Credit Suisse

Dai «senatori» l'ok ai 109 miliardi, ma il Consiglio nazionale non ci sta

Solo gli Stati approvano i crediti urgenti a favore della banca in crisi – Il Governo dovrà esaminare a fondo i possibili correttivi – Farinelli: «Bisogna rafforzare la credibilità» – Chiesa: «Questa vicenda è una vergogna internazionale»
© KEYSTONE / ALESSANDRO DELLA VALLE
Luca Faranda
11.04.2023 23:55

Il dissesto di Credit Suisse è entrato di prepotenza dalla porta principale di Palazzo federale con una sessione straordinaria in cui sostanzialmente non si decide nulla di concreto, ma si discute in abbondanza. Il Consiglio degli Stati ha approvato con 29 voti contro 6 e 7 astensioni i crediti da 109 miliardi di franchi. Il Consiglio nazionale, invece, per 102 voti contrari (UDC, PS, Verdi e PVL) 71 favorevoli (PLR e Centro) e 2 astensioni ha respinto il sostegno a questi crediti, anche se in realtà sono già impegnati e giuridicamente vincolanti. Il Parlamento non può modificare le cose: il no equivale solo a un biasimo politico. Ora gli Stati dovranno nuovamente pronunciarsi. Se le Camere manterranno le rispettive posizioni, si andrà in conciliazione e la sessione si concluderà solo giovedì, anziché mercoledì. I «senatori», nel tardo pomeriggio, hanno inoltre dato il via libera a una sorta di «postulato mantello» che chiede di esaminare vari aspetti: dalla possibilità di modificare la regolamentazione «too big to fail» all’aggiustamento di varie disposizioni con l’obiettivo di ridurre drasticamente i rischi per le finanze federali e l’economia svizzera. Il Consiglio nazionale ha invece discusso i postulati fino a tarda notte. Il Governo, dal canto suo, ha già promesso che entro un anno presenterà al Parlamento un rapporto sulla valutazione delle banche di rilevanza sistemica, basato anche su perizie esterne. Il Parlamento, in sostanza, non ha preso alcuna misura vincolante al momento. È però necessario agire: il Consiglio federale sarà chiamato a rivedere e correggere la legislazione sulle banche, ma non subito. 

Posizioni già note

Gli interminabili dibattiti - agli Stati in oltre cinque ore di discussione hanno preso la parola ben 22 «senatori» - non hanno fatto alto che ribadire le posizioni già note: PLR e Centro hanno perlopiù lodato le autorità per aver agito a tempo di record ricorrendo al diritto di necessità. Non sono però mancate, da ogni parte, aspre critiche all’indirizzo della Finma, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, ma anche sul ricorso al diritto di necessità, sempre più frequente nel corso degli ultimi anni, nonché la gestione della banca da parte dei dirigenti. Verdi, PS e UDC hanno voluto porre delle condizioni per l’approvazione di questi crediti miliardari: per i Verdi, i crediti supplementari vanno legati a obiettivi di sostenibilità. «Se il clima fosse una banca, sarebbe già stato salvato», ha criticato il consigliere nazionale Balthasar Glättli (Verdi/ZH). Il PS avrebbe invece voluto trattare subito una serie di atti parlamentari in merito. I democentristi, dal canto loro, non vogliono più banche «too big to fail» in Svizzera. La maggioranza del Nazionale, però, ha voluto concentrarsi sull’essenziale, limitando la discussione al programma già stabilito in precedenza. «Negli ultimi due anni la Finma e il Governo sono intervenuti a più riprese. Questo lavoro non si è visto, ma ha fatto sì che Credit Suisse restasse in piedi fino al 19 marzo. Il Consiglio federale quel giorno ha avuto successo. È riuscito a fermare una dinamica che sarebbe stata catastrofica», spiega il consigliere nazionale e relatore Alex Farinelli (PLR). A suo avviso, «il Parlamento in questa breve sessione deve rafforzare la credibilità delle istituzioni svizzere per proteggere la piazza finanziaria e la stabilità del nostro sistema». Per Farinelli, il dibattito di oggi «è un punto di partenza, ma le eventuali modifiche legislative dovranno arrivare solo dopo aver fatto i necessari approfondimenti».

Uno show per le tribune

Della stessa opinione anche il consigliere nazionale Fabio Regazzi (Centro): «Era una situazione estremamente difficile, capisco che di fronte a un fallimento che sembrava ormai imminente bisognava agire rapidamente. A posteriori, tuttavia, ci si può chiedere se non c’erano altre soluzioni. È chiaro che alcune cose non hanno funzionato, ma non bisogna neanche illudersi che regolamentando questi aspetti si azzerino i rischi. Ogni crisi ha le sue peculiarità e bisogna accettare che anche in futuro ci potranno essere dei rischi», aggiunge Regazzi, che si mostra invece più critico sull’utilità di questa sessione straordinaria. «Di sostanza ce n’è ben poca ed è ciò che si temeva già alla vigilia. È più uno show per le tribune e i giornalisti, perché è già praticamente tutto deciso. Il vero lavoro inizierà dopo questa sessione, ma ci vorrà tempo», Inoltre, sottolinea il deputato ticinese «sebbene sia stato evitato il disastro, questa vicenda ha creato contraccolpi a livello di immagine sul piano internazionale. La credibilità della piazza finanziaria svizzera è stata fortemente danneggiata».

Critiche ai manager stranieri

Dal canto suo, il «senatore» ticinese Marco Chiesa non ha lesinato critiche all’indirizzo di Credit Suisse. A suo avviso, «una strategia rischiosa e sbagliata decisa da consigli d’amministrazione imprudenti e avidi, ha azzerato il valore dell’aggettivo “svizzero” che figura nel nome dell’istituto», minando anche la credibilità della Confederazione. Per il presidente dell’UDC, i dirigenti stranieri della banca hanno voluto «giocare ai grandi strateghi globali» e «allargare il loro raggio d’azione credendosi armatori di oceanici transatlantici mentre non erano neppure capitani di barche d’acqua dolce». L’UDC per il futuro chiede regole più chiare per evitare che in futuro siano ancora i cittadini a passare alla cassa: per chiesa, che definisce questa vicenda «una vergogna nazionale», la Svizzera non è più in grado di proteggere a qualsiasi costo e in ogni caso la sua piazza finanziaria. Per la sinistra e l’UDC le riforme vanno fatte rapidamente: «il Consiglio federale deve fare una prima analisi entro l’estate», ha sostenuto Jakob Stark (UDC/TG). Secondo Adèle Thorens è chiaro che le misure prese dopo il dissesto di UBS nel 2008 sono risultate alla luce dei fatti «chiaramente insufficienti». «Bisogna mantenere il sangue freddo», ha replicato Olivier Français. Per Thomas Hefti (PLR/GL) non si deve cadere in una frenesia legislativa: «la colpa della crisi non è dei politici, ma del CS», ha sottolineato. Da parte sua, Benedikt Würth si è chiesto quale margine di manovra abbia la Svizzera, dato che le regolamentazioni del settore bancario dipendono anche dalle disposizioni prese a livello internazionale.

Attenti ai «Bankster»

«È fuori discussione fornire una garanzia statale ai bankster», ha detto senza mezzi termini il «senatore» Roberto Zanetti (PS/SO), unendo le parole «banchieri» e «gangster». Nel suo intervento la consigliera federale Karin Keller-Sutter ha evocato come si è giunti a questa situazione. Senza gli aiuti decisi dalla mano pubblica, ha aggiunto la «ministra» delle Finanze, Credit Suisse sarebbe fallita in due giorni. Credit Suisse è una banca sistemica non solo a livello svizzero, ma mondiale, ha ricordato Keller-Sutter. «Un fallimento avrebbe avuto conseguenze catastrofiche». La Confederazione ha studiato altre alternative, tra cui la nazionalizzazione, ma i rischi erano troppo grandi.