L’analisi

Dagli inquirenti una comunicazione sempre centellinata

Troppo spesso i giornalisti svizzeri devono affidarsi alla magistratura o alla stampa d’oltrefrontiera per riuscire ad avere un quadro completo della situazione
Una veduta sullo stabile dove ha sede il Ministero pubblico della Confederazione in Via Sorengo 3 a Lugano. © CdT/Gabriele Putzu
John Robbiani
29.09.2021 06:00

Gli inquirenti elvetici hanno di certo uno stile comunicativo - e norme che lo disciplinano - diverse da quelli italiani. Ma è lecito domandarsi se non sarebbe auspicabile una comunicazione più attiva - in tutti i campi investigativi, non solo quanto si parla di mafia - da parte loro. Nel 2021 per esempio il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha redatto in totale cinque comunicati stampa (di cui uno per annunciare la pubblicazione del rendiconto 2020). È vero, l’MPC dopo il siluramento di Michel Lauber ha passato un anno senza procuratore generale, ma anche in passato la comunicazione è sempre stata centellinata. Tredici i comunicati nel 2020, sedici nel 2019, sei nel 2018. Facendo un confronto, e tenendo comunque presente che si tratta di un tipo di indagini diverse, il Ministero pubblico del Canton Ticino invia una media di 100-130 comunicati stampa l’anno, a cui si sommano quelli della Polizia cantonale. Comunicazione attiva da parte dell’MPC c’è stata, questo sì, quando si è è parlato dell’operazione Imponimento. Anche perché gli inquirenti federali hanno avuto un ruolo attivo nell’indagine, portando a galla le attività del clan Anello nel nostro Paese e la presenza di suoi affiliati in Svizzera. Ma per tanti altri casi i giornalisti svizzeri (e di conseguenza l’opinione pubblica) devono affidarsi agli inquirenti italiani - o perlomeno alla stampa della vicina Penisola - per riuscire ad avere un quadro più completo dei collegamenti tra la mafia e il nostro Paese. Utili restano comunque le sentenze del Tribunale federale, approdo spesso naturale delle numerose cause riguardanti l’assistenza giudiziaria richiesta dai magistrati italiani a quelli elvetici.

Il report 2020
Ma torniamo al Ministero pubblico della Confederazione e al già citato resoconto 2020. Viene indicato che, su 428 inchieste penali pendenti, 39 riguardano organizzazioni criminali. Non si fa riferimento alla mafia in particolare, ma è possibile che di queste una parte consistente riguardi le attività della camorra e della ‘ndrangheta. Nel 2016 le inchieste in questo ambito erano 67, scese poi a 62 nel 2017, a 56 nel 2018 e a 46 nel 2019. L’anno scorso inoltre la Svizzera ha ricevuto 249 richieste di assistenza giudiziaria (317 nel 2019), accogliendone 213.

È meglio che se ne parli
Stabilire con precisione quanto la mafia sia presente in Svizzera è dunque un compito arduo. E lo è anche per gli inquirenti. Ma la mafia c’è, e deve preoccupare. «Recentemente - ci aveva spiegato il procuratore federale Sergio Mastroianni in riferimento all’operazione Imponimento - un collaboratore di giustizia ha dichiarato che la seconda lingua della ‘ndrangheta è il tedesco, lasciando intendere che nei luoghi dove si parla tedesco vi sono le maggiori infiltrazioni. A ciò aggiungo che abbiamo potuto constatare che la vicinanza geografica del Ticino con l’Italia e la percezione chiara e diretta del fenomeno criminale in Ticino da parte di popolazione e istituzioni è un fattore di disturbo per le organizzazioni criminali, che si sentono più tranquille in altri cantoni». Come per dire che già solo il parlare di questo fenomeno, portarlo alla luce, può rappresentare un piccolo deterrente.

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