Votazioni federali

La fiducia nei confronti dello Stato è alla base dell’identità elettronica

Dopo il no alle urne del 2021, l’identificazione digitale viene ripresentata al giudizio del popolo in una nuova versione – Bruno Storni (PS) assicura: «C’è un alto livello di protezione» – La risposta di Maria Pia Ambrosetti (HelvEthica): «Opporsi ora è prudenziale»
©Chiara Zocchetti
Luca Faranda
16.09.2025 06:00

Bruno Storni: «L’utente è padrone assoluto dei propri dati personali e delle proprie credenziali»

Quali garanzie ci sono che l’identità elettronica non diventerà indispensabile o obbligatoria?
«Nella legge non c’è nulla che statuisce che la ID-e sia obbligatoria anzi, l’articolo 25 garantisce che “Chi accetta l’ID-e o parti di esso come mezzo di autenticazione accetta anche uno dei documenti di cui all’articolo 14 se il titolare si presenta di persona” cioè la carta d’identità. Chiaramente l’ID-e faciliterà l’uso di molti servizi online, eviteremo di dover inviare fotocopie della carta d’identità o presentarci di persona presso uffici pubblici. In questo senso per i digitalizzati potrebbe essere percepita come indispensabile ma si potrà comunque continuare con metodi tradizionali. La carta d’identità cartacea (Legge documenti d’identità) rimane e si potrà accedere ai servizi passando per gli sportelli fisici degli uffici statali. La Confederazione offrirà tutti i servizi sia in forma digitale che analogica garantendoli quindi anche a chi non avrà la ID-e. Tra l’altro per ottenere una ID-e bisogna comunque identificarsi con un documento d’identità. Nessuno riceverà una ID-e se non l’ha richiesta. Per renderla obbligatoria, come la controparte paventa, bisognerebbe modificare la Legge che votiamo e ammesso e non concesso che questo avverrà, si potrà sempre fermare con un referendum, le garanzie che non diventi obbligatoria sono quelle del nostro stato di diritto».

La protezione dei dati con un’identità elettronica gestita dallo Stato è assicurata al 100%?
«Sicuramente il fatto che l’ID-e sia gestita dallo Stato, quindi senza scopo di lucro e non come la soluzione privata bocciata dal popolo 4 anni fa, dovrebbe garantire maggior protezione dei dati. Lo Stato ha la responsabilità della protezione dei dati e deve adottare le tecnologie più avanzate senza dover pensare a perdite d’esercizio, l’investimento a preventivo della Confederazione per l’ID-e garantisce una alto livello di protezione sempre che, come speriamo, si lavori bene. Il sistema è stato sviluppato partendo dal principio della protezione dei dati fin dalla progettazione, poi per limitare i flussi di dati sulla rete si è considerato il principio della minimizzazione dei dati, ambedue punti critici della soluzione bocciata 4 anni fa. Poi l’ID-e viene memorizzata solo sullo smartphone dell’utente. La struttura informatica prevede diversi livelli di sicurezza ed è stata testata a fondo, siamo al massimo dello stato dell’arte che la Confederazione potrà ulteriormente migliorare con l’evoluzione tecnologica. Pur considerando che la sicurezza al 100% non esiste, la soluzione della Confederazione è ai livelli massimi attualmente raggiungibili, non dimentichiamo che giornalmente effettuiamo globalmente pagamenti online (e commerce, mobile) per decine di miliardi senza troppi patemi d’animo».

I comitati che hanno lanciato il referendum temono che sia l’anticamera della sorveglianza di massa. In futuro non c’è il pericolo che il comportamento del singolo cittadino sia sempre più tracciato?
«Come detto al punto precedente i nostri dati sono sul telefonino e ci rimangono secondo il principio che l’utente è il padrone assoluto dei propri dati personali e delle proprie credenziali la self souvereign identity. Se chiediamo un documento ufficiale o ordiniamo alcolici online dobbiamo presentare solo l’ID-e, e per gli alcolici solo l’informazione se siamo maggiorenni ma non la data di nascita come oggi abbiamo sulla carta d’identità. Non si traccia nulla, al massimo, come finora il sito d’acquisto online, sempre che non gli segnaliamo il contrario, potrà “schedarci” come cliente di alcolici e inviarmi email con offerte speciali di grappa o whisky. Sono io che ho il controllo delle mie informazioni. Poi per la gestione dell’ID-e non si centralizza nulla di più di quanto fa già la Confederazione con passaporti e carte d’identità, numero AVS compreso».

La fascia di popolazione più anziana che non ha dimestichezza con gli smartphone e il mondo digitale non sarà discriminata?
«Per gli anziani che hanno difficoltà con le nuove tecnologie e coloro che non sono digitalizzati la carta d’identità cartacea rimane così come il diritto all’off line per chi ci tiene. Quindi per chi non usa lo smartphone dovrebbe rimanere tutto come prima, vedi Articolo 25 . La Confederazione mantiene l’accesso ai servizi tradizionale. Il problema della popolazione non digitalizzata, in buona parte anziani, non è l’ID-e ma i molti servizi di prossimità non più accessibili se non in modo digitale perché Posta, Banche o alle Stazioni ferroviarie hanno sempre meno sportelli serviti da personale, sostituiti in parte da distributori automatici. A questo problema dobbiamo comunque trovare soluzioni come uffici pubblici ad esempio comunali con sportelli multiservizi con personale dove anziani non connessi possono ancora accedere a questi servizi in modo tradizionale».

Maria Pia Ambrosetti: «Un no ora può servire a ottenere un’ID-e davvero facoltativa»

Nel 2021, la legge sull’identità elettronica è stata nettamente respinta poiché era emessa da privati. Si tratta di un’opposizione di principio, ora che la gestione è pubblica come auspicato?
«Il “no” è un campanello d’allarme. Nel 2021 molti hanno respinto la proposta non per principio, ma per la paura concreta di perdere libertà e di subire un controllo sempre maggiore: in piena pandemia, l’idea di un’identità digitale è suonata come un rischio di profilazione, tracciamento e dipendenza tecnologica. Non a caso, il novembre scorso a Neuchâtel la popolazione ha votato al 91,5% per inserire nella Costituzione il diritto all’integrità digitale e alla vita offline, un messaggio chiarissimo: sì al digitale, ma alle condizioni dei cittadini, non delle piattaforme. Oggi chi sostiene la nuova ID-e spesso riduce il dibattito a “pubblico vs privato”, ma le preoccupazioni vanno oltre: volontarietà reale (niente “obbligo di fatto” per accedere a servizi essenziali), minimizzazione dei dati, interoperabilità senza centralizzare tutto, anonimato e garanzia di canali analogici per chi non vuole o non può usare strumenti digitali. Il popolo svizzero non rifiuta l’innovazione tout court: rifiuta l’innovazione che limita la libertà. Non vuole un modello alla cinese, basato sulla sorveglianza e il conseguente credito sociale, ma un’identità digitale sobria, proporzionata e reversibile, che serva le persone, non il contrario».

Il progetto in votazione prevede che i dati vengano memorizzati in modo decentralizzato sullo smartphone per evitare di «profilare» i comportamenti di una persona. Perché non sono sufficienti tali garanzie?
«Salvare i dati dell’ID-e sul telefono aiuta, ma non basta. Ogni uso lascia tracce presso chi verifica (chi, quando, per cosa) e la connessione produce metadati che collegano accessi diversi. Se si riusa lo stesso identificatore, i servizi possono unire i puntini; inoltre, con i backup o i cambi di telefono copie di dati finiscono anche nel cloud. Per stare davvero tranquilli servono regole semplici e chiare: chiedere solo lo stretto necessario (es. “sei maggiorenne?” senza data di nascita), usare un codice diverso per ogni servizio, evitare controlli in tempo reale, vietare archivi inutili e prevedere verifiche indipendenti. E, soprattutto, occorre mantenere sempre valide le alternative analogiche (sportelli, moduli su carta), altrimenti l’ID-e rischia di trasformarsi in uno strumento coercitivo».

Affinché l’utilizzo dell’identità elettronica diventi obbligatorio, sarà necessario modificare la legge in un secondo tempo. Perché opporsi già ora che l’emissione e l’utilizzo saranno gratuiti e facoltativi?
«Opporsi ora è prudenziale. Gratuità non significa costo zero: l’infrastruttura è pagata dai contribuenti e genera spese ricorrenti; se il progetto non è proporzionato, conviene correggerlo prima di consolidarlo. Facoltatività oggi può diventare “obbligo di fatto” domani: se l’ID-e diventa la corsia veloce per sanità, pratiche amministrative e altro, chi non la usa resta indietro o può dover pagare emolumenti supplementari (v. Posta per chi paga allo sportello); o obbligo mediante una semplice modifica della legge, il che costringerebbe a un nuovo referendum costoso. L’ID-e sarà comunque necessaria per accedere al dossier elettronico del paziente e al registro per opporsi alla donazione di organi. Le garanzie cruciali vanno fissate prima dell’entrata in vigore della legge. Pertanto, un “no” ora può servire a ottenere un’ID-e davvero facoltativa, proporzionata e rispettosa della vita offline».

Opporsi a un’identità elettronica gestita dallo Stato non apre la porta a identificazioni elettroniche alternative offerte da grandi gruppi tecnologici esteri?
«La coesistenza con identità elettroniche private è già prevista dalla stessa legge. L’obbligo di accettare l’ID-e vale solo per autorità e soggetti con compiti pubblici quando usano l’identificazione elettronica; tuttavia, la legge contempla esplicitamente attori privati: il registro di fiducia può confermare gli identificativi di emittenti e verificatori privati (art. 3 cpv. 4), chiunque può emettere mezzi di autenticazione usando l’infrastruttura (art. 4) e il Consiglio federale può riconoscere le applicazioni di offerenti privati e autorizzarne l’utilizzo per la conservazione e la presentazione di ID-e (art. 17 cpv. 4). Per la verifica di tutti i profili sui social media in futuro, non appena entrerà in vigore la regolamentazione delle piattaforme attualmente in fase di elaborazione, l’ID-e sarà necessaria. Infine, per “altri mezzi di identificazione” si intendono prove elettroniche emesse da diversi soggetti, pubblici o privati seppur integrate nella stessa infrastruttura statale di verifica e fiducia. Dunque, l’idea che “se si respinge l’ID-e statale si apre la porta a Big Tech” è fuorviante: quella porta è già aperta».