Il Vaticano, il palazzo a Londra e le sentenze di Losanna

«Abbiamo scoperchiato noi la pentola», disse Papa Francesco a fine novembre 2019. Un paio di mesi prima era scoppiato lo scandalo del palazzo a Londra (nell’esclusivo quartiere di Chelsea) acquistato dal Vaticano in parte con i soldi dell’Obolo di San Pietro, dove confluiscono le donazioni ricevute dal pontefice per aiutare i poveri. Per quella vicenda il Promotore di giustizia (ossia l’equivalente del nostro procuratore pubblico) del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha aperto un procedimento penale nei confronti di alcune persone (quattro in particolare) – perlopiù funzionari vaticani – per titolo di abuso di autorità, peculato, corruzione, riciclaggio di denaro, autoriciclaggio e impiego di proventi di attività criminose nonché per associazione a delinquere.
Ne scriviamo oggi perché, come appreso dal CdT, il Tribunale federale – con ben dieci sentenze datate 4 febbraio scorso – ha respinto altrettante richieste aventi quali oggetto l’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale al più piccolo Stato sovrano al mondo. Tutti i ricorsi sono stati giudicati inammissibili.
Nel quartiere di Chelsea
Le decisioni di Mon Repos, va detto, riguardano direttamente solo una delle persone finite sotto inchiesta, la quale insisteva sulla pretesa assenza di sufficienti indizi di una sua colpevolezza. Le altre concernono terzi o società e/o fiduciarie, patrocinati da un avvocato ticinese. Tutto parte però dalla domanda di assistenza giudiziaria presentata a fine 2019 dal Promotore di giustizia alla Svizzera.
In pratica il Tribunale del Vaticano aveva chiesto di acquisire la documentazione relativa alle relazioni bancarie degli indagati e delle società a loro riconducibili. La classica rogatoria, per intenderci, volta a chiarire i movimenti di denaro; ricordiamo che l’immobile della capitale inglese, situato in Sloane Avenue 60, era infatti la parte maggioritaria di un investimento da 200 milioni di dollari.
«Trasmissione giustificata»
«La trasmissione dei documenti bancari all’autorità richiedente è giustificata, visto ch’ella, contrariamente a quella svizzera, dispone di tutte le risultanze processuali, in particolare anche di quelle relative agli altri inquisiti. La ricorrente sostiene che dall’acquisto dell’immobile londinese la Segreteria di Stato della Santa Sede non avrebbe subito alcun danno e che i documenti sarebbero stati sottoscritti da membri di detta Segreteria, disattendendo al riguardo che questi ultimi sono invero sospettati dei menzionati reati, in particolare di peculato e corruzione», scrivono i giudici di Losanna.
I quali aggiungono subito che «la ricorrente non si confronta del resto minimamente con il fatto, decisivo, che l’acquisto litigioso (ossia il palazzo di Londra, ndr.) è stato realizzato mediante l’impiego di somme a destinazione vincolata per attività con fini caritatevoli, invece di utilizzare direttamente le ingenti liquidità disponibili presso una banca svizzera».
Il Tribunale federale, in virtù del principio della buona fede processuale, ha infine respinto al mittente un’altra censura sollevata dai ricorrenti, cioè che il procedimento all’estero violerebbe elementari principi procedurali o presenterebbe gravi lacune o altre gravi deficienze.
