione dei posti di lavoro nell’Amministrazione federale in Svizzera è già molto ampia e copre tutte le regioni linguistiche», ci spiegano dall’Ufficio federale del personale, ricordando che il Governo ha già analizzato in più occasioni la ripartizione di impieghi federali nei Cantoni. In Ticino, aggiunge l’Ufficio federale del personale, a fine 2024 l’Amministrazione contava circa 1.380 posti a tempo pieno: in particolare DDPS (589 posti a tempo pieno, soprattutto legati all’esercito), DFF (566,4, molti dei quali legati alle dogane) e DFGP (101,5; è responsabile dell’asilo). Nessun altro dipartimento supera i 50 impieghi a posto pieno.
Tanti candidati, pochi assunti
Il problema non è la mancanza di candidature. Il Ticino (dopo Berna) è infatti il Cantone dal quale arrivano più candidature per un posto vacante nell’amministrazione. «Questo dimostra che il problema non è il luogo di lavoro. Tanti ticinesi sono disposti a trasferirsi», sottolinea Gysin, ricordando che i dati sulle candidature dai Cantoni sono disponibili solo da poco.
In ogni caso, dalle statistiche relative al periodo 2019-2023, «risulta chiaro che, in proporzione, rispetto al numero di candidature pervenute vengono assunte meno persone provenienti dalle zone periferiche come la regione del Lemano e Ticino», ammette la Confederazione.
Il Canton Ticino (come Grigioni, Ginevra, Vaud, Neuchâtel e Giura), infatti, registra quote inferiori a tre assunzioni su 100 candidature. «Questa chiarezza nelle cifre, sebbene si riferisca a un periodo breve di pochi anni, indica che c’è una sorta di discriminazione nei confronti delle candidature ticinesi. I numeri - sottolinea Gysin - andranno analizzati anche nei prossimi anni».