Carceri svizzere: c'è ancora lavoro da fare
Sovraffollamento, violenze fisiche e verbali da parte di agenti, detenzione prolungata nelle carceri giudiziarie e mancanza di sezioni femminili. Stiamo parlando delle condizioni rilevate dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa (CPT) e dalla Commissione di sorveglianza sulle condizioni dei carcerati in alcuni penitenziari svizzeri. Ma come mai se ne discute ora?
In seguito ai tre suicidi avvenuti tra agosto e settembre 2021 nelle prigioni giudiziarie del Canton Vallese, erano state richieste alcune verifiche riguardo la prevenzione dei suicidi nelle carceri del cantone. Queste valutazioni sono state presentate lo scorso 22 agosto. Cosa emerge dai risultati dell’audit cantonale portato avanti dal giudice ticinese Maurizio Albisetti Bernasconi? Secondo il consigliere di Stato vallesano Frédéric Favre «il sistema funziona abbastanza bene. Tuttavia, intensificheremo gli sforzi per evitare il maggior numero di situazioni drammatiche». Non sono poche, infatti, le migliorie che soprattutto i cantoni francofoni potrebbero apportare in ambito di amministrazione carceraria. Abbiamo cercato di fare il punto sulla situazione elvetica e, in particolare, ticinese con Stefano Laffranchini, direttore delle Strutture carcerarie cantonali e con la direttrice della Commissione di sorveglianza sulle condizioni dei carcerati, la deputata Lara Filippini.
Situazioni «inaccettabili»
È il CPT ad evidenziare le lacune nelle condizioni delle carceri di alcuni cantoni svizzeri. Nel rapporto pubblicato a Strasburgo l’8 giugno scorso, infatti, vengono messi in luce gli aspetti risultanti dalle visite periodiche effettuate lo scorso anno, tra marzo e aprile. Il Comitato esorta le autorità competenti a «intraprendere azioni risolute» in modo da risolvere quegli aspetti critici già messi in evidenza in passato e rimasti ancora irrisolti.
Una delle maggiori controversie riguarda il sovraffollamento delle strutture carcerarie. Vediamone un esempio: Champ-Dollon, penitenziario nel Canton Ginevra con 398 posti, a inizio anno accusava il peso di oltre duecento detenuti in più rispetto alla sua massima capacità. Se si considera lo stato precario delle celle, quello dell’affollamento risulta essere un problema ulteriore. «Mal areate e con temperature troppo elevate». Questo ciò che si evince dal comunicato di Parlonsprisons, collettivo ginevrino a sostegno dei detenuti, emesso in seguito alla canicola dello scorso giugno. «Quando c'è un'ondata di caldo il peggio è il sotterraneo, c'è una finestra ma spesso le guardie la chiudono con un lucchetto. È un vero inferno all'interno. Alcuni agenti aprono la piccola finestra, ma è raro. Inoltre, capita spesso che la passeggiata salti», dichiara uno dei detenuti al collettivo.
Ma il sovraffollamento non è l’unico problema. Nei cantoni di Ginevra e Zurigo si parla anche di violenza verbale. Numerose denunce di questo genere sono giunte al CPT, mettendo in evidenza come agenti di polizia abbiano esercitato questo tipo di soprusi, anche di stampo razziale.
Sono state diverse, inoltre, le denunce giunte al Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa a causa dell’uso eccessivo della forza da parte di agenti nei confronti dei detenuti. Sono anche le visite effettuate dal CPT stesso a confermare gravi mancanze in questo senso. La situazione di alcune stazioni di polizia del Canton Vaud è stata, infatti, definita «inaccettabile» dal Comitato. La delegazione ha chiesto alle autorità svizzere di intervenire immediatamente per assicurare la rimozione di sedie e letti di contenzione ancora presenti in alcuni locali della polizia al momento dei controlli. Ma questo non è tutto. È stato rilevato, infatti, il confinamento oltre i termini di legge di persone detenute in attesa dell’esecuzione della sentenza o della custodia cautelare, quando una richiesta per eliminare queste pratiche era già stata effettuata nel 2015. Inoltre, i detenuti spesso non hanno contatti per settimane e, a volte, addirittura per mesi con l’esterno, e alcuni trascorrono fino a 23 ore al giorno nelle loro celle.
Modelli da seguire
Un punto su cui il Canton Zurigo potrebbe fungere da esempio però c’è, sostiene il Comitato. Infatti, gli adulti in custodia cautelare non sono più soggetti a detenzioni prolungate e possono beneficiare di momenti comunitari e di attività occupazionali. Sotto questo punto di vista dovrebbe essere considerato un modello da seguire.
Progetti sperimentali sulla custodia preventiva e l’integrazione si sviluppano anche nella prigione di Soletta: queste iniziative sono viste positivamente dal CPT.
E in Ticino?
In Ticino la situazione risulta essere più sostenibile, ma la Commissione di sorveglianza sulle condizioni dei carcerati, composta dai parlamentari, ritiene che siano ancora necessarie alcune migliorie.
I controlli alle prigioni sono frequenti: «Oltre agli incontri regolari fissati una volta al mese, sono previste anche diverse visite a sorpresa - ci spiega la presidente della Commissione, Lara Filippini -. In caso di necessità ci attiviamo immediatamente». Questa previdenza è sicuramente resa più efficace grazie ai rapporti con le strutture carcerarie, definiti «ottimi» da Filippini.
Quest’affermazione è confermata anche dal fatto che a chiedere l’intervento della delegazione lo scorso 28 giugno sia stato lo stesso Stefano Laffranchini, direttore delle strutture carcerarie in Ticino. In quest’occasione, la prigione giudiziaria La Farera ha ospitato il parto di una detenuta. «Si è trattato di una situazione delicata e particolare - spiega la presidente -. Si voleva chiarezza completa a riguardo e non abbiamo potuto che rilevare un ottimo intervento, sia da parte delle strutture carcerarie che dal settore infermieristico». Settore che è stato, infatti, rinnovato negli ultimi anni: «Abbiamo recentemente ristrutturato tutto il servizio medico - comunica Laffranchini al CdT -; ora è gestito all’Ente ospedaliero cantonale (EOC) e non più da privati. Questo significa che i detenuti che riscontrano problemi di salute, sia dal profilo somatico che psicologico, ricevono lo stesso trattamento medico delle persone a piede libero».
Uno dei punti critici, più volte riportati nei rapporti della Commissione, riguarda però proprio le donne. Alla Stampa, infatti, non è ancora presente alcuna sezione femminile. La sezione che ospitava le detenute è stata chiusa nel 2007: le donne incarcerate erano poche e gestirle costava troppo. Nell’ultimo anno, invece, il numero è aumentato, raggiungendo la cifra record di 30 donne incarcerate (anche se attualmente il numero è diminuito drasticamente tornando sui livelli abituali: 11 donne complessive di cui 3 in regime di carcere preventivo). «Per questo motivo vengono mandate al Carcere giudiziario della Farera, anche quando sono sottoposte a regime ordinario di esecuzione pena, che tuttavia di ordinario ha ben poco», recita il documento emesso a inizio giugno 2022. Le donne vengono dunque trasferite fuori dal Ticino, dove le barriere culturali e soprattutto linguistiche hanno un impatto importante su di loro. Durante la visita dei parlamentari al Carcere femminile di Hindelbank, alcune detenute che erano state trasferite dalla Svizzera italiana, si sono espresse alla Commissione in questi termini: «Le donne in Ticino non hanno niente» e ancora: «Alla Farera con un bambino piccolo è un disastro; anche nell’ora d’aria con il passeggino nello spazio all’ultimo piano si hanno le sbarre sopra la testa». Una situazione che fortunatamente prenderà presto una nuova piega. Infatti, Lara Filippini si esprime con sollievo in questi termini: «Una nuova sezione femminile vedrà la luce prossimamente. Sotto questo punto di vista non possiamo che ritenerci soddisfatti».
Il carcere giudiziario è però sede di ulteriori difficoltà. Così come in diverse altre regioni della Svizzera, in particolare francofone, anche in Ticino la detenzione preventiva è prolungata oltre i limiti sostenibili, come viene specificato nel rapporto di questo giugno. «La Commissione auspica pertanto che i tempi delle inchieste possano essere contenuti il più possibile» e si esprime anche in favore di uno stemperamento della «durezza della carcerazione preventiva».
In effetti, l’unico caso di suicidio nelle prigioni cantonali degli ultimi otto anni è avvenuto proprio in una struttura di questo tipo. «Il periodo di custodia preventiva è molto delicato – spiega Laffranchini -. Quando la persona è in attesa di processo, quando non sa cosa verrà scoperto, quando lo shock dell’incarcerazione è ancora presente e quando si perdono di colpo tutti i contatti famigliari e il tessuto sociale di riferimento, sicuramente è un momento a cui è necessario prestare la dovuta attenzione». Un impegno curato dal personale delle strutture carcerarie, così come anche dal servizio medico e psichiatrico, rinnovato negli ultimi anni. «Una precisa responsabilità del sottoscritto - conclude il direttore - è quella di tutelare anche l’incolumità delle persone che mi vengono affidate».