Duecento franchi basteranno? Al Nazionale si affilano le armi

La votazione popolare per ridurre il canone radiotelevisivo, dagli attuali 335 a 200 franchi, si terrà nel 2026. Forse, già l’8 marzo del prossimo anno. La battaglia, in vista dell’appuntamento alle urne, è però già iniziata da tempo. Oggi, l’iniziativa popolare «200 franchi bastano! (Iniziativa SSR)» è arrivata per la prima volta in Parlamento, nell’aula del Consiglio nazionale. Ben 76 deputati (tra cui tutti i consiglieri nazionali ticinesi, ad eccezione del leghista Lorenzo Quadri) si sono annunciati per parlare a favore o contro l’iniziativa dell’UDC, dei Giovani PLR e dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM). Oltre due ore di dibattiti, come previsto, non sono bastati. Il Nazionale si prenderà ancora parecchio tempo per proseguire le discussioni: si continuerà mercoledì 11 e la conclusione è prevista per giovedì 12 giugno.
L’obiettivo dell’iniziativa è chiaro: limitare il canone a 200 franchi per le economie domestiche ed esonerare dal pagamento le imprese. La Commissione delle telecomunicazioni ha provato in più occasioni a proporre un controprogetto all’iniziativa. Tuttavia, la commissione omologa degli Stati si è sempre detta contraria. Non tutto è però deciso: ci sono infatti ancora due idee alternative sul tavolo, presentate come proposte di minoranza.
Meno sport e intrattenimento
La prima, caldeggiata dagli esponenti dell’UDC e del PLR, chiede di rinviare il dossier in commissione e di elaborare un controprogetto indiretto all’iniziativa che contenga alcuni punti centrali: deve alleggerire l’onere a carico delle economie domestiche e delle imprese senza compromettere il servizio pubblico; limitare - se necessario - il ruolo della SSR nei settori dell’intrattenimento, dello sport e delle attività in rete per evitare distorsioni della concorrenza; infine, nell’eventuale controprogetto si dovrebbe anche esaminare «le possibilità di potenziare la vigilanza indipendente e la partecipazione politica nell’ambito del rilascio delle concessioni e della definizione del servizio pubblico».
L’aumento dell’IVA
Dall’altro lato della barricata c’è invece il socialista grigionese Jon Pult, che ha voluto presentare un controprogetto diretto dal titolo: «Sgravare la popolazione e l’economia senza pregiudicare il servizio pubblico nel settore dei media».
Pult - supportato dalla sinistra - chiede di creare un «fondo indipendente dal bilancio della Confederazione» destinato alla radio e alla televisione nonché «ad altre forme di telediffusione pubblica di produzioni e informazioni». Tale fondo andrebbe finanziato con un aumento dell’IVA di 0,4 punti (raggiungendo dunque l’8,5%) e anche tramite un incremento dell’aliquota speciale per prestazioni nel settore alberghiero di 0,2 punti percentuali (dall’attuale 3,8 al 4%). L’attuale canone, così come lo conosciamo, andrebbe abolito.
Il Governo ha già deciso
E il Consiglio federale? È dell’idea che l’iniziativa vada respinta e non ha voluto elaborare un controprogetto, bensì una controproposta. Il consigliere federale Albert Rösti - responsabile del dossier - ha infatti già presentato un’alternativa all’iniziativa. Il Governo ha deciso di agire tramite ordinanza (aggirando così l’iter parlamentare, poiché non prevede modifiche di legge): dal 2027 il canone radio-tv scenderà da 335 a 312 franchi per le economie domestiche private. Dal 2029 ci sarà inoltre una ulteriore riduzione da 312 a 300 franchi. Le aziende con un fatturato annuo soggetto a IVA fino a 1,2 milioni di franchi (e non 500 mila franchi come attualmente) sarebbero esonerate dal canone. Attualmente, il limite è fissato a 500 mila franchi. In questo modo, a partire dal 2027, circa l’80% delle imprese soggette all’IVA non pagheranno più il canone.
Le forze in campo
Le posizioni sono ormai note da tempo. L’iniziativa è sostenuta solo dall’UDC e da una parte del PLR (che auspica un controprogetto per alleggerire soprattutto le imprese). La sinistra e il Centro - seppur non compatto - si schierano invece a difesa della SSR.
«200 franchi bastano per cosa?», si è chiesto Giorgio Fonio (Centro), sostenendo che pur essendo un’iniziativa dal titolo accattivante, non risponde alla domanda. A suo avviso, «non bastano per un servizio serio, pluralista e in quattro lingue». Le conseguenze, teme Fonio (unico oratore ticinese oggi), sarebbero la cancellazione di 2.400 posti di lavoro diretti e la perdita di altri 2.400 posti nell’economia privata colpita a cascata». A ciò si aggiunge il rischio di una centralizzazione dell’offerta, «con un inevitabile impoverimento informativo, culturale e di intrattenimento nelle regioni come il Canton Ticino. È davvero questo quel che vogliamo?», si è chiesto il deputato del Centro.
Tutto lascia indicare che il plenum seguirà l’indicazione della Commissione: no all’iniziativa, senza alcun controprogetto. Bisognerà tuttavia aspettare ancora nove giorni per il voto del Nazionale. Poi il dossier passerà agli Stati. Non sono però da escludere colpi di scena.