«Che cosa vorrei dire a Putin? Stop»

Cosa si augura? «Pace». E cosa vorrebbe dire a Putin? «Stop». Tutto facile, nelle parole del presidente di Palau, un minuscolo Stato dell’Oceania che conta appena 18 mila abitanti. Surangel S. Whipps Jr. è uno dei 57 capi di Stato o di Governo che hanno raggiunto ieri la vetta del Bürgenstock. Per lui, si tratta probabilmente di un’occasione imperdibile, ma lo stesso vale per la diplomazia elvetica. Senza ombra di dubbio, questo è uno degli eventi organizzati in Svizzera più significativi del ventunesimo secolo: mai prima d’ora la Confederazione è riuscita a riunire in un solo posto così tanti capi di Stato e di Governo. In totale sono 101, Svizzera compresa, le delegazioni presenti nel Canton Nidvaldo. «Se vogliamo avere un processo di pace, ci vuole una grande coalizione di tutti gli Stati al mondo. Noi abbiamo fatto il primo passo e speriamo di poter già annunciare il secondo», ha affermato a La Domenica Ignazio Cassis, in una delle pochissime dichiarazioni rilasciate sul «tappeto rosso» che portava alla prima assemblea plenaria di questa Conferenza. Tra i leader mondiali che hanno voluto parlare, tutti hanno ripetuto in particolare tre aspetti: la necessità di una pace in Ucraina, il rispetto del diritto internazionale e il coinvolgimento della Russia in questo processo.
La proposta di Putin
Già, la Russia. Mosca ha spiazzato tutti, venerdì, mettendo per la prima volta sul tavolo le sue condizioni per una pace immediata. Vladimir Putin chiede espressamente che Kiev rinunci all’adesione alla NATO e alle quattro regioni annesse da Mosca nella parte orientale del paese: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. «Non è una richiesta di negoziato, è una richiesta di resa», ha criticato la vicepresidente statunitense Kamala Harris. L’atteggiamento del Cremlino, per usare un eufemismo, non è piaciuto ai partecipanti del Bürgenstock, che a turno hanno espresso parole di condanna nei confronti dell’aggressione russa nel corso della sessione plenaria moderata da Ignazio Cassis. Dalla Spagna al Kenya e dal Giappone alla Georgia, il sostegno all’Ucraina ha ben presto preso il sopravvento sui temi principali sulla quale la Svizzera voleva incentrare la Conferenza sul Bürgenstock: la sicurezza nucleare, la sicurezza alimentare e gli aspetti umanitari (con il ritorno dei prigionieri e dei bambini sottratti).
Integrità territoriale
Ecco il rischio di questo vertice: dirottare l’attenzione verso l’integrità territoriale ucraina (seppur legittima), senza concentrarsi sui tre temi fondamentali stabiliti dalla Svizzera. E così, mentre i diplomatici sono minuziosamente al lavoro dietro le quinte per «limare» ogni singolo aspetto della dichiarazione finale, i leader si sono concentrati maggiormente sul rispetto del diritto internazionale e della Carta dell’ONU. La Russia «è un membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU: ciò nonostante, viola senza vergogna i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. Il presidente Joe Biden e io continueremo a sostenere l’Ucraina, lavorando per una pace giusta e duratura. Gli USA condividono la visione del presidente Volodymyr Zelensky sulla fine di questo conflitto e su come porre fine alle sofferenze del popolo ucraino», ha affermato Kamala Harris, atterrata in tarda mattinata all’aeroporto di Zurigo-Kloten e - dopo un volo in elicottero - scortata nel primo pomeriggio da una quindicina di auto fino al resort nidvaldese. Poco prima, Volodymyr Zelensky e Viola Amherd si sono presentati davanti alla stampa - oltre 500 i giornalisti presenti - per le prime dichiarazioni.
Toni diversi
La scollatura tra la diplomazia Svizzera e Ucraina è così emersa sin dal primo momento. La presidente della Confederazione ha parlato di «obiettivi modesti», il capo dello Stato ucraino, Volodymyr Zelensky, si è invece dimostrato più ottimista: «In questo vertice faremo la storia», ha affermato. «Tutto ciò che verrà concordato farà parte del processo di pace di cui tutti abbiamo bisogno», ha tenuto a sottolineare. «Non saremo in grado oggi di decretare la pace per l’Ucraina, ma speriamo di dare inizio al processo. La carta dell’ONU forma la base del diritto, la Russia l’ha attaccata nel modo più brutale. Se vogliamo inspirare lo spirito di pace, Mosca deve essere a un certo punto coinvolta, tutti ne siamo consapevoli. Come comunità internazionale possiamo preparare il terreno per i negoziati fra le due parti in guerra», ha sottolineato Amherd.
C’è bisogno della Russia
Per negoziare bisogna essere in due e per la prima volta, Kiev - in attesa di Mosca - apre uno spiraglio di speranza: non esclude infatti lo scenario di una futura partecipazione russa al processo di pace. Tuttavia ciò richiederebbe il riconoscimento che «siamo vittime di un’aggressione», ha reso noto il capo di gabinetto del presidente ucraino, Andriy Yermak. Mettere allo stesso tavolo Kiev e Mosca è un passo ovvio per raggiungere un accordo, ma che certifica l’importanza di questo vertice per provare a fornire un orizzonte per la futura integrazione della Russia nelle discussioni. Sicuramente, non succederà con la proposta di negoziato annunciata venerdì da Putin, ma probabilmente neanche con il piano in 10 punti elaborato da Zelensky.
Trovare punti in comune
Meglio pertanto concentrarsi sugli aspetti che possono iniziare a trovare un maggiore sostegno: la sicurezza nucleare e alimentare (e la navigazione libera e sicura nel Mar Nero), così come la liberazione dei prigionieri civili e militari (riguarda anche i bambini deportati) sono il punto di partenza. È infatti il minimo comune denominatore dei piani di pace finora elaborati: sono aspetti presenti sia in quello di Zelensky, sia in quello formulato dalla Cina in collaborazione con il Brasile. Rimane ora da vedere cosa succederà oggi con la dichiarazione finale. Alcune fonti indicano che la Svizzera avrebbe accettato alcune richieste avanzate da Zelensky e dai suoi alleati. Ad esempio, nel testo ci saranno esplicitamente i termini «aggressione russa» e «integrità territoriale». I negoziati, ha però ricordato Cassis, proseguiranno fino all’ultimo minuto. Si aprono così le porte a vari scenari, tra cui una dichiarazione finale senza consenso, che darebbe a ogni Stato (in particolare quelli del sud globale) la possibilità di specificare se la approva o no. La Russia, per il momento, ha scelto la via del silenzio. Il Cremlino, spiega il portavoce Dmitry Peskov, non ha inviato alcun messaggio ai partecipanti alla conferenza e spera che la prossima volta «il conflitto venga discusso in un evento più costruttivo».