Il Gruyère e gli altri: come il formaggio svizzero potrebbe venire ucciso dai dazi

Dazi al 39%, parliamo evidentemente della misura annunciata lo scorso 1. agosto da Donald Trump, potrebbero nuocere (e pure parecchio) all'industria svizzera del formaggio. Già, perché il settore – come spiega Le Temps – esporta ogni anno fra le 8 e le 9 mila tonnellate negli Stati Uniti, per un valore di circa 114 milioni di franchi nel 2024.
Detto che tutti i formaggi sarebbero ugualmente colpiti da un aumento, drastico, delle tariffe, alcuni vantano una quota di mercato maggiore in America. Le Temps, al riguardo, cita il Gruyère AOP, che sta registrando una forte crescita delle vendite negli Stati Uniti. Negli ultimi anni, l'associazione alle spalle di questo formaggio ha investito in maniera massiccia nel mercato USA. Le vendite, in dieci anni, sono quasi raddoppiate mentre gli Stati Uniti, oggi, rappresentano circa un terzo delle esportazioni.
Considerando che la minaccia di una sovrattassa del 10% pendeva sulla testa degli esportatori svizzeri già dallo scorso aprile, l'Interprofession du Gruyère (l'associazione del Gruyère appunto) aveva in ogni caso previsto un calo della produzione di circa il 3%. Gli agricoltori e gli altri partner, insomma, erano preparati ed erano stati sollecitati a trovare delle misure. «Dobbiamo produrre meno latte» ha affermato un agricoltore della regione del Gros-de-Vaud. «Quindi, o riduciamo la nostra mandria di vacche da latte di circa due o tre capi, a seconda delle dimensioni dell'azienda, o riduciamo la produzione dei nostri animali. Ma non è un compito facile».
Olivier Isler, direttore dell'Interprofession du Gruyère, ha confermato che l'organizzazione ombrello aveva inizialmente stimato una riduzione delle esportazioni di circa 1.000 tonnellate, ovvero un quarto dei volumi esportati negli Stati Uniti. Altri professionisti del settore, d'altro canto, temono che questa previsione sia un po' ottimistica e che questa cifra possa essere raddoppiata a seconda della reazione dei consumatori americani. «Con questa sovrattassa del 39%, il prezzo di vendita nei negozi locali ne risentirà direttamente» ha ammesso Isler. «Non possiamo abbassare il nostro prezzo di esportazione. Temiamo quindi che il formaggio Gruyère diventi troppo caro negli Stati Uniti e che alcune persone non possano più acquistarlo. La cosa peggiore per noi sarebbe se i nostri partner non volessero più distribuirlo a causa del calo delle vendite».
Per il settore, le negoziazioni portate avanti dal Consiglio federale rappresentano una tragedia. E a ragione. L'Unione Europea è riuscita a concludere un accordo che fissa i dazi doganali sui prodotti europei al 15%. Di conseguenza, se i clienti americani trovassero il Gruyère DOP economicamente inaccessibile, potrebbero rivolgersi ad altri prodotti come il Comté francese. «La concorrenza è dura» ha ribadito Isler. «Tuttavia, rimaniamo fiduciosi perché sappiamo che le persone apprezzano molto il nostro Gruyère, prodotto in Svizzera. Grazie agli sforzi promozionali compiuti negli ultimi anni, il marchio è ben consolidato e speriamo di poterne trarre vantaggio». Sia quel che sia, Isler spera che il governo riesca a ottenere condizioni migliori per poter competere alla pari con i suoi rivali europei. «A livello interno, valuteremo come dovrebbe reagire il settore se non dovesse cambiare nulla. Abbiamo la fortuna di avere un mercato svizzero stabile e leader». Ma, visto quello che sta succedendo, «con un calo delle esportazioni di circa l'8% nella prima metà dell'anno, dobbiamo anche cercare di concentrarci su mercati che offrono maggiore stabilità».
Comproprietario con il fratello di un caseificio a Saint-Imier, Florian Spielhofer e la sua azienda sono uno dei sei produttori del tradizionale Tête de Moine. Ogni anno escono dalle cantine 3 mila tonnellate di questo formaggio: quasi tre quarti di queste 3 mila tonnellate vengono inviate all'estero. Il mercato americano rappresenta il 4% circa del totale, ma è stato identificato come un mercato con un grande potenziale. «Negli ultimi due anni, siamo passati dall'esportazione di 40 tonnellate di formaggio a 80 tonnellate» ha detto Spielhofer. «Questi dazi doganali, ora, ci gettano nell'incertezza e mettono in discussione alcune delle nostre scelte».
A suo avviso, perdere l'equivalente di 80 tonnellate sarebbe un vero e proprio disastro. «Se dovessimo perdere il mercato americano perché il nostro prezzo è troppo alto, dovremmo cercare di compensare le nostre vendite in altri Paesi, come Francia e Spagna. C'è del potenziale anche nel Regno Unito, ma per il momento è un territorio praticamente inesplorato per noi». Per quanto riguarda i costi, Spielhofer ha affermato di lavorarci ogni giorno. «Ma non possiamo ridurli all'infinito. E ridurre i nostri margini ci sembra inconcepibile». In attesa di avere un'idea più chiara di chi sosterrà l'intero costo del sovrapprezzo, due ordini per gli Stati Uniti previsti per settembre sono stati congelati. Si tratta di 16 tonnellate.
Da parte sua, il Vacherin Mont-d'Or DOP potrebbe risentire meno dell'aumento dei dazi doganali. Pascal Monneron, ex direttore dell'Interprofessione per venticinque anni, ha spiegato che solo 4-5 tonnellate vengono esportate ogni anno negli Stati Uniti. «È un prodotto di nicchia che è già classificato come cibo di lusso» ha detto, indicando il prezzo di 100 franchi al chilo. «Gli americani che lo mangiano regolarmente devono già pagarlo una fortuna. Non sono quindi sicuro che questo aumento avrà un grande impatto sulle nostre esportazioni».
Lorenz Hirt, presidente del consiglio di amministrazione di Switzerland Cheese, si è detto infine «fiducioso che il Consiglio federale troverà la soluzione migliore per il Paese e che i formaggi svizzeri saranno in grado di competere in Europa». A suo giudizio, la Svizzera non deve rinunciare al mercato americano ma, al contrario, continuare a lottare. A qualunque costo.