Sotto la lente

«La crisi del CICR è la crisi della società internazionale»

L’organizzazione umanitaria si appresta a licenziare centinaia di persone e a chiudere ventisei sedi in tutto il mondo – Pierre De Senarclens, professore onorario dell’UNIL, è critico: «Avrebbe dovuto mantenere l’accento sul suo mandato essenziale»
La sededel CICR a Ginevra. © KEYSTONE
Paolo Galli
09.06.2023 06:00

Leggiamo su «Le Monde»: «Dopo il Credit Suisse, è il turno del Comitato internazionale della Croce Rossa». E poi ancora: «La stabilità elvetica vacilla». Tutto nello stesso calderone. Lo sguardo degli altri, sulla Svizzera, appare in questo caso impietoso. Ma il CICR è davvero in crisi. Non lo nasconde più nessuno. Gli organi direttivi avevano ammesso, negli scorsi giorni, l’imminente licenziamento di 1.800 persone, oltre alla chiusura di ventisei sedi in tutto il mondo. La presenza della Croce Rossa sarà poi ridotta in diverse grandi città. Un gigante che traballa. Ma come si è arrivati a questo punto? Lo abbiamo chiesto a Pierre de Senarclens, professore onorario di relazioni internazionali all’Università di Losanna e già vicepresidente della Croce Rossa svizzera.

Falliti gli sforzi di sviluppo

«La crisi del CICR è la crisi della sicurezza collettiva e dello sviluppo. A partire dagli anni Ottanta, lo sviluppo è stato pensato in termini essenzialmente umanitari. E l’aiuto umanitario emerge quando si è confrontati a condizioni economiche e sociali difettose, vacillanti, quando si fallisce negli sforzi di sviluppo, quando i meccanismi politici si rivelano inadeguati. La crisi del CICR è allora, in parte, la crisi della società internazionale, ed è la conseguenza dei limiti dei meccanismi che dovrebbero ostacolare il fallimento degli Stati in questo loro compito e garantire la sicurezza collettiva e lo sviluppo». Secondo questo ragionamento, sembra quasi che la crisi del CICR fosse inevitabile. «La crisi dell’aiuto umanitario», ribadisce il professore. Quando si rinuncia allo sviluppo e si punta ai rimedi, alle toppe, alla carità. Lo sviluppo è un’altra cosa. «È quando si vanno a modificare le infrastrutture, è la diversificazione dei tessuti economici delle società, è la creazione di condizioni che permettano alle società di funzionare. Il fallimento risale al dopoguerra, e ancora oggi se ne paga il prezzo. Oggi abbiamo decine di Stati che si stanno disintegrando attraverso guerre civili. E tutto contribuisce ad aumentare lo spazio dell’approccio umanitario, una svolta avuta negli anni Ottanta: piuttosto che intervenire sulle cause, si trattano le conseguenze del sottosviluppo». Ragionamento chiaro, che va ben oltre quindi la crisi del CICR.

Il CICR? Avrebbe dovuto mantenere l’accento sul suo mandato essenziale, quello della protezione delle vittime dei conflitti armati e dei prigionieri di guerra, dell’assistenza in questo campo, senza entrare in settori che appartengono di principio alle agenzie per lo sviluppo

Un passo indietro

Ma, certo, il CICR si è fatto risucchiare all’interno di questi meccanismi, di queste tendenze. Il CICR è finanziato in gran parte dagli Stati - i suoi maggiori finanziatori sono Stati Uniti, Germania e Svizzera -, «Stati che a un certo punto hanno preferito investire sull’aiuto umanitario piuttosto che promuovere programmi di sviluppo. Il CICR si è inserito in questa tendenza», spiega ancora De Senarclens. Questo è stato il suo errore. «Avrebbe dovuto mantenere l’accento sul suo mandato essenziale, quello della protezione delle vittime dei conflitti armati e dei prigionieri di guerra, dell’assistenza in questo campo, senza entrare in settori che appartengono di principio alle agenzie per lo sviluppo». Ma era possibile limitarsi a quello, di fronte a un mondo in evoluzione, nel quale i bisogni umanitari stanno drammaticamente esplodendo? Nel 2013 erano 140 milioni le persone, nel mondo, che avevano bisogno di un aiuto urgente. Oggi sono 340 milioni. «Quando ci si occupa di vittime di guerra, ci si ritrova confrontati con problemi di vario tipo. Per esempio con persone mutilate, che quindi necessitano di protesi. Ecco, queste sono attività difficilmente catalogabili, tra sviluppo e aiuto umanitario. Questo spostamento verso attività legate allo sviluppo è comprensibile e legittimo. Il CICR si è fatto intrappolare però dalla sua stessa capacità di ottenere fondi per questo tipo di attività, che erano ai margini del suo mandato».

E ora, quindi, si deve fare un passo indietro. Il CICR è chiamato a farlo, «non ha scelta», come asserisce De Senarclens. «Deve ricentrarsi sulle sue attività fondamentali. Evidentemente la sua crisi è grave e importante». Ma, come ogni crisi, può comunque essere sfruttata al meglio. Anche se le prime a pagarne il prezzo saranno le popolazioni che perderanno questo appoggio. «È triste quando si devono chiudere centri di assistenza, e ciò non premierà certo l’immagine del CICR». Ma può comunque rappresentare, sul lungo periodo, una svolta importante. L’ex vicepresidente sottolinea proprio la necessità di ricentrarsi sulle proprie attività fondamentali, sulla natura stessa quindi della Croce Rossa internazionale.

Interazione incestuosa

Domenica, la SonntagsZeitung riportava della richiesta di fondi avanzata dal CICR alla Confederazione, che a sua volta potrebbe rinunciare al rimborso dei crediti COVID per 200 milioni di franchi. «La dipendenza dai fondi degli Stati non è nata oggi. Lo sappiamo: il CICR dipende dai grossi finanziatori, e questo non è un problema. Il CICR d’altronde contribuisce alla realizzazione degli obiettivi delle convenzioni internazionali. Trovo più problematico, semmai, l’interazione incestuosa tra il CICR e il Governo svizzero. Gli ultimi presidenti arrivano tutti dall’amministrazione federale. E ciò non va bene, dà l’impressione di un CICR troppo legato al Governo svizzero e di una politica estera svizzera troppo caratterizzata dal ruolo del CICR».

Pierre de Senarclens non era stato tenero con il CICR rispetto al suo ruolo nella guerra contro l’Ucraina. Su «Le Temps» aveva scritto del colpevole silenzio del CICR rispetto alle difficoltà incontrate nell’accedere ai prigionieri di guerra. «Appartiene al CICR anche di comunicare questi impedimenti. In altre occasioni storiche, lo ha fatto». Un rumoroso silenzio, come lo aveva descritto anche lo stesso Volodymyr Zelensky. Per il resto, gli attuali problemi di governance «sono legati ai limiti dell’assemblea del CICR, che non ha fatto il suo lavoro di supervisione rispetto all’ex presidente Peter Maurer, responsabile di questa crescita vertiginosa del budget del CICR, il quale si è inoltrato in una sorta di diplomazia che non rientrava nel mandato del CICR stesso, occupando un ruolo politico che ha nuociuto all’immagine del CICR».