L'analisi

Il 70% dell’energia svizzera arriva da fuori

Secondo gli esperti lo stop tedesco non avrà comunque ripercussioni significative nel nostro Paese
©Gabriele Putzu
Dario Campione
15.04.2023 06:00

Secondo un recente studio della Fondazione svizzera per l’energia (FSE), la produzione interna di energia nel nostro Paese copre meno del 30% del fabbisogno. Il restante 70% dev’essere acquistato dall’estero. E la Confederazione spende per questo, in media, 8 miliardi di franchi l’anno. Nel 2022, con l’innalzamento dei prezzi dovuto all’invasione dell’Ucraina e alla conseguente interruzione dell’erogazione di gas dalla Russia, la cifra si è addirittura attestata attorno ai 13 miliardi.

Il tasso di indipendenza energetica del 29,7% (dato 2021) colloca la Svizzera nelle ultime posizioni della classifica europea. Tuttavia, sottolinea l’FSE, la Confederazione è riuscita ad aumentare la produzione propria del 10% in 20 anni, passando (dal 2001 al 2021) da circa il 20% a quasi il 30%.

Stando alle analisi della FSE, la transizione energetica dalle fonti fossili e nucleari verso quelle sostenibili rafforzerà ulteriormente l’indipendenza energetica del Paese. Il motivo è da ricercare nell’elettrificazione - ovvero la sostituzione di tecnologie e servizi che usano combustibili fossili con quelli che usano elettricità ricavata da fonti rinnovabili - di molti esercizi, oltre che nell’espansione delle capacità di produzione di elettricità in territorio nazionale.

Quote minime

Massimo Filippini, ordinario di Economia politica all’USI e al Politecnico di Zurigo, è diretto: «Non penso che la chiusura delle centrali tedesche determinerà un impatto rilevante sulla sicurezza di approvvigionamento, sui prezzi dell’elettricità e sulle emissioni di CO₂ - dice al CdT - Il ruolo del nucleare nel sistema elettrico tedesco è piuttosto limitato, all’incirca il 6% della produzione nel 2022 e meno del 6% nei primi mesi invernali del 2023. Per la Germania sarà più importante espandere ulteriormente le fonti rinnovabili, che oggi rappresentano il 47% della produzione, per sostituire le centrali a carbone».

Per il mercato elettrico svizzero e per quello europeo, aggiunge Filippini «è molto più importante l’andamento della produzione delle centrali nucleari francesi. Lo dimostra il fatto che l’importante riduzione nel 2022 della produzione delle centrali transalpine per questioni di sicurezza ha contribuito a far salire in modo importante i prezzi dell’elettricità in tutta Europa».

Anche secondo Giovanni Leonardi, presidente della Azienda elettrica ticinese (AET), lo spegnimento delle ultime tre centrali nucleari tedesche rimaste sin qui attive non avrà conseguenze dirette per la Svizzera. «I meccanismi di funzionamento del mercato dell’energia elettrica non sono legati alla singola fonte di produzione - dice Leonardi al CdT - L’energia si compra su una piattaforma di scambio, una sorta di Borsa, quindi non dai singoli Paesi ma dai distributori». È chiaro che fisicamente, molta dell’energia acquistata dal nostro Paese «arriva dalla Germania e dalla Francia, le nazioni a noi più vicine, ma sinora, nonostante tutto, non ci sono stati grandi problemi». Paradossalmente, avverte Leonardi, «le maggiori difficoltà sono dipese dallo spegnimento per manutenzione di parte dei reattori francesi. I tedeschi hanno già dismesso 15 centrali nucleari, ma per compensare ne hanno riattivato alcune a carbone. La disattivazione delle ultime tre non cambia lo scenario. In ogni caso, vedremo che cosa succederà nei mesi che ci aspettano, quale sarà il prossimo passo della politica tedesca e quali decisioni saranno prese sull’utilizzo del gas e delle fonti rinnovabili».

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