Esercito

Droni russi, «la Svizzera non diventi un parassita a livello di sicurezza»

L'esperto Marcel Berni: «Solo se la Svizzera dimostrerà maggiore solidarietà nei confronti dell’Europa potrà contare su partner affidabili in caso di crisi»
©PETER KLAUNZER
Francesco Pellegrinelli
15.09.2025 06:00

Prima lo sconfinamento di una ventina di droni russi in Polonia nella notte fra il 9 e il 10 settembre. Poi, sabato sera, quello in Romania, seguito da un terzo episodio, qualche ora più tardi, nuovamente in Polonia. Il tutto, mentre proseguono le esercitazioni congiunte di Russia e Bielorussia, «Zapad 2025», a ridosso dei confini europei. Tre episodi distinti in poco meno di una settimana che proiettano sulla sicurezza europea una luce nuova, indipendentemente dalle giustificazioni addotte dal Cremlino e dalle circostanze della guerra in Ucraina.

E la Svizzera?

«La posizione geografica del nostro Paese ci mette al riparo da simili scenari», spiega al CdT Mauro Gilli, professore di Strategia militare alla Hertie School di Berlino. «È molto improbabile che la Svizzera diventi il bersaglio di uno sconfinamento di questo tipo: per raggiungerla i droni dovrebbero sorvolare diversi altri Paesi e, anche se fossero diretti verso di noi, verrebbero con ogni probabilità intercettati prima».

Un’eventualità che comunque, secondo Marcel Berni, professore di Studi strategici presso l’Accademia militare del Politecnico di Zurigo, pare piuttosto remota: «Al momento non credo che la Svizzera sia un obiettivo prioritario della Russia. Tuttavia, la Svizzera non è sufficientemente protetta dagli attacchi aerei».

Sul medesimo tema proprio ieri si è espresso anche il «ministro» della difesa Martin Pfister, il quale sulle pagine della SonntagsZeitung ha definito poco probabile il rischio di uno scenario identico alla Polonia e alla Romania. Tuttavia, se ciò dovesse verificarsi, secondo il consigliere federale, la difesa aerea svizzera non sarebbe in grado di respingere i droni: «Disponiamo certamente di sistemi di difesa aerea in grado di abbattere droni a breve distanza – ha dichiarato Pfister al domenicale – ma la Svizzera è in attesa della consegna di sistemi a medio e lungo raggio». È noto che il sistema Patriot, in particolare, sta subendo ritardi, ha precisato.

Una valutazione condivisa anche da Berni, secondo il quale l’esercito svizzero dispone dei mezzi necessari per rispondere a un eventuale attacco di questo tipo solo in misura molto limitata: «Attualmente la Svizzera non dispone di sistemi di difesa contro missili balistici, missili da crociera o droni. Non prima del 2028 la Svizzera sarà efficacemente protetta dagli attacchi aerei con il nuovo jet da combattimento F-35, il sistema Patriot a lungo raggio, e IRIS-T a medio raggio. I sistemi di difesa contro i droni di grandi dimensioni e i missili da crociera a bassa quota saranno invece acquistati solo dopo il 2030».

Per Gilli, poi, occorre aggiungere alla riflessione un ulteriore tassello: «È una questione di scala: neutralizzare un singolo drone o missile non rappresenta un problema. Ma quando diventano un centinaio, lo sforzo richiesto in termini di munizioni e sistemi di difesa cresce sensibilmente. E se si parla di migliaia, allora le scorte iniziano inevitabilmente ad assottigliarsi».

La sicurezza europea

Più in generale, la crisi dei droni in Polonia segna comunque un’escalation del conflitto russo-ucraino, in quanto coinvolge direttamente gli Stati europei e la NATO. Durante il primo sconfinamento in Polonia, l’Alleanza atlantica è infatti dovuta intervenire per abbattere i droni russi sul proprio territorio, un fatto senza precedenti dall’inizio della guerra. «L’intrusione nello spazio aereo polacco è una violazione dell’integrità territoriale di uno Stato europeo», ha dichiarato senza mezzi termini Pfister, per il quale «la sicurezza dell’Europa è minacciata oltre i confini dell’Ucraina».

Dello stesso avviso Gilli, per il quale non vi sono motivi plausibili per parlare di un errore da parte della Russia. «Ci sono state tre incursioni, tutte concentrate in un breve arco di tempo». Tali azioni, spiega Gilli, si inseriscono in una strategia più ampia di guerra ibrida che mira a provocare, creare allerta e mettere sotto pressione l’opinione pubblica occidentale. «Questi episodi non possono essere liquidati come semplici incidenti».

Dello stesso parere anche Berni, per il quale Putin «vuole mettere alla prova la NATO. Vuole vedere come reagisce l’Alleanza atlantica dal punto di vista militare e politico. Allo stesso tempo vuole anche mettere alla prova Washington».

Cresce l’allerta

Il livello di allerta dall’inizio della guerra e in particolare dopo questi sconfinamenti si è comunque alzato. Pfister al riguardo ha dichiarato che «esiste il rischio che nei prossimi cinque anni la sicurezza in Svizzera sia molto più minacciata di quanto possiamo immaginare oggi». Una dichiarazione in linea con la posizione del servizio di intelligence della Confederazione. Tuttavia, secondo Berni oggi in Svizzera non è necessario alzare il livello di allerta. Con una premessa di fondo, però: «Dovremmo fare attenzione che la Svizzera non diventi un parassita in materia di politica di sicurezza. La neutralità armata dovrebbe essere credibile».

Proprio su questo tema, il consigliere federale ha menzionato la necessità di estendere la collaborazione con i Paesi vicini. «I droni potrebbero essere combattuti in modo più efficace se fossero individuati tempestivamente e ben prima del confine nazionale», ha affermato Pfister. Per rispondere a questo tipo di minacce occorre aumentare la cooperazione tra i sistemi di difesa aerea di ogni singolo Paese, avverte dal canto suo Gilli. «I sistemi devono poter comunicare eventuali sconfinamenti in arrivo o droni che non sono stati intercettati». L’iniziativa Sky Shield, approvata recentemente dal Consiglio federale, va proprio in questa direzione, aggiunge Gilli.

Limiti ed equilibri

Dal canto suo, Pfister ha comunque sottolineato che la cooperazione dovrebbe spingersi il più lontano possibile, ma solo fino al punto in cui la Svizzera può ancora decidere in modo autonomo l’utilizzo dei propri mezzi. Una questione di equilibrio che Marcel Berni sintetizza così: «Importanti voci internazionali, che in realtà sono ben disposte nei confronti della Svizzera, mostrano un crescente disappunto: solo se la Svizzera dimostrerà maggiore solidarietà nei confronti dell’Europa potrà contare su partner affidabili in caso di crisi. L’esercito svizzero intende diventare più capace di difesa in futuro. A tal fine è importante la cooperazione con i Paesi stranieri che condividono gli stessi valori». Questa, secondo l’esperto, è la strada da percorrere, e il momento per farlo è oggi. «Alle provocazioni russe, la NATO ha risposto in maniera tempestiva, e la collaborazione tra Alleati europei ne è uscita rafforzata», conclude Gilli.

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