«Bisogna arrivare al presidente USA»

«Mantenere il sangue freddo». È stato questo, oggi, il consiglio della federazione orologiera svizzera a politica e società. Già, ma in politica, a caldo, si reagisce anche d’istinto. Alcune reazioni sono state, infatti, pressoché immediate. Noi abbiamo contattato, per fissare un attimo il punto, i due consiglieri agli Stati ticinesi, Marco Chiesa (UDC) e Fabio Regazzi (Centro), entrambi con ruoli chiave nelle relative commissioni: Chiesa è presidente della Commissione della politica estera, Regazzi membro di quella dell’economia e dei tributi.

«L’esempio di Starmer»
L’UDC ha puntato, in maniera particolare, sulle mancanze del Consiglio federale nel relazionarsi con Donald Trump. In un comunicato, il partito ha accusato Berna di aver «trascurato» in modo «imperdonabile» il rapporto con gli Stati Uniti. Marco Chiesa, da noi contattato, riconosce una certa sorpresa per come si sono messe le cose, dopo che le amministrazioni sembravano ormai aver concordato dazi più contenuti. E ora ammette preoccupazione: «D’accordo, siamo riusciti a mettere il piede nello stipite della porta per tenerla socchiusa, ma certamente in questo momento non siamo una priorità per gli Stati Uniti. E questo per noi è un problema». Insomma, bisognava chiudere prima, per Chiesa, puntando sul contatto diretto. Poi conferma la posizione del partito: «Noi svizzeri, anche in diplomazia, siamo allievi modello, molto disciplinati e zelanti. Lo siamo stati anche nei confronti di Trump, a sua volta messo sotto pressione da questioni interne come la perdita di posti di lavoro e un debito pubblico strabiliante, pensando che ciò potesse bastare. Ci è però mancato il contatto personale. A livello di amministrazione, abbiamo lavorato molto bene, e anche l’incontro organizzato con il segretario di Stato Marco Rubio lo conferma, ma è vero che con alcuni personaggi serve un altro tipo di diplomazia». L’esempio, per Chiesa, è quello di Keir Starmer. Il premier britannico avrebbe conquistato Trump costruendo una buona relazione con lui, a cominciare da un messaggino dopo l’attentato subito dal presidente americano. Detto questo, Chiesa si dice «fiducioso» per il futuro dei negoziati. «Abbiamo le carte per sistemare le cose e la capacità di fare gli interessi reciproci. Ma bisogna arrivare direttamente al presidente, bisogna raggiungere lui, conquistarlo».
«Rivitalizzare l’economia»
Fabio Regazzi, dal canto suo, parla da consigliere agli Stati, ma anche come presidente dell’USAM. In entrambi i ruoli, «non posso essere soddisfatto». Poi argomenta: «Se già ci eravamo spaventati di fronte al 31% minacciato inizialmente da Trump, ci eravamo forse illusi - anch’io, lo ammetto -, in un secondo tempo, di aver trovato un canale privilegiato con gli Stati Uniti. A questo punto, non sappiamo che cosa sia successo. Finché si è arrivati alla telefonata, a dir poco surreale, tra lo stesso Trump e la presidente Karin Keller-Sutter, poi chiamata dal leader della Casa Bianca “prima ministra svizzera”. Quei toni ci avevano già fatto capire quale potesse essere la nostra situazione. Sicuramente abbiamo gestito male le negoziazioni, al netto del fatto che era un’operazione estremamente difficile, vista la volubilità del personaggio. Certo, altri hanno saputo fare molto meglio». Il deputato ticinese si dice preoccupato per l’economia svizzera, parla di «una mazzata», che andrà a colpire soprattutto le piccole e medie imprese. Preoccupato, ma anche, comunque, ottimista, «perché sapremo trovare le soluzioni giuste, sul medio-lungo termine: le nostre imprese sono flessibili e sono abituate a saper reagire in fretta alle situazioni. Sono resilienti, ecco, e ciò nonostante le difficoltà a cui andranno incontro nel prossimo periodo». Regazzi vede anche un’opportunità, quella di «rivitalizzare la nostra economia, riducendo la burocrazia e riducendo la pressione fiscale. Quello che vogliamo evitare è la perdita di posti di lavoro». Gli chiediamo anche un parere sugli investimenti promessi dalla presidente della Confederazione sugli armamenti americani. «La tentazione sarebbe quella di reagire di pancia e di sbattere la porta in faccia agli USA anche sugli F-35. Ma occorre essere razionali e ponderare bene gli interessi in gioco. La partita non è ancora terminata, e anche questo potrebbe essere un fattore interessante».
PLR: «Niente panico»
Dicevamo dei singoli partiti. Tutti hanno preso in qualche modo posizione. Il PLR - attraverso una nota strutturata su nove diverse proposte - ha chiesto di aprire nuovi mercati di sbocco, e di farlo in modo tempestivo, in modo da ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. I liberali ammettono che «la situazione è grave», ma chiedono di non cadere nel panico. «L’importante è che si resti uniti e si stabiliscano le giuste priorità». Molto critici i Verdi, che hanno parlato della strategia di Keller-Sutter come di «un fallimento cocente» e che chiedono di riconoscere nell’Unione europea, e non negli Stati Uniti, il nostro partner più affidabile. Per la presidente degli ecologisti Lisa Mazzone bisognerebbe anche rinunciare all’acquisto degli F-35. Un suggerimento, questo, già respinto dal Consiglio federale, stando alla conferenza stampa di questo pomeriggio. Avvicinamento all’UE e abbandono dei caccia americani fanno parte della ricetta avanzata anche dai socialisti. Il co-presidente Cédric Wermuth si è espresso via social, chiedendo al Governo di «elaborare con le parti sociali soluzioni settoriali per proteggere i posti di lavoro».