La lotta alla pandemia

I tamponi saranno a pagamento, ma le carte in tavola sono cambiate

Dal prossimo 1. ottobre, come noto, la Confederazione non rimborserà più i test rapidi per gli asintomatici - La politica però non ci sta e chiede al Consiglio federale di tornare sulla propria decisione - Diversi i punti ancora da chiarire nella pratica
Dal 1. ottobre le tendine per i test gratuiti spariranno.  © cdt/chiara zocchetti
Paolo Galli
16.09.2021 06:00

Prima la politica parlamentare a Berna. Poi una petizione online lanciata da un privato cittadino sulla piattaforma Campax. Il tema dei test gratuiti è tornato prepotentemente nell’agenda politica e sanitaria dei Cantoni. Sullo sfondo, la decisione del Consiglio federale che fissa al 30 settembre la fine del finanziamento dei test antigenici rapidi per gli asintomatici. Cosa significa? Che dal primo ottobre le persone che vorranno sottoporsi a un test dovranno farlo di propria tasca. Così ha deciso e comunicato il Governo federale lo scorso 11 agosto.

«Che restino gratuiti!»

Nel frattempo, però, le carte in tavola sono cambiate. Ne sono convinti i gruppi parlamentari a Berna, che sul tema hanno mostrato un’unanimità piuttosto rara in materia di pandemia. Secondo la maggioranza del Parlamento i test rapidi dovrebbero rimanere gratuiti anche per le persone asintomatiche. Martedì sera il gruppo parlamentare UDC ha adottato una risoluzione con cui chiede che «la Confederazioni continui a sostenere i costi dei test-COVID anche dopo il 1. ottobre e per tutto il tempo in cui varrà l’obbligo del certificato». Una richiesta sostenuta da tempo anche dai Verdi. ll presidente del partito ecologista svizzero, Balthasar Glättli, ha definito l’abolizione «sbagliata e pericolosa»: «I test gratuiti sono importanti per rompere le catene di infezione».

Sulla falsariga il tweet del presidente dell’Alleanza di centro Gerhard Pfister: «Quando si parla di COVID l’obiettivo più importante resta di sgravare gli ospedali. Pertanto, l’accettazione del certificato deve essere aumentata. Ecco perché sono necessari i test gratuiti». La consigliera nazionale PS Flavia Wasserfallen porterà il tema in Commissione sanità il prossimo 22 settembre, convinta che il Consiglio federale debba continuare a finanziare i test, nella misura in cui «la discussione sull’abolizione della copertura dei costi in seno alla commissione è avvenuta quando l’estensione dell’obbligo del certificato non era ancora stata tematizzata». La nuova estensione del certificato, in vigore da inizio settimana, cambia, insomma, la prospettiva. «Il test diventa infatti un prerequisito indispensabile per accedere a vari luoghi come ristoranti e centri fitness». Una questione di parità di trattamento, quindi. E proprio in questi termini argomenta la petizione online lanciata negli scorsi giorni sulla piattaforma Campax da un privato cittadino, al momento sottoscritta da oltre 200 mila persone. Ma nonostante il consenso allargato sotto la cupola di Palazzo federale, per il Parlamento non sarà tanto semplice rovesciare la decisione dell’Esecutivo. Resta da vedere come reagirà il Consiglio federale.

Questioni aperte

Ma dal punto di vista pratico cosa cambierà dal 1. ottobre? E soprattutto: come si dovranno comportare i farmacisti? Il cambio di strategia, apparentemente semplice, in realtà solleva più di un interrogativo. A livello cantonale si sta lavorando con una certa urgenza in vista della comunicazione, prevista per la settimana prossima, ai partner sul territorio.

Al momento sappiamo che la Confederazione continuerà ad assumersi le spese per i test nelle aziende (vedi articolo sotto), per quelli dei visitatori di ospedali e case di riposo, per i ragazzi sotto i 16 anni e le persone che per ragioni mediche non possono vaccinarsi. Ma chi emetterà il certificato medico con cui si attesta che una persona non può essere vaccinata? «Al momento non è dato a sapere», commenta al Corriere del Ticino il portavoce dell’Ordine dei farmacisti Federico Tamò.

Altra questione: come evitare gli abusi. Su questo punto una soluzione sembra essere stata trovata. Il test continuerà a essere gratuito per chi presenta sintomi, ma - in questi casi - non darà diritto a un certificato. «Chi vorrà fingere sintomi, potrà farsi testare ma non riceverà il certificato con il QR code», continua Tamò. Stesso discorso per le visite negli ospedali e nelle case di riposo. «I costi sono a carico della Confederazione. Ma saranno le strutture a dover offrire il test ai visitatori. Anche in questo caso non darà diritto a un certificato COVID».

Un’altra questione, non ancora risolta, riguarda il caso delle persone a cui è stata somministrata solo la prima dose. In attesa della seconda chi dovrà assumersi i costi dei tamponi?

La guerra dei prezzi

Ma la vera domanda riguarda il costo del tampone. Oggi, la Confederazione, per l’antigenico rapido in farmacia, paga 47 franchi. Cosa accadrà dal 1. ottobre? Tenuto conto che difficilmente si andrà verso un prezzo concordato a livello federale, non si rischia una corsa al ribasso dei prezzi tra le farmacie? Ancora Tamò: «Si entrerà in un regime di libero mercato, ma nella maggior parte dei casi credo che il prezzo non si discosterà di molto da quello attuale».

«La direttiva federale è chiara: costi a carico delle aziende»

Ma in azienda chi pagherà il test? Il datore di lavoro o il dipendente? In questo caso dobbiamo rifarci alle comunicazioni del Consiglio federale della settimana scorsa. Come noto, la Confederazione ha consentito l’impiego del certificato COVID anche sul posto di lavoro. «La misura tuttavia dovrà essere adeguata al piano di protezione in vigore nell’azienda», precisa una nota del Consiglio federale. Ovvero, l’introduzione del certificato potrà avvenire soltanto nel contesto di piani di protezione e secondo un principio di proporzionalità. Per esempio: pensare di introdurre il pass nel settore agricolo, per il lavoro sui campi, rischia di essere facilmente attaccabile.

«Diversa per contro la situazione nell’industria o nei servizi», commenta al Corriere del Ticino il sindacalista di UNIA Vincenzo Cicero: «Sul tema siamo stati contattati in questi giorni da una grande azienda con oltre mille dipendenti. In questo momento, ci troviamo nella prima fase delle trattative, ma la direttiva del Consiglio federale sembra piuttosto chiara sul tema: se vige l’obbligo di un certificato COVID, l’azienda deve offrire regolarmente ai dipendenti la possibilità di effettuare test, per esempio a cadenza settimanale, o assumerne i costi se non offre test ripetuti. Tutto questo dopo aver sentito e coinvolto i dipendenti».

In realtà, sulla questione del pagamento dei test non sembrano esserci particolari dubbi in seno alle aziende. «La maggior parte delle domande riguarda piuttosto le modalità di introduzione del certificato», ha commentato dal canto suo il direttore di AITI Stefano Modenini. «In molti hanno chiesto a quali condizioni si può obbligare i non vaccinati a indossare la mascherina. Oppure, se si possono introdurre limitazioni per alcuni locali, come per esempio la sala mensa aziendale».