«I musulmani moderati devono capire che si tratta di difendere i nostri valori»

Se il Ticino ha fatto scuola con il divieto di dissimulazione del viso lo si deve in primis a Giorgio Ghiringhelli (alias «Il Guastafeste»), che aveva lanciato l’iniziativa accolta nel 2013. Ghiringhelli ha voluto commentare il risultato solo con un comunicato stampa (vedi sotto), ma ha accettato l’invito di ripercorrere le tappe della sua battaglia, iniziata più di dieci anni fa.
Da dove è partito tutto?
«A darmi la scossa sono stati alcuni libri usciti nei primi anni dopo gli attentati alle Torri gemelle del 2001: “La rabbia e l’orgoglio” e “La forza della ragione” di Oriana Fallaci, che ha spiegato con ampia documentazione la strategia dei Paesi islamici per conquistare l’Europa. Si è poi aggiunto il libro di Sylvain Besson (2005), allora caporedattore di Le Temps, intitolato “La conquista dell’Occidente. Il progetto segreto degli islamisti”. Quest’ultimo libro andava in profondità anche su quello che stava avvenendo in Ticino. Ho capito che dagli anni Settanta in avanti era in atto una precisa strategia da parte dei Paesi islamici dell’OCI (Organizzazione della Cooperazione Islamica, ndr) per islamizzare l’Europa puntando anche sull’immigrazione, una sorta di colonizzazione alla rovescia. Per questo mi sono chiesto che cosa potessi fare, nel mio piccolo, di fronte all’immensità di questo problema».
E come è passato all’azione?
«Ho iniziato a studiare quello che stava accadendo in Francia, temendo che prima o poi lo stesso sarebbe capitato anche in Svizzera. Già nel 2004 era stata introdotta una legge che vietava di indossare simboli religiosi nelle scuole. Ad ispirarla era stata la crescente diffusione del velo islamico fra le ragazze. Sei anni dopo è arrivata la legge anti-burqa, nata anche qui per la diffusione del velo integrale. Visto che in Francia la proposta aveva superato tutti i controlli interni di costituzionalità, mi sono detto che avrei potuto avviare la stessa battaglia».
Di qui la petizione del 2010 al Gran Consiglio per vietare il velo nelle scuole?
«Era stato un ballon d’essai. Ed infatti era stata bocciata. Per questo ho deciso di lanciare l’iniziativa popolare contro la dissimulazione del viso, simile alla legge francese. Sono partito con l’idea di formare un comitato interpartitico. C’erano Roberta Soldati dell’UDC, Lorenzo Quadri della Lega, Marina Masoni e Olga Cippà del PLR, Alberto Siccardi di Area liberale, Edo Pellegrini dell’UDF, Leda Soldati dei Verdi e Iris Canonica. Abbiamo deciso di lanciare un’iniziativa costituzionale. Mai avuto un simile successo con un’iniziativa: 12 mila firme in meno di due mesi. Il resto è noto. Nel 2014, la sentenza favorevole della CEDU alla legge francese ha poi sbloccato tutto anche a livello federale. Al divieto di dissimulazione ticinese è stata accordata la garanzia di costituzionalità. Forse, senza questo verdetto, non ci sarebbe stata nemmeno questa inizitiva del Comitato di Egerkingen».
Ma di chi è infine la primogenitura di questa iniziativa?
«Il Comitato di Egerkingen l’ha organizzata dal punto di vista materiale. Ma il comitato ufficiale iscritto sul foglio della raccolta delle firme è composto anche da altre persone, tra cui cinque ticinesi non appartenenti al Comitato di Egerkingen: il sottoscritto, Marina Masoni, Olga Cippà, Iris Canonica e Lorenzo Quadri».
Si aspettava tutta questa risonanza dopo il 2015?
«Avevo lanciato l’iniziativa in Ticino con due obiettivi: uno dissuasivo, per evitare che i pochi casi di velo integrale riscontrati allora diventassero tanti in futuro; l’altro di fare scuola in Svizzera. Non mi aspettavo che qualcuno lanciasse poi un’iniziativa federale, pensavo che ci potessero essere iniziative in singoli cantoni. In questa campagna mi ha comunque sorpreso in negativo l’atteggiamento dei liberali. Così come la scelta del Coordinamento donne della sinistra di schierarsi in un comitato assieme anche alla Comunità islamica del Ticino, un covo dei Fratelli musulmani».
In questi anni è stato anche accusato di islamofobia e razzismo.
«Associare l’accusa di islamofobia a quella di razzismo è stato un escamotage islamista ri uscito per delegittimare in partenza chi critica l’Islam come ideologia totalitaria, anche se queste critiche sono documentate e argomentate».
Ma lei è arrivato anche a proporre di mettere l’Islam fuori legge. Non è forse questa una forma di controfanatismo illiberale?
«Quando uno ritiene che l’Islam sia un pericolo mortale per l’Occidente, che cosa può fare? Avevo detto: o l’Islam viene riformato e trasformato in una religione normale, ma non lo si vuol fare; oppure viene lasciato così com’è, e allora diventa un’ideologia fascista pericolosa, da vietare».
I musulmani moderati potrebbero sentirsi stigmatizzati da chi continua a criticare l’Islam.
«I musulmani che risiedono in Occidente ( e in Svizzera) godono degli stessi diritti e delle stesse libertà di tutti gli altri cittadini, senza distinzioni di religione o di sesso , e che non vengono concessi in nessun altro Paese islamico. Per cui non vedo di cosa mai dovrebbero lamentarsi. Essi devono però capire che le critiche all’Islam sono più che giustificate, fino a quando questa religione-ideologia non viene riformata in senso pacifico (ad esempio dichiarando obsoleti i versetti violenti contenuti nel Corano) e non viene limitata solo agli aspetti spirituali ; perché l’interpretazione in chiave fondamentalista, da cui deriva quel complesso di leggi religiose, vale a dire la sharia, che gli islamisti vorrebbero introdurre al posto della democrazia, è assolutamente incompatibile con i diritti umani e con la nostra Costituzione. I musulmani moderati che vivono in Svizzera devono dunque capire che chi critica o attacca certi simboli o certe regole dell’Islam politico non lo fa per stigmatizzare i musulmani, che sono le prime vittime del fascismo islamico, ma per difendere il proprio Paese da pratiche e norme in contrasto con la nostra civiltà».
IL COMUNICATO
L’esultanza del Guastafeste
«Oggi posso dire : “Missione compiuta” ! Il popolo e i Cantoni hanno dato un chiaro segnale di resistenza contro l’islamizzazione della Svizzera , e allo stesso tempo hanno dato una tirata d’orecchi al Governo, al Parlamento e a quei partiti che si erano opposti all’iniziativa con il pretesto che le donne con il velo integrale in Svizzera erano solo poche decine, dimostrando così di non aver capito che in ballo vi era una questione di principio e non di numeri. Si trattava di scegliere il tipo di società in cui vogliamo vivere e che vogliamo trasmettere alle future generazioni».