Nucleare

La Francia chiede soldi per le sue nuove centrali

Parigi pianifica la costruzione di ulteriori 14 impianti e vuole chiamare alla cassa i Paesi che acquistano energia atomica – Ma le imprese svizzere non ci sentono perché vogliono concentrarsi sulle fonti rinnovabili
©CHRISTOPHE KARABA
Red. Ticino&Svizzera
07.04.2024 22:30

Volete acquistare la nostra energia? Prego, contribuite ai costi di costruzione delle nuove centrali. Questo il senso del messaggio di Parigi ai Paesi che non vogliono realizzare nuovi impianti nucleari, come la Svizzera, ma che intendono importare energia atomica francese. Ne ha riferito la «NZZ am Sonntag», a margine di un incontro organizzato a fine marzo dal Ministero degli esteri francese con la stampa europea. Attualmente, nell’Esagono sono in funzione 56 reattori con differenti livelli di potenza. A differenza della Svizzera, che dopo Fukushima (2011) ha rinunciato ai progetti in corso e deciso di non più costruire nuove centrali (2017), la Francia ha mantenuto il suo stretto rapporto con l’atomo e dispone del secondo parco atomico al mondo. Oggi, l’approvvigionamento elettrico del Paese dipendente nella misura del 70% dall’atomo. Lo Stato, che punta alla neutralità climatica nel 2050, intende realizzare altri sei reattori ed esaminare la costruzione di ulteriori otto. Annunciata due anni e mezzo or sono dal presidente Emmanuel Macron, l’offensiva nucleare prevede investimenti per circa 100 miliardi di euro (oltre una cinquantina per le centrali e 40 circa per l’ampliamento di un impianto in Normadia destinato al riciclo delle barre di combustile usate). 

Sul piano legale, la Svizzera non può costruire direttamente centrali elettriche all’estero. Ma le aziende elettriche possono comunque investirvi, cosa che hanno già fatto in passato.Infatti, l’idea di chiamare gli acquirenti di energia alla cassa è tutt’altro che peregrina. Negli anni Settanta, ricorda il domenicale zurighese, quando cresceva la resistenza al progetto della centrale di Kaiseraugst (definitivamente abbandonato nel 1987 ndr), le grandi aziende elettriche elvetiche contribuirono ai costi di costruzione delle centrali francesi, in cambio della garanzia di poter importare energia. Anche i reattori di Fessenheim, in Alsazia, spenti nel 2020 (oltre a quelli di Bugey, vicino a Lione e di Cattenom, in Lorena) vennero costruiti con l’aiuto di fondi svizzeri. Dalla chiusura dell’impianto alsaziano non ci sono più stati investimenti svizzeri, ma restano in vigore contratti a lungo termine che garantiscono l’importazione, specialmente in inverno, di grossi quantitativi di energia.

Mentre si discute se la Svizzera disporrà di energia sufficiente quando le sue quattro centrali giungeranno al termine del loro ciclo di vita, c’è chi vede di buon occhio l’idea di una partecipazione al finanziamento dei futuri impianti francesi. «Un’idea che vale la pena esaminare» ha dichiarato alla «NZZ am Sonntag» Irene Aegerter, co-ideatrice dell’iniziativa popolare «Stop ai blackout», che punta a togliere il divieto di costruire nuove centrali. In ogni caso, secondo Aegerter, è sempre bene tenere aperte tutte le opzioni che rafforzano la sicurezza dell’approvvigionamento. Ma le imprese elettriche mostrano pollice verso: Alpiq, Axpo e BKW, respingono la richiesta francese, perché preferiscono concentrarsi in patria sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Alpiq, ad esempio, interpellata dal giornale, ha detto di non avere alcun interesse ad investire nelle nuove centrali francesi».