Armi anche a Paesi in guerra: i «senatori» a un bivio storico

Riarmo, sostegno europeo all’Ucraina, ma anche «cooperazione in materia di politica di sicurezza con la Svizzera». Si parla anche di questo alla conferenza sulla sicurezza e sulla difesa in Europa. Al summit di Bruxelles, iniziato ieri e che terminerà oggi, è presente anche il «ministro» della Difesa Martin Pfister. Il consigliere federale, a margine, sta pure avendo colloqui con rappresentanti dell’UE e della NATO. Al centro degli incontri c’è anche l’industra bellica elvetica, che dall’invasione russa in Ucraina ha fatto molto discutere: se la Svizzera non allenta le restrizioni all’esportazione di armi, la Germania non ordinerà più nulla, aveva ad esempio fatto sapere nel gennaio 2023 l’ambasciatore tedesco a Berna Michael Flügger. Parole poi ribadite solo pochi mesi fa.
La Germania, insieme ai Paesi Bassi e alla Spagna, aveva chiesto al governo elvetico di poter riesportare a Kiev armi prodotte in Svizzera. Nulla da fare. La legge sul materiale bellico impedisce alla Svizzera di inviare armi (vale sia per le esportazioni, sia per le riesportazioni) verso Paesi in guerra. Finora, tutti i tentativi di allentarla sono falliti, compresa la «Lex Ucraina». Oggi, al Consiglio degli Stati, le cose potrebbero però iniziare a cambiare. Il consigliere federale responsabile non sarà tuttavia Martin Pfister: il dossier è di competenza del «ministro» dell’Economia Guy Parmelin, a capo del DEFR.
Fare, disfare e correggere
In realtà, la Confederazione ha deciso di stringere le viti all’esportazione di materiale bellico solo pochi anni fa: nel 2019 era stata lanciata l’iniziativa «Contro l’esportazione di armi in Paesi teatro di guerre civili (Iniziativa correttiva)», poi ritirata a favore di un controprogetto indiretto elaborato dal Consiglio federale. Il Parlamento aveva dato il via libera alla controproposta governativa, ma con un cambiamento: non voleva conferire al Governo una facoltà di deroga in caso di «eventi straordinari».
Cambio di rotta
Ora, per salvare anche l’industria delle armi «Swiss Made», si sta valutando un cambio di rotta. Nel 2023 la Commissione della politica di sicurezza degli Stati ha proposto una mozione (approvata da entrambe le Camere) in cui si chiedeva «l’introduzione di una facoltà, per il Consiglio federale, di derogare ai criteri di autorizzazione per affari con l’estero in presenza di eventi straordinari e se lo impone la salvaguardia degli interessi del Paese». Il Consiglio federale, dal canto suo, ha seguito alla lettera il contenuto della mozione (che riprende il controprogetto originale all’Iniziativa correttiva del marzo 2021, ndr) e lo scorso febbraio ha presentato il messaggio su questa modifica di legge.
Paradigma
La Commissione della politica estera degli Stati, tuttavia, ha di nuovo cambiato le carte in tavola, puntando su un cambio di paradigma: invece di introdurre una facoltà di deroga per il Consiglio federale, «propone che le richieste di esportazione verso i Paesi menzionati nell’allegato 2 dell’ordinanza sul materiale bellico siano di principio autorizzate, a meno che si imponga un rifiuto a seguito di eventi straordinari e per salvaguardare gli interessi di politica estera o di politica di sicurezza della Svizzera». Questo «Allegato 2» è un elenco di 25 Paesi (molti dei quali membri della NATO): vi figurano ad esempio Argentina, Australia, Stati Uniti, Canada, Giappone e quasi tutti i Paesi dell’Europa occidentale, nonché Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Tradotto: questi 25 Paesi potranno ricevere armi svizzere più facilmente, anche se sono coinvolti in un conflitto armato.
I Leopard 1 non andranno a Kiev
Sempre in tema di esportazioni e riesportazione, è di fine maggio la notizia che RUAG MRO venderà alla Germania 71 dei 96 carri armati Leopard 1 A5, compresi accessori, che si trovano in Italia. Ad annunciarlo erano stati i servizi di Parmelin, sostenendo tuttavia che «è escluso un trasferimento all’Ucraina». I consiglieri nazionali Stefanie Heimgartner (UDC/AG) e David Zuberbühler (UDC/AR), però, ci vogliono vedere chiaro. Quali garanzie ci sono che i carri armati non finiranno davvero, in qualche modo, in Ucraina? «L’acquirente si impegna, nel contratto di acquisto, a non trasferire questo pacchetto o alcuno dei suoi componenti in Ucraina», indica il Governo, che poi aggiunge: «Il Consiglio federale non ha motivo di ritenere che RUAG e il suo partner contrattuale tedesco intendano violare tale embargo». Il Governo si rifuta di fornire informazioni relative al prezzo di vendita dei 71 carri armati, ma ricorda che il prezzo d’acquisto per un totale di 100 Leopard 1, nonché accessori e pezzi di ricambio, ammonta a circa 5 milioni di franchi. In realtà, RUAG MRO possiede 96 carri armati, acquistati dal Ministero della difesa italiano nel 2016. La vicenda è complicata e ancora oggi non è ben chiaro di chi siano alcuni di questi mezzi. «La proprietà contestata dei 25 carri armati Leopard 1 nasce da una controversia tra l’ex RUAG Holding AG e una società tedesca che ha acquistato i carri armati ma non li ha ritirati. RUAG MRO (che ha preso il posto di RUAG Holding AG) sta cercando una soluzione: l’acquirente dei 71 carri armati ha un’opzione di acquisto anche per gli altri 25 carri armati. «Anche questo acquirente è una società tedesca. L’opzione di acquisto entrerà in vigore una volta chiarita la situazione relativa alla proprietà», sottolinea il governo.