La grave crisi dell'acciaio svizzero: «L'industria europea è paralizzata»

Costo dell’energia e del lavoro, franco forte, incertezze legate alla decarbonizzazione, tasse doganali e, soprattutto, concorrenza sovvenzionata. Le cause della «crisi dell’acciaio svizzero» - una definizione che ormai descrive bene la portata nazionale del problema - sono molteplici. Ce n’è una, però, che da mesi pesa sul settore siderurgico e che, forse più di altre, ha inciso nella decisione comunicata oggi dai vertici della Swiss Steel di Emmenbrücke di tagliare 800 posti di lavoro, di cui 130 in Svizzera: la crisi industriale tedesca. Crisi che tocca in particolare il settore automobilistico e quello dell’edilizia.
«Industria paralizzata»
I vertici della multinazionale elvetica Swiss Steel, con sede nel Canton Lucerna, hanno comunicato la riorganizzazione del Gruppo sul piano europeo parlando di «scelta necessaria dettata dalle attuali condizioni economiche e dalla persistente debolezza della domanda». Il rallentamento dell’economia tedesca non è una novità. Oggi, però, in maniera più diretta, ne subiamo le conseguenze. «L’industria europea è paralizzata e la produzione non mostra alcun segnale di miglioramento», ha dichiarato Frank Koch, direttore dell’azienda in un’intervista rilasciata oggi al Tages-Anzeiger. Koch ha ricordato che lo stabilimento da ormai due anni si affida all’orario ridotto per attutire il calo della domanda. «È chiaro che non può essere una soluzione permanente». Koch ha poi messo l’accento sulla crisi del mercato automobilistico in Germania: «In Europa il sistema energetico e i trasporti sono in fase di riconversione. Allo stesso tempo l’industria si sta decarbonizzando. La combinazione di questi elementi si ripercuote sul calo dei consumi. Vengono acquistati meno veicoli e, quindi, meno acciaio».
Nello stabilimento di Emmenbrücke, dove lavorano attualmente 750 persone, l’azienda ha comunicato che sarà necessario licenziare 80 dipendenti, poiché la fluttuazione naturale del personale non sarà sufficiente a contenere il piano di ristrutturazione. In primavera, la multinazionale aveva già avvertito che i conti del 2023 sarebbero stati in perdita. Per affrontare la crisi, aveva aumentato il capitale con un versamento di 300 milioni di franchi. «Attualmente abbiamo un’economia debole, e i clienti non hanno bisogno del nostro acciaio nella stessa misura di prima. Gli aiuti statali possono alleviare temporaneamente il problema, ma non risolverlo», ha aggiunto il direttore.
Un problema più ampio
La crisi di Swiss Steel, in realtà, si inserisce in un contesto più ampio che sta colpendo l’intero settore siderurgico svizzero.
In primavera, Stahl Gerlafingen - a soli 50 chilometri da Emmenbrücke - aveva annunciato, a sua volta, il licenziamento di 68 persone e la chiusura di una linea di produzione. Nei mesi successivi, la situazione è peggiorata, portando al licenziamento di altre 120 persone.
In quell’occasione, i vertici della Stahl Gerlafingen avevano identificato due cause: le sovvenzioni dell’UE alle industrie siderurgiche europee e gli elevati costi dell’energia in Svizzera. «Le sovvenzioni dell’UE hanno distorto il mercato, creando una concorrenza sleale per i produttori svizzeri». A questo si aggiungono i costi dell’energia particolarmente elevati in Svizzera. Costi che rappresentano un pesante onere per il settore e ne riducono la competitività a livello internazionale. «I prezzi vertiginosi dell’energia e i costi di rete più alti rispetto all’Europa hanno portato Stahl Gerlafingen a una profonda crisi finanziaria», avevano dichiarato i vertici.
Parmelin vs. Beltrame
A stretto giro di posta, il ministro dell’economia Guy Parmelin aveva chiarito che il settore siderurgico non è considerato di rilevanza sistemica, e che, pertanto, il Consiglio federale non prevedeva nessun aiuto diretto. La dichiarazione di Parmelin aveva suscitato una forte reazione da parte di alcuni deputati, trasformando il tema in una questione politica. A riaccendere il dibattito ci ha pensato, alcuni mesi dopo, Antonio Beltrame, proprietario della Stahl Gerlafingen, che a metà ottobre aveva espresso il proprio malcontento sulle pagine della NZZ. Beltrame aveva criticato il Consiglio federale, avvertendo che «se le condizioni non cambiano, l’azienda rischia di chiudere». Non si tratta di un ricatto - aveva aggiunto l’imprenditore - ma di una semplice constatazione. «Non chiediamo sovvenzioni, ma solo le stesse condizioni della concorrenza, come quelle garantite in Francia e Italia dove il costo dell’elettricità per l’industria è stato ridotto». Riferendosi alla posizione espressa da Parmelin, Beltrame infine aveva replicato sull’importanza sistemica del settore: «La Svizzera ha bisogno di acciaio da costruzione. Siamo assolutamente centrali per l’economia circolare svizzera», aveva dichiarato al giornale.
Le mozioni parlamentari
Una posizione che, in grandi linee, oggi ritroviamo anche nel dibattito politico federale. Proprio oggi, la Commissione dell’economia del Consiglio degli Stati ha proposto al Consiglio federale di approvare tre mozioni (Imark, Roth, Damian) che incaricano l’Esecutivo di adottare misure urgenti per preservare l’industria siderurgica svizzera. La maggioranza della Commissione ritiene infatti che le tre mozioni completino le misure attualmente all’esame della Commissione dell’energia del Consiglio nazionale.
Dicendosi «preoccupata per la difficile situazione in cui versano le aziende attive nella produzione dell’acciaio e dell’alluminio», lo scorso 22 ottobre, la Commissione del Nazionale aveva infatti annunciato di voler studiare alcune misure di intervento. Il gruppo aveva anche sottolineato l’importanza strategica rappresentata da una produzione nazionale di acciaio e alluminio. «Alcune delle aziende interessate svolgono, grazie alle loro capacità di riciclaggio, un ruolo centrale nell’economia circolare e producono già oggi con emissioni relativamente ridotte».
Occhio al precedente
Pur non essendo tendenzialmente favorevole a una politica industriale, la Commissione degli Stati ha riconosciuto la necessità di intervenire «poiché il futuro delle acciaierie di Gerlafingen e Emmenbrücke è seriamente minacciato». Secondo la Commissione, «nell’interesse della sicurezza dell’approvvigionamento del Paese e della sostenibilità, occorre quindi creare condizioni quadro che garantiscano la sopravvivenza dell’industria siderurgica svizzera». Per la maggioranza della Commissione, le mozioni sono tuttavia da intendersi come un sostegno al Consiglio federale nel dar seguito alle misure proposte. Volutamente sono state formulate in termini generici e non esigono interventi basati sul diritto di necessità.
La minoranza della Commissione, invece, non intende creare un precedente: «Utilizzando come argomenti la sicurezza dell’approvvigionamento e la sostenibilità, anche aziende di altri settori, come cementifici o segherie, potrebbero in futuro chiedere aiuti alla Confederazione».