Esercito

Due ventenni in grigioverde sul fronte COVID-19

Charlotte Pini e Adrian Scheggia sono soldati sanitari in ferma continuata mobilitati alla fine di febbraio per affrontare l’emergenza - Lei lavora sulle ambulanze, lui in un reparto di terapia intensiva - Cosa fanno e come vivono questa esperienza a sostegno del personale curante
Charlotte Pini e Adrian Scheggia.
Giovanni Galli
14.04.2020 09:11

Il loro anno in ferma continuata avrebbe dovuto concludersi proprio oggi; 300 giorni di servizio filati, scuola reclute inclusa, e poi liberi di organizzare il loro futuro professionale, senza più obblighi militari. A causa dell’emergenza COVID19, invece, i piani sono cambiati e la loro permanenza in grigioverde è stata prolungata di 75 giorni, fino al termine del mese di giugno. I soldati sanitari Charlotte Pini, 20 anni, di Morbio, e il coetaneo Adrian Scheggia, di Biasca, fanno parte dei cinquemila militi mobilitati a partire dal mese di marzo (3.800 sono sanitari, impiegati a supporto di una cinquantina di ospedali) per il servizio d’appoggio alle autorità civili. Entrambi hanno svolto la scuola reclute ad Airolo e hanno scelto il servizio sanitario perché vicino alla formazione che intendono intraprendere una volta terminati gli obblighi militari. Ora sono di stanza a Riazzino e appartengono a un distaccamento di una trentina di militi della compagnia logistica in ferma continuata 204. Lei lavora su un’ambulanza militare e si occupa del trasporto di pazienti da un nosocomio all’altro, lui (dopo un primo periodo sulle ambulanze) nel reparto di cure intensive del San Giovanni di Bellinzona. Un’esperienza che ha un po’ scombussolato i loro piani, ma sulla quale adesso concentrano tutte le energie.

La giornata

«La giornata varia a dipendenza del turno: mattina o sera, entrambi da 8 ore, oppure 12 ore durante l’arco del giorno», racconta Charlotte, che dopo la maturità ha svolto il servizio militare a titolo volontario, e in autunno intende iniziare gli studi di medicina dentaria. «Di regola siamo in impiego quattro giorni consecutivi, poi a rotazione siamo di picchetto per altri quattro giorni o liberi, nell'accantonamento. Il compito del mio distaccamento è di supporto verso le ambulanze civili, con il trasporto di pazienti da e verso ospedali designati per la cura dei casi COVID. Lavoriamo in gruppi di tre, che includono il soldato sanitario, il conducente del veicolo e un soccorritore professionista. Per ora il compito più laborioso è l’effettivo trasporto del paziente, durante il quale siamo (giustamente) tenuti ad indossare la migliore protezione personale disponibile che, soprattutto durante i viaggi lunghi, non è particolarmente piacevole. Fortunatamente, per ora, non ho vissuto di persona troppe complicazioni».

Prima di indossare i panni grigioverdi Adrian ha seguito una formazione di operatore socio-assistenziale. In settembre inizierà glistudi di fisioterapia alla Supsi. Il servizio militare continuato gli ha dato l’opportunità di colmare l’anno fra gli esami d’ammissione e l’inizio della nuova formazione. «Sono di supporto agli assistenti di cura in varie attività, come portare i pasti, provvedere ad alcuni aspetti dell’igiene del paziente, aiutare a cambiare medicazioni, disinfettare le superfici e dare una mano in generale nel reparto». Con piena soddisfazione del personale curante ospedaliero, stando a quanto dichiarato sul sito dell’esercito da un’infermiera specializzata dell’ospedale bellinzonese. L’aiuto dei militari sgrava infatti da certe mansioni e si distingue per propensione alla precisione, all’organizzazione e al lavoro in team. La formazione in grigioverde è tornata utile in questo caso reale, anche se le circostanze sono diverse dall’impiego classico per cui sono previste le truppe sanitarie. «Non siamo sanitari di professione ma la nostra funzione, all’interno dell’esercito è quella del soldato sanitario. Quindi una base possiamo dire che l’abbiano avuta durante il nostro servizio “normale”, e quando abbiamo ricevuto l’incarico abbiamo fatto istruzioni più mirate alla situazione», dice il giovane di Biasca. La collega non può che ribadire: «La nostra istruzione è stata adeguata per la situazione; inoltre, la presenza di un soccorritore professionista permette di colmare eventuali lacune».

Gli insegnamenti

In un contesto ancora segnato dall’incertezza, è troppo presto sia per fare bilanci sia per fare progetti di breve termine. «Resta però la consapevolezza di aver fatto un’esperienza utile», spiega Adrian. «Qui ho imparato il francese. Ma il servizio militare mi ha soprattutto dato delle conferme nelle mie scelte. Qui nel reparto di cure intensive vedo il lavoro del fisioterapista sui pazienti. Senza il servizio militare, nemmeno in uno stage, mai avrei potuto fare questa esperienza. Quanto ho visto mi sprona nella formazione che intendo seguire. Il militare mi ha cambiato, mi sento più maturo, prendo la giornata in un'altra maniera. Ora capisco la resilienza imparata a militare: sono cambiato nella percezione dello sforzo, della fatica, della lunga giornata, dell'impegno costante». Anche Charlotte ritiene di aver imparato molto. «Questa esperienza mi ha insegnato tanto, adoro aiutare gli altri. Un'esperienza difficile ma impagabile, per la crescita personale. L'istruzione sanitaria mi sarà sempre utile. Sono molto contenta di quest'esperienza e spero di avere convinto una mia amica a svolgere il servizio militare. Qui ho imparato ad essere più flessibile, ho più pazienza, faccio più compromessi. Caratteristiche indispensabili per la vita collettiva e il lavoro in squadra».

C’è anche una compagnia

In servizio in Ticino c’è anche la compagnia sanitaria 2 del capitano Marco Spacio. È una delle formazioni di milizia di prontezza elevata, entrata in servizio il 17 marzo. Dopo una settimana di istruzione mirata, a rotazione i suoi militi sono dislocati un po’ ovunque a supporto di ospedali e case per anziani.

In alcuni pazienti senzazioni di paura e di solitudine

I militi sono testimoni di episodi toccanti - C’è nostalgia di casa «ma è meglio essere qui»

Come tutti quelli che operano al fronte, anche ai due ventenni capita di essere confrontati ad episodi molto toccanti dal punto di vista umano e personale. «Una paziente sola mi ha apertamente mostrato e trasmesso la sensazione di paura che tutti nascondevano sotto una faccia coraggiosa; aveva paura, si vedeva, e questo mi ha colpita molto. Noi vediamo queste persone solo per brevi periodi e tentiamo di tenere alto lo spirito; vedere questa paura non filtrata ha davvero cementato in me l’importanza di poter aiutare in ogni modo possibile», afferma Charlotte.

Ma oltre a quello della malattia c’è anche il dramma della solitudine con cui i pazienti devono convivere, anche a causa delle prescrizioni di sicurezza per evitare contagi. «Quello che mi è rimasto più impresso», ricorda Adrian, «è stato quando un anziano che stava male ha chiesto di poter vedere i suoi cari e si è visto negare questa possibilità a causa del coronavirus».

La famiglia e la vita sociale mancano (i congedi sono stati sospesi), c’è nostalgia di casa, ma i due soldati sono perfettamente consapevoli che anche senza obblighi militari sarebbero comunque costretti a restare a casa. Il tempo libero, nel raggio dell’accantonamento, viene trascorso leggendo, ascoltando musica e facendo nel limite del possibile un po’ di moto. «Paradossalmente posso vivere più “vita sociale” facendo parte del militare», dice Adrian. «Meglio qui a dare una mano, che bloccati in casa», concorda Charlotte. La quale ne approfitta anche per lanciare un monito: «Riuscire a contribuire in una situazione talmente inaspettata e grave mi fa sentire fiera del lavoro che stiamo svolgendo. Nonostante questo, vedere in giro una quantità di auto e persone ancora troppo elevata per questo periodo, mi delude un po’; il personale ospedaliero, paramedico e molti altri ancora sono al lavoro 24 ore su 24 per evitare il contagio e per curare i malati, sforzo che sembra quasi vanificato dalla mancanza di riguardo per le norme imposte in questo periodo».

In questo articolo: