Dazi, denunciati sei imprenditori per i regali a Donald Trump

L’incontro di inizio novembre alla Casa Bianca ha procurato apprezzamenti e critiche ai sei uomini d’affari svizzeri andati a Washington per perorare la causa della riduzione dei dazi. Apprezzamenti, perché una decina di giorni dopo il faccia a faccia con Donald Trump c’è stata una svolta nei negoziati, con la firma di una dichiarazione d’intenti fra la Confederazione e gli Stati Uniti per abbassare le tariffe doganali dal 39% al 15%. Le critiche sono giunte, per le modalità utilizzate, sia da una parte del mondo politico elvetico sia da quello degli affari. In un’intervista alla NZZ, il presidente del Gruppo Swatch Nick Hayek non ha esitato a definire quella dei colleghi «un’esibizione di vassalli». Dal canto suo, la stampa americana ha parlato di diplomazia del lingotto d’oro (gold bar diplomacy).
Ma ora si è aperto anche un capitolo giudiziario. Due consiglieri nazionali dei Verdi, la ticinese Greta Gysin e il vodese Raphaël Mahaim hanno denunciato i sei imprenditori per corruzione al Ministero pubblico della Confederazione. Gli alti dirigenti d’impresa si erano presentati alla Casa Bianca con un lingotto d’oro di un chilogrammo (personalizzato con le cifre 45 e 47, i numeri dei mandati presidenziali di Trump) e un orologio da tavola Rolex: valore complessivo stimato, oltre 100 mila dollari. Il Ministero pubblico della Confederazione ha confermato all’agenzia Keystone-ATS che sono state presentate tre denunce penali, formalmente contro ignoti. Saranno esaminate «come di consueto», ha indicato l’MPC.
I due deputati si chiedono se i regali violino l’articolo 322 del Codice penale sulla corruzione di pubblici ufficiali stranieri. Una denuncia analoga è stata presentata dai giovani socialisti (GISO), convinti che i dirigenti di Mercuria, Rolex, Partners Group, Richemont, MKS Pamp e MSC approfitterebbero «in modo sproporzionato» dalla riduzione dei dazi al 15%.
Questione di credibilità
«In questa vicenda di grande rilevanza nazionale e internazionale, riteniamo che gli eventi in questione meritino un chiarimento da parte della giustizia», si legge nella lettera di Gysin e Mahaim al procuratore generale Stefan Blättler (di cui la redazione ha copia). «Ne va della credibilità delle nostre istituzioni, del rispetto dello Stato di diritto e della reputazione della Svizzera a livello internazionale». L’articolo in questione del Codice penale prevede una sanzione pecuniaria o una pena detentiva fino a cinque anni per chi corrompe pubblici ufficiali stranieri, tramite l’offerta di un indebito vantaggio per indurli a commettere un atto o un’omissione in relazione con la loro attività ufficiale. Questo reato è contemplato in Svizzera solo dal 2000 ed era stato inserito dietro forti pressioni straniere. «È quasi certo che i doni offerti a Trump vanno oltre un vantaggio di lieve entità (...) Sembra anche difficilmente contestabile che questi regali fossero destinati a incitare il presidente all’esecuzione di un atto in relazione con la sua attività ufficiale», si legge nella denuncia.
Tocca ora alla procura federale stabilire se il vantaggio concesso era indebito, ai sensi del diritto penale svizzero e se davvero c’è il reato di corruzione. Ma perché prendersela con gli imprenditori che hanno contribuito a sbloccare le trattative con relativo sollievo per l’economia d’esportazione svizzera? «Innanzitutto è ancora da dimostrare che si sia trovata una soluzione definitiva, perché di concreto in questo accordo con gli Stati Uniti c’è ancora ben poco», ha dichiarato Gysin alla RSI. «Aldilà di ciò, non dobbiamo abbassarci a questo livello solo perché alla guida degli Stati Uniti in questo momento c’è una persona che sta mettendo in discussione tutte le tradizioni. Se abbiamo un po’ a cuore la nostra reputazione non dobbiamo salutare con favore azioni di questo tipo». «Sembra di essere nel Medioevo», le ha fatto eco sulla RTS il collega Mahaim. «Si ha l’impressione che ci siano dei signori che baciano le mani del monarca ricoprendolo letteralmente d’oro per ottenere un favore da lui! (...) Nel XXI secolo sono cose che non vogliamo vedere. Non è così che si lavora nelle relazioni internazionali».
I dubbi dell’esperto
Interpellato dal portale Watson.ch, l’ex procuratore federale Stefan Lenz (specializzato in casi di corruzione) ha detto di vedere notevoli ostacoli legali nel qualificare il reato di corruzione e di dubitare che la procura apra un’inchiesta. Non c’è un chiaro scambio di valore: «Un lingotto d’oro e un orologio Rolex non sono sufficienti a convincere Trump a ridurre i dazi al 15%». Si tratta piuttosto di un tentativo di acquisire benevolenza, ma questo non costituisce reato se i regali vengono fatti a funzionari stranieri. Quello che hanno fatto i denunciati non è etico, ma probabilmente non costituisce reato, ha sottolineato Lenz. Altri giuristi hanno fatto notare che c’è un problema di competenza territoriale e che il concetto di indebito vantaggio rientra nella giurisdizione del Paese d’appartenenza del pubblico ufficiale accusato di corruzione.
Concordato con la SECO
In un’intervista rilasciata alla SRF mercoledì, prima della denuncia, l’imprenditore Alfred Gantner (Partners Group) ha detto che l’idea di incontrare Trump è nata sotto la guida di Helene Budliger Artieda, direttrice della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e del consigliere federale Guy Parmelin, per riunire persone che già conoscono il presidente e che investiranno gran parte dei 200 miliardi. Tutto è stato concordato punto per punto. I rappresentanti dell’economia non hanno negoziato. Per il resto, ha spiegato, «è assolutamente consuetudine portare un regalo quando si entra nello Studio Ovale. È una pratica comune anche tra Stati. I regali avevano ovviamente un chiaro significato simbolico. Non si trattava di un valore materiale. Non erano regali per Donald Trump, ma per il pubblico americano, per la Biblioteca Presidenziale».
