Il compleanno amaro di Swissair

Un compleanno amaro. Senza torta. Senza candeline. E con un carico di nostalgia da riempirci non uno, ma addirittura cento aerei. Oggi, venerdì 26 marzo, Swissair avrebbe compiuto 90 anni. Avrebbe, già. Perché il fiore all’occhiello dell’aviazione svizzera (e mondiale) non esiste più. Da parecchio tempo oramai. Il grounding dell’ottobre 2001, quindi la fine – quella vera – curiosamente legata all’inizio o, meglio, alla primavera. Era il 1. aprile del 2002, infatti, quando l’ultimo aeromobile «targato» Swissair atterrò a Zurigo. Volo SR145 in provenienza da San Paolo.
L’America in Europa
L’ascesa, il declino, la scomparsa. Di sicuro, nessuno al momento della sua fondazione avrebbe scommesso un franco sul successo di Swissair. Nata come società anonima dalla fusione di Ad Astra Aero e Balair, aveva un nome lungo quanto un sogno: Swissair Schweizerische Luftverkehr Aktiengesellschaft. Ma, all’apparenza, aveva anche grosse limitazioni. Geografiche, innanzitutto: la Svizzera, incastonata in mezzo alle Alpi, non sembrava destinata a giocare un ruolo predominante nell’aviazione internazionale. E poi politiche. Dietro a Swissair soffiava forte il vento della Confederazione. Le ambizioni, però, non mancavano e, parallelamente, nemmeno una certa libertà d’azione. All’inizio, la flotta era formata da tredici velivoli per un totale di 86 posti. Ma gli affari crebbero in fretta. Rispetto a compagnie come Air France, ad esempio, costretta ad acquistare velivoli francesi e a volare verso le colonie, Swissair poteva agire secondo una logica di mercato. Da una parte scegliendo i migliori aerei in circolazione e, dall’altra, volando su rotte più redditizie. Presto, la piccola compagnia elvetica avanzò a tal punto da essere considerato un vettore all’avanguardia. Nel 1932 acquisì due Lockheed L-9 Orion diventando così la prima azienda europea a servirsi di velivoli statunitensi mentre due anni dopo impiegò, per prima nel vecchio continente, personale femminile a bordo.
L’aeroporto di Magadino
A suo modo, Swissair è legata a doppio filo anche al Ticino. Durante la Seconda guerra mondiale, complice il rischio di un’invasione da nord, le operazioni vennero spostate all’aeroporto di Magadino. Il traffico aereo, tuttavia, si interruppe con l’entrata in guerra dell’Italia. Finito il conflitto, nel 1947 la Swissair si trasformò in una società a economia mista e, soprattutto, cominciò a essere vista e definita come una compagnia di bandiera. Vi fu l’ingresso nel capitale azionario del settore pubblico, in particolare Ferrovie federali svizzere, Poste, telefoni e telegrafi, cantoni e perfino comuni. Swissair, ad ogni modo, pareva appesantita rispetto agli albori. Iniziò tardi a offrire voli intercontinentali e, ancora, disponeva di una flotta superata in termini di prestazioni e affidabilità. Nel 1949, la svalutazione della sterlina britannica impattò fortemente sulle finanze della compagnia. Costringendo la Confederazione a correre ai ripari.

La banca volante
Swissair tornò a volare, in tutti i sensi, negli anni Cinquanta e Sessanta. Sistemando i conti, aprendo nuove rotte verso Asia, Sudamerica, Stati Uniti e Africa e, ancora, ricorrendo ai primi aerei a reazione. Entro il 1968 la flotta sarebbe stata composta soltanto da aviogetti. Appannaggio delle classi più abbienti della popolazione, volare divenne sempre più popolare ancorché costoso. E la Swissair, di riflesso, divenne un vanto nazionale tant’è che molti suoi passeggeri la consideravano parte integrante dell’identità elvetica. Nel 1971 fu acquistato il primo Boeing 747, la regina dei cieli, modello che avrebbe segnato l’epoca e ridefinito i viaggi. Swissair, semplicemente, era un simbolo di successo. Un successo al 100% rossocrociato. La bandiera elvetica era presente (quasi) in ogni angolo del pianeta. Un vanto, per i cittadini. E per la politica, di cui Swissair era un prolungamento tanto in volo quanto nelle varie città servite. Ad esempio, non era raro trovare un’ambasciata e un ufficio della compagnia nello stesso edificio. Le ore di volo tra l’inizio degli anni Sessanta e il 1989 passarono da poco più di 80 mila a quasi 190 mila, i dipendenti da 7 mila e qualcosa a quasi 20 mila. Il bilancio, particolare non da poco, restò costantemente in attivo mentre la capacità del vettore di autofinanziarsi era notevole. Di qui il soprannome «banca volante».

L’inizio della fine
L’inizio della fine, tuttavia, non era lontano. Swissair accusò i primi colpi alla fine degli anni Ottanta, il decennio dell’edonismo yuppie e del turbocapitalismo. Galeotta fu la liberalizzazione dei cieli voluta dall’Unione Europea, che pose la compagnia in una posizione di svantaggio. Al quadro generale si aggiunse la bocciatura popolare all’adesione allo spazio economico europeo del 1992.
Swissair reagì ai mutamenti stringendo e creando alleanze. Da Global Excellence a European Quality Alliance. C’erano giganti come Delta e Singapore, poi SAS, Austrian e Finnair. Sul tavolo c’era anche una fusione con KLM, SAS e Austrian: il progetto Alcazar che, tuttavia, naufragò presto a causa degli eccessivi campanilismi. Così, dal 1994 Swissair mise in piedi una strategia diversa. Ambiziosa e, proprio per questo, fallimentare. Denominata strategia Hunter, attraverso la partecipazione in altre compagnie avrebbe permesso a Swissair di creare un proprio sistema di trasporto aereo. Svizzero e globale. Nacque il gruppo SAir e, quasi subito, nacquero i problemi. I vari partner nei quali Swissair aveva investito, infatti, lamentavano grossi problemi finanziari. La neonata alleanza Qualiflyer, insomma, a fronte di buoni risultati iniziali nascondeva nuvole nere. Anzi nerissime. Nel 2000, ad esempio, il disavanzo arrivò a sfiorare i 3 miliardi di franchi.

Il disastro di Halifax
Il quadro generale, complicatissimo, si aggravò nel 1998 a causa di un incidente. Il più grave nella storia della compagnia. Il 2 settembre, un MD-11 in volo da New York a Ginevra si inabissò nell’Atlantico al largo delle coste di Halifax dopo che i piloti segnalarono fumo in cabina e decisero di tentare un atterraggio di emergenza proprio a Halifax. Persero la vita 214 passeggeri e 14 membri dell’equipaggio. Ci vollero anni per stabilire la causa del disastro. Alla fine, l’inchiesta stabilì che il surriscaldamento proveniente dal cablaggio del sistema di intrattenimento provocò un principio di incendio nei materiali isolanti. L’incendio si propagò velocemente, comprendendo materiali altamente infiammabili e, nel giro di pochi minuti, rendendo ingovernabile l’aereo.
L’immagine della compagnia ne uscì fortemente peggiorata. Il collasso del traffico aereo in seguito all’11 settembre fece il resto. Il gruppo, prima degli attentati, aveva cercato di disimpegnarsi dai vari accordi di partecipazione nelle compagnie estere mentre il CdA, preso atto della reale situazione, aveva annunciato le dimissioni in blocco. Nel marzo del 2001, al capezzale di Swissair era stato chiamato Mario Corti. Il cui tentativo, disperato, fallì proprio per un evento senza precedenti come l’11 settembre. Corti, quantomeno, gettò le basi per il rilancio lavorando alla fusione con Crossair.
Il grounding e la rinascita
Fra settembre e ottobre del 2001 si consumarono gli ultimi, concitati giorni di Swissair. Sotto la regia delle due grandi banche svizzere, UBS e Credit Suisse, venne deciso l’acquisto delle azioni Crossair da parte delle stesse banche con l’obiettivo di assicurare aerei, marchio e altre attività di SAir Group. Il Consiglio federale si era detto pronto ad aiutare. Il guaio? Swissair necessitava subito di grossissime dosi di liquidità per garantire le operazioni di volo. Una richiesta impossibile da soddisfare nel breve, tant’è che il 2 ottobre Mario Corti, senza appoggi concreti, si trovò costretto a interrompere ogni attività. Il grounding, sì. Uno dei più grandi simboli del Paese si ritrovò a terra, senza soldi e senza prospettive, con equipaggi bloccati all’estero e costretti a pagare di tasca loro il rientro.
Il 5 ottobre venne stanziato un credito di emergenza dalla Confederazione e in seguito, sulla base della vecchia Crossair, fu fondata Swiss. Una nuova compagnia di bandiera nel frattempo passata sotto il controllo di Lufthansa. Come dire: la vera Svizzera tramontò vent’anni fa. E non sarebbe più ritornata. Un compleanno amaro, proprio così.