Svizzera

Berna lancia la corsa al riarmo: la parola d'ordine è «Buy Swiss»

Il riarmo dell’Esercito passa anche da uno sviluppo dell’industria bellica nazionale e da una minore dipendenza dagli Stati extraeuropei: lo ha deciso il Consiglio federale
©ANTHONY ANEX
Luca Faranda
20.06.2025 23:00

«Buy Swiss». Compra in Svizzera. Il riarmo dell’Esercito passa anche da uno sviluppo dell’industria bellica nazionale e da una minore dipendenza dagli Stati extraeuropei. Lo ha deciso il Consiglio federale, che oggi ha dato il  via libera alla sua prima strategia in materia di politica di armamento. Un lavoro, con un piano d’azione in 23 punti, iniziato sotto la guida di Viola Amherd e concluso dall’attuale «ministro» della Difesa Martin Pfister, che ha ora illustrato le sue priorità. Rafforzare l’industria bellica svizzera, investire soprattutto sulla tecnologia e infine aumentare la collaborazione con l’Europa anche nell’ambito degli armamenti (tramite acquisti congiunti e maggiore interoperabilità).

La domanda interna non basta

«Per quanto possibile, in futuro il 60% degli acquisti di armamenti dovrà essere effettuato in Svizzera», ha spiegato Pfister. Per il Consiglio federale, infatti, il mantenimento della «base industriale critica ai fini della difesa» è una priorità della strategia appena approvata. È tuttavia difficile fare un confronto con la situazione attuale e gli anni  passati: secondo una stima, indica la NZZ, in passato la quota di acquisti interni variava tra il 20% e l’80% a seconda dell’anno. La media a lungo termine sarebbe tuttavia inferiore al 60%.

C’è tuttavia un problema di fondo. La domanda interna (quindi delle forze armate elvetiche) non basta: le aziende che contribuiscono a produrre sistemi, munizioni e materiale bellico «Made in Switzerland» devono anche esportare, ma il «mercato»  è in trasformazione: l’UE sta varando piani di riarmo miliardari, ma vuole sostenere principalmente la propria industria bellica. Berna, dal canto suo, non è una priorità per le aziende produttrici europee (anche perché non fa parte di alleanze militari e le quantità che acquista sono esigue). Inoltre, sottolinea Pfister a nome del Consiglio federale, «da quando sono state negate le riesportazioni di materiale bellico verso l’Ucraina, gli Stati europei non percepiscono più la Svizzera come un partner affidabile». Sempre più Paesi escludono la Svizzera da progetti di acquisto e da catene di fornitura. Ciò rappresenta un problema, anche a causa degli aumenti dei prezzi e dei colli di bottiglia nelle forniture.

Favorire le esportazioni

Cosa fare per invertire la rotta? Il Governo vorrebbe migliorare le condizioni quadro per le esportazioni di materiale bellico dalla Svizzera (il Consiglio degli Stati ha fatto un primo passo in questa direzione la scorsa settimana). Sarà infatti «molto difficile mantenere la base industriale critica ai fini della difesa in Svizzera se non si riuscirà a ristabilire la fiducia degli Stati europei nell’affidabilità della Svizzera per quanto riguarda le forniture».

Per una vera svolta, l’industria bellica elvetica deve diventare molto più appetibile e attrattiva. Oltre alla «base industriale critica ai fini della difesa», Berna vuole così rafforzare la base tecnologica e industriale rilevante in materia di sicurezza (STIB). Tradotto: la Svizzera deve puntare sulla tecnologia per essere concorrenziale. Il Consiglio federale vuole investire, entro il 2030, fino al 2% del budget dell’Esercito in ricerca, sviluppo e innovazione. Oggi viene speso poco meno dell’1%, secondo Pfister. Per sfruttare il potenziale tecnologico (ad esempio droni, intelligenza artificiale, robotica e altri beni a duplice impiego civile e militare), si prevede il rafforzamento della collaborazione con le università svizzere, i politecnici federali, le start-up e le PMI.

«Solo se la Svizzera sarà in grado di proporre beni e servizi rilevanti in materia di armamenti che vengono richiesti da altri Stati, questi ultimi saranno disposti a cooperare con la Svizzera anche in futuro», sottolinea il Consiglio federale, aggiungendo che ristabilendo la fiducia con alcuni Stati (tra cui Germania e Paesi Bassi) la Svizzera potrà partecipare a cooperazioni in materia di armamenti.

Non si può fare tutto in casa

È infatti inutile illudersi: la Svizzera non sarà mai auto-sufficiente e continuerà giocoforza a dover dipendere da importazioni di armamenti dall’estero. In particolare per quanto riguarda aerei da combattimento, carri armati o sistemi di artiglieria.

Per il Consiglio federale e per il «ministro» della Difesa, «in futuro, per quanto possibile, il 30% degli acquisti di armamenti dovrà essere effettuato nei Paesi confinanti e in altri Paesi europei». Non solo «Buy Swiss», ma anche «Buy European», specifica il DDPS.

La Svizzera coordinerà annualmente le sue proposte di acquisto con i piani dei Paesi limitrofi. Ciò permetterebbe acquisti congiunti (e dunque prezzi più bassi e tempi di consegna più rapidi) con Stati partner di «sistemi identici o almeno compatibili». Un’altra priorità è infatti l’interoperabilità: in caso di attacco armato la Svizzera cercherà di difendersi «nel modo più indipendente possibile», ma deve anche prepararsi a cooperare con gli  Stati vicini.

Meno dipendenti da Washington

E gli Stati Uniti? Se la Svizzera, nell’acquisto di armamenti, si concentra soprattutto sul mercato interno (fino al 60%) ed europeo (fino al 30%), cosa resta per le altre industrie? Poco. Tuttavia, queste quote non sono vincolanti (la strategia, in ogni caso, verrà valutata di anno in anno). «Non significa che i Paesi al di fuori dell’Europa saranno esclusi», ha precisato Pfister, aggiungendo che anche gli acquisti dagli Stati Uniti (il più discusso di recente è la commessa per i jet F-35) e da altri Paesi rimangono possibili. «Vogliamo mantenere il necessario margine di manovra».