Tribunale penale federale

Due presunti islamisti a processo a Bellinzona

I due imputati sono un kosovaro di 37 anni e uno svizzero-macedone di 34, entrambi domiciliati nella regione di Ginevra
© CdT/ Chiara Zocchetti
Ats
03.11.2025 21:44

(Aggiornato) Due islamisti di origine balcanica sono a processo, presso il Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona, tra l'altro per sostegno e partecipazione a un gruppo terroristico, l'organizzazione «Fratelli di Viti», dal quale entrambi sostengono di essersi allontanati.

I due imputati, per i quali vale la presunzione d'innocenza, sono un kosovaro di 37 annie uno svizzero-macedone di 34, entrambi domiciliati nella regione di Ginevra.

In serata, al termine dei dibattimenti, il pubblico ministero ha chiesto pene detentive di nove anni e mezzo e nove anni nei loro confronti. Il procuratore ha sottolineato la grave colpevolezza dei due imputati e gli obiettivi criminali dell'organizzazione che hanno finanziato. Inoltre, hanno agito per 7-8 anni e avrebbero continuato se non fossero stati arrestati all'inizio di settembre 2022.

Per il primo l'accusa ha sollecitato una pena detentiva di 9 anni e una pena pecuniaria di 180 aliquote giornaliere. La pena detentiva deve essere accompagnata dall'espulsione dalla Svizzera per un periodo massimo di 15 anni, poiché la sua situazione personale non rientra nei casi di rigore.

Per il suo coimputato, già condannato tre volte in passato, ha chiesto una pena detentiva di nove anni e mezzo e 40 aliquote giornaliere. L'espulsione non è prevista data la doppia cittadinanza dell'interessato.

I due sono stati arrestati il 1° settembre 2022 dopo una lunga sorveglianza e da allora si trovano in detenzione. Nel corso dell'interrogatorio del presidente della Corte penale, entrambi hanno affermato di essersi smarriti nel radicalismo.

Il 37enne ha dichiarato in aula di essersi avvicinato all'Islam nel 2014 attraverso la lettura di testi wahhabiti. È però rimasto deluso dalla pratica religiosa dei kosovari e dell'organizzazione islamista kosovara «Fratelli di Viti» (Viti è una località del Kosovo da cui proviene la maggior parte dei membri del gruppo), ma di essersi poi allontanato dall'islam radicale, in quanto non corrispondeva ai valori inculcatigli da suo padre.

Le accuse promosse dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC) sono pesanti: partecipazione e sostegno a un'organizzazione terroristica, corruzione di pubblici ufficiali stranieri, riciclaggio di denaro, favoreggiamento, falso in documenti, truffa per mestiere e altri reati minori.

L'antenna «Fratelli di Ginevra»

In particolare i due trentenni sono accusati di aver sostenuto e finanziato «Fratelli di Viti», creando e dirigendo tra il 2014 e il 2022 l'antenna svizzera chiamata «Fratelli di Ginevra».

Il kosovaro dirigeva l'antenna con il titolo di Emiro. I Fratelli di Ginevra venivano reclutati nella cerchia della moschea di Petit-Saconnex (GE) e dal 2016 in poi si sono concentrati sul finanziamento dell'organizzazione in Kosovo.

Secondo l'accusa, i fondi raccolti e poi inviati nei Balcani si collocano tra i 64'000 e i 77'000 franchi, ottenuti tramite partecipazioni, doni, ma soprattutto frodi alle assicurazioni sociali e crediti Covid. Il kosovaro si è rammaricato per queste frodi, commesse a causa delle sue difficoltà economiche.

L'obiettivo dei Fratelli di Viti era sfruttare una destabilizzazione politica in Kosovo per prendere il potere e instaurare uno stato islamico, governato dalla Sharia, secondo il ministro pubblico. Il denaro raccolto a Ginevra serviva ad acquistare armi e a corrompere i magistrati incaricati di giudicare adepti del gruppo.

I due imputati, nel 2016 in Kosovo, avrebbero pure immagazzinato e nascosto quattro fucili d'assalto Kalashnikov, una pistola e 3'000 proiettili. L'«Emiro» sostiene però che queste armi servissero per difendersi da un eventuale attacco serbo e non per compiere un colpo di stato. «Saremmo stati immediatamente schiacciati», ha affermato.

Inoltre avrebbero organizzato degli incontri di indottrinamento, ai quali invitavano e ospitavano numerosi imam.

Simpatia e disaffezione

Il 34enne si è invece mostrato più evasivo nelle dichiarazioni. Anche lui ha inizialmente mostrato «simpatia per lo Stato islamico per via del bene che faceva alle popolazioni in Siria», ma poi si è disaffezionato, anche a causa del comportamento dei «fratelli», «interessati soltanto ai soldi».

In relazione alle dichiarazioni dell'altro imputato, ha spesso chiamato in causa la sua ignoranza e ha attribuito i montanti raccolti in modo fraudolento ai suoi bisogni personali e non a quelli dell'organizzazione.

Ha inoltre ammesso di aver realizzato già alla sua prima notte trascorsa in prigione nel 2022, «che la mia vita non fosse giusta».