I dazi al 15% passano dall’addio alla tassa per i colossi del web

L’Unione europea, oggi, ha pesantemente multato X: la piattaforma, che prima dell’acquisizione di Elon Musk si chiamava Twitter, dovrà pagare 120 milioni di euro per aver violato gli obblighi di trasparenza previsti nella legge europea sui servizi digitali (cfr. pagina 21). Si tratta del primo colosso ad essere sanzionato da questa legge (approvata nel 2022 a Bruxelles) pensata per creare un ambiente online più sicuro e trasparente e proteggere così gli utenti, specie i più giovani.
In Svizzera, invece, questa regolamentazione probabilmente non vedrà mai la luce. O, almeno, non in tempi brevi. Il Consiglio federale, dopo mesi di speculazioni, ha confermato che «continuerà ad astenersi dall’introduzione di una tassa sui servizi digitali», nota come «Digital Services Tax».
Le tariffe sono ancora al 39%
Si tratta di una delle (numerose) concessioni di Berna per ottenere tariffe doganali ridotte: i dazi, attualmente, sono ancora al 39%. Ma quando entrerà in vigore l’attesa aliquota forfettaria del 15%, annunciata lo scorso 14 novembre? Per il «ministro» dell’Economia Guy Parmelin, il termine doveva essere fine novembre. Non è stato così. «Prevediamo che sarà ancora questo mese. Tuttavia, il Consiglio federale non ha ancora una data precisa. Attendiamo novità nei prossimi giorni», ha invece detto oggi a Berna il «ministro» degli Esteri Ignazio Cassis. «Rimaniamo dell’idea che le nuove aliquote doganali saranno applicate nella prima metà di dicembre», ci spiegano invece dal Dipartimento federale dell’economia. Per l’ordine esecutivo di Donald Trump è dunque questione di giorni (se non di ore).
Nel frattempo, è stato fatto un passo avanti: il Governo ha approvato il progetto di accordo commerciale con Washington e lo ha sottoposto alle commissioni della politica estera del Parlamento e ai Cantoni. «L’obiettivo principale dei prossimi negoziati sarà quello di consolidare le agevolazioni doganali sulle importazioni USA dalla Svizzera», spiega il Consiglio federale, aggiungendo che ora si appresta ad intavolare «negoziati per un accordo commerciale giuridicamente vincolante». La dichiarazione d’intenti raggiunta poche settimane fa, non lo è. Quando è la data di scadenza? «La dichiarazione d’intenti prevede la conclusione dei negoziati, se possibile, nel primo trimestre del 2026», ci spiega la SECO, aggiungendo che ciò dipenderà «dalla possibilità di raggiungere un risultato soddisfacente per entrambe le parti».
Non pestare i piedi a Bruxelles
Il Consiglio federale, nonostante le concessioni messe sul tavolo diplomatico, non cerca un accordo a ogni costo: ci sono linee rosse. «Il risultato dei negoziati dovrà rispettare gli obblighi costituzionali e internazionali della Svizzera, in particolare gli Accordi bilaterali esistenti con l’UE e il pacchetto di stabilizzazione e sviluppo delle relazioni con l’UE», precisa il Governo, che ha poi elencato in modo superficiale i punti fissati nella dichiarazione d’intenti. Il Consiglio federale, oltre a questioni legate alla proprietà intellettuale e alla formazione professionale, parla di eliminare «eventuali ostacoli burocratici, inutili prescrizioni tecniche e restrizioni al commercio», senza tuttavia indicare quali. Nell’elenco figurano anche i «prodotti originari degli Stati Uniti». Per Berna, «le eventuali concessioni supplementari svizzere dovranno essere compatibili con la nostra politica agricola».
Il pollo al cloro
Si tratta dell’ormai noto pollo al cloro? «Le concessioni in materia di accesso al mercato (abolizione dei dazi doganali) riguardano solo gli aspetti tariffari delle importazioni, ma non le norme in materia di legislazione alimentare e altre disposizioni vigenti in Svizzera», ci spiegano dal Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR). Il timore per il «pollo al cloro», ha portato la «senatrice» Mathilde Crevoisier Crelier (PS/JU) a chiedere il divieto di importare carne di pollame trattata chimicamente. La mozione verrà discussa lunedì agli Stati.
Non riguarda il settore pubblico
E poi c’è la questione dei privati. «Le aziende svizzere attive negli USA - scrive il Governo - hanno annunciato di voler investire almeno 200 miliardi di dollari negli stati federali statunitensi nei prossimi cinque anni. Si tratta tuttavia di un preannuncio che non riguarda il settore pubblico perché proviene dagli ambienti economici», tiene a sottolineare il Consiglio federale, che strizza così l’occhio all’economia (e alla discussa visita degli imprenditori svizzeri nello Studio Ovale della Casa Bianca).
Consultazione mai avviata
Tra le concessioni maggiori, per ottenere una riduzione dei dazi, figura però la rinuncia a introdurre la tassa sui servizi digitali. La regolamentazione delle piattaforme (come Facebook, Google, X o Youtube) doveva «orientarsi alle disposizioni della legge sui servizi digitali dell’UE», indicava il Consiglio federale nel 2023, poco dopo aver incaricato il DATEC di preparare un avanprogetto da porre in consultazione «entro la fine di marzo 2024». Eppure, fino ad aprile 2025, non succede più nulla. Poi l’annuncio: «Il progetto di consultazione è stato elaborato. Il Consiglio federale se n’è già occupato più volte e prenderà una decisione in un momento successivo».
Dopo oggi, è chiaro che questa regolamentazione è ormai seppellita. Almeno per il momento. «Il mandato stabilisce esplicitamente che il Consiglio federale intende continuare a rinunciare alla richiesta di una tassa sui servizi digitali», precisa al CdT la SECO, sottolineando però che il processo parlamentare non è interessato da questa decisione. Tradotto: se le Camere federali vogliono riesumare il progetto, il Governo dovrà adeguarsi. Poco importa quanto negoziato con Washington. D’altronde, «la sovranità e la neutralità della Svizzera saranno garantite anche in futuro», assicura il Consiglio federale.
