È scattata la corsa al riarmo: Martin Pfister apre all'Europa

L’Europa corre agli armamenti e la Svizzera non sta a guardare. E non chiude la porta all’eventualità di siglare un partenariato in materia di difesa con l’Unione europea sul modello britannico, un passaggio che sbloccherebbe la possibilità per la Confederazione e la sua industria bellica di attingere a un nuovo fondo UE per le commesse militari. A Bruxelles per partecipare alla due giorni dello «European Defence & Security Summit», evento annuale dedicato all’industria della difesa, il consigliere federale Martin Pfister ha incontrato ai margini della conferenza i rappresentanti di UE e NATO. Per una (felice) coincidenza dell’agenda, lo ha fatto proprio mentre, a Berna, il Consiglio degli Stati dava luce verde a un allentamento delle regole sull’esportazione e la riesportazione di armi verso Paesi UE e NATO. Un segnale di distensione verso molti governi europei - dalla Germania ai Paesi Bassi, dalla Spagna alla Danimarca - che in passato non avevano fatto mancare le loro critiche ai paletti posti da Berna in nome della neutralità e al no secco al trasferimento delle armi in Ucraina.
Impressionante sviluppo
A oltre tre anni dall’inizio dell’invasione russa e di fronte al disimpegno americano dal Vecchio continente, «una solida architettura di sicurezza europea è nel nostro interesse», ma «è anche importante spiegare ai partner quali sono i nostri limiti», legati alla neutralità, ha detto Pfister durante un punto stampa organizzato nella sede della missione svizzera presso l’UE, nella centrale Place du Luxembourg. Con i vicesegretari generali della NATO Radmila Šekerinska e Boris Ruge, la delegazione elvetica ha discusso del quadro di cooperazione per i prossimi quattro anni mentre l’Alleanza Atlantica si prepara al summit dei leader di fine mese a L’Aia (destinato ad aumentare gli obiettivi di spesa pubblica per la difesa); invece con Kaja Kallas, l’Alta rappresentante che è a capo della macchina diplomatica UE e con il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius, il consigliere federale ha parlato dell’aumento del bilancio dell’esercito svizzero e di quello che ha definito «l’impressionante sviluppo dell’Europa in termini di politica di sicurezza».
Per la Svizzera «è importante osservare e approfondire questo processo e, se del caso, sviluppare ulteriormente la cooperazione, soprattutto quando si tratta di acquistare equipaggiamenti militari». L’apertura, perlomeno per il momento, non equivale però a un sì. Una mozione, depositata a maggio dalla Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale, chiede la conclusione di un accordo di partenariato, ma il Consiglio federale deve ancora deliberare sulla questione, ha risposto il «ministro» della Difesa a chi gli chiedeva aggiornamenti: «La stiamo valutando», ha affermato Pfister, che pure considera una tale intesa come compatibile con la neutralità. Ma di cosa si tratta, in concreto? A fine maggio, al termine di un iter accelerato che si è concluso in appena due mesi, i governi dei 27 Stati membri dell’UE (con una sola astensione, la «solita» Ungheria) hanno approvato il regolamento istitutivo di «SAFE», il nuovo schema di prestiti finanziati dal bilancio UE con una dotazione di 150 miliardi di euro (oltre 140 miliardi di franchi). L’obiettivo di «SAFE» - che costituisce uno dei due pilastri della strategia di riarmo di Bruxelles, insieme a regole più morbide sui deficit nazionali - è sostenere l’incremento della produzione bellica facendo leva, in particolare, sugli appalti congiunti, così da assicurare una certa prevedibilità di ordini alla filiera militare.
Piano di spesa
Il regolamento prevede che, previa presentazione di un piano di spesa, si acquistino collettivamente una serie di capacità considerate prioritarie, come munizioni, missili, scudi antiaerei, droni e sistemi anti-drone, navi e sommergibili. Oltre ai 27 Stati UE, possono avere accesso ai prestiti l’Ucraina, i Paesi dello Spazio economico europeo (ma non dell’AELS), quelli candidati all’adesione e quelli con cui l’Unione ha sottoscritto un accordo di partenariato in tema di difesa e sicurezza. Il Regno Unito ne ha firmato uno a metà maggio e nel club, ben lontano dal continente, rientrano pure Giappone e Corea del Sud. La Svizzera, invece, perlomeno finché non siglerà un memorandum di questo tipo, è esclusa tanto dalla partecipazione agli appalti quanto dalla possibilità di fornire il grosso degli equipaggiamenti oggetto delle gare. Il perché è presto detto. All’interno del regolamento, su pressione in particolare francese, è stata inserita la clausola cosiddetta del «Buy European», una formula che favorisce gli acquisti di armi dalle aziende dell’UE e dei Paesi partner. Si introduce un limite massimo per le componenti delle commesse militari provenienti da fuori UE, se pagate dai 150 miliardi di «SAFE»: non devono superare il 35% dell’ordine. È entro questa soglia ridotta che, in assenza di un memorandum, si dovrà muovere la Svizzera. Un sentiero stretto, pur nell’ora del boom dei budget pubblici per la difesa, per un Paese che esporta nel resto del continente più dell’80% della sua produzione militare, ma che tra 2023 e 2024 ha visto il suo export bellico complessivo calare del 5%.