Ecco le imprenditrici svizzere che stanno cambiando la Svizzera (e non solo)

Nel 1805 una giovane donna di Reims, Barbe-Nicole Ponsardin, rimase vedova a soli ventisette anni, madre di una bambina di cinque, in un’epoca in cui alle donne non era concesso né lavorare né aprire un conto in banca. Il destino sembrava averla relegata all’ombra, ma lei scelse l’audacia. Prese in mano l’azienda del marito, trasformò l’arte dello champagne inventando la table de remuage e fissò nuovi standard di eccellenza. Così nacque la leggenda di Madame Clicquot, la «Grande Dame de Champagne». La sua storia non è soltanto un capitolo di storia imprenditoriale: è il paradigma di come la visione e il coraggio possano ribaltare convenzioni secolari. Ed è a lei che, da oltre cinquant’anni, Veuve Clicquot dedica il Bold Woman Award, un riconoscimento che celebra donne capaci di innovare e di resistere, proprio come fece lei.

Quaranta anni fa il premio è arrivato anche in Svizzera, e quest’anno, al Dolder Grand di Zurigo, la celebrazione ha assunto un sapore particolare: la Maison ha onorato due nuove protagoniste, Evelyne Pflugi con il Bold Woman Award e Margaux Peltier con il Bold Future Award. Due storie diverse eppure accomunate dall’essenza stessa del termine «bold»: affrontare l’incertezza, spingersi oltre ciò che sembrava impossibile, credere nella trasformazione.

Evelyne Pflugi, CEO e co-fondatrice di The Singularity Group, ha alle spalle un percorso nei grandi centri finanziari di Los Angeles e Londra. Avrebbe potuto restare nell’alveo sicuro delle banche tradizionali, ma ha scelto di intraprendere un sentiero nuovo, costruendo il Singularity Index, il primo strumento al mondo che rende investibili le innovazioni applicate. «Non volevo diventare CEO – racconta – preferivo restare sullo sfondo. Ma mi è stato chiesto di assumermi la responsabilità di guidare l’azienda che avevo contribuito a fondare. È stato un passo scomodo, eppure necessario. Oggi so che ne è valsa la pena». Nelle sue parole si riconosce l’eco di Madame Clicquot: l’essere gettati in una condizione imprevista e scegliere comunque di andare avanti.
Il mondo della finanza, spesso percepito come dominio maschile e impermeabile al cambiamento, non le ha reso facile il cammino. «Molti ci dicevano che non sarebbe stato possibile, che i grandi istituti avrebbero chiuso ogni porta. Eppure, poco a poco, qualcuno ha creduto in noi, e abbiamo costruito la nostra strada. È stato un percorso di anni, fatto di notti insonni, di decisioni difficili, di lacrime e di resistenza. Ma oggi il premio dimostra che quel rischio era giusto correrlo». Per lei, il nodo più sensibile non sono i mercati né le regolamentazioni: «Se il listino crolla o un’autorità ci impone vincoli, riesco comunque a mantenere la calma. Ma se nel team c’è un problema, allora la notte non dormo. Perché le persone sono la vera sfida: sono anche la parte più fragile e più preziosa di ogni impresa».

Accanto a lei, la giovane Margaux Peltier, ingegnere civile formata al Politecnico di Losanna, ha incarnato la promessa di un futuro diverso. Con Enerdrape ha immaginato un’energia che nasce non dai campi aperti o dalle centrali, ma dai luoghi quotidiani delle nostre città: parcheggi, infrastrutture sotterranee, superfici dimenticate che possono trasformarsi in fonti geotermiche. «Non era il mio sogno d’infanzia costruire pannelli per garage – sorride – ma a un certo punto tutto si è allineato: l’opportunità, le persone giuste, la fiducia che altri hanno riposto in me. Non sempre ero sicura di essere la persona adatta, ma ho accettato la sfida. Questo premio ha un valore particolare perché non riconosce solo la tecnologia, ma me come imprenditrice, come donna».
Anche per lei i momenti di dubbio non sono mancati: «Ci sono giorni in cui ti chiedi perché lo stai facendo, in cui sei stanca e vorresti mollare. Poi ti fermi e guardi la strada percorsa, e capisci che vale la pena andare avanti. Parlare con altri imprenditori aiuta: scoprire che anche i più grandi hanno avuto istanti di smarrimento rende più forte». In quelle parole risuona un invito alle nuove generazioni: «Non temete il fallimento. Provate. È meglio rimpiangere un tentativo che non averci mai provato». È la stessa filosofia che Madame Clicquot aveva incarnato due secoli fa: la capacità di vedere un’opportunità dentro la crisi, di accettare il rischio e di trasformarlo in nuova linfa vitale.
Queste due voci, così diverse, si intrecciano in una medesima trama: la convinzione che la visibilità crei possibilità. È la filosofia che anima il programma Bold di Veuve Clicquot, fatto di ricerche, database internazionali, reti di mentoring e incontri che spingono le donne a occupare il posto che spetta loro nella narrazione economica e sociale. Perché, come ha ricordato Brune Failliot, direttrice Globale della Comunicazione, Cultura e Digitale di Veuve Clicquot, «quando una ragazza vede un’imprenditrice audace, può dirsi: anch’io posso farcela». Il messaggio è chiaro: ogni successo individuale diventa un faro per chi cerca ancora la strada.
La serata di Zurigo, tra calici di champagne, parole intense e musica vibrante, non è stata soltanto una premiazione. È apparsa come la conferma che l’audacia non è un atto isolato, ma un movimento collettivo che ha preso forma due secoli fa, quando una giovane vedova di Reims decise di sfidare le regole del suo tempo, e che continua oggi nelle voci di Evelyne Pflugi e Margaux Peltier. Donne diverse per età, ambiti e percorsi, ma unite dalla capacità di non arretrare di fronte all’impossibile, trasformando fragilità e dubbi in energia creativa.
In quell’eredità si riflette ogni nuova generazione: la consapevolezza che il futuro appartiene a chi osa varcare confini. Il coraggio, ieri come oggi, si trasmette come una corrente che passa di mano in mano, di vita in vita, fino a farsi invito universale: rialzarsi, tentare, credere. Perché l’audacia non è un lusso, è una necessità. E chi la pratica, da Madame Clicquot alle protagoniste di questa edizione, lascia un’impronta che diventa ispirazione e promessa di futuro.