Il punto

La mazzata che ci isola dai mercati: «L'export, così, diventa improponibile»

L’immagine della Svizzera come Paese sicuro in cui investire è messa in discussione dall'annuncio dei dazi al 39% di Donald Trump
©ERIC LEE / POOL

«Il botto più grande del 1. Agosto è arrivato alle quattro del mattino. Quando ho letto l’annuncio dei dazi al 39%, ho dovuto controllare due volte». Il presidente di Swissmechanic, Nicola Tettamanti, per un istante, sdrammatizza. Poi, il discorso si fa serio. Molto serio. «Se il 31% era uno scenario catastrofico, il 39% rende di fatto l’export svizzero negli Stati Uniti improponibile, fermo restando che gli altri Paesi concorrenti presentano tariffe di gran lunga inferiori. E questo è il secondo vero problema. Secondo Tettamanti, infatti, la Svizzera, già svantaggiata dal franco forte e dagli elevati costi del lavoro, si ritrova così senza alcuna carta da giocare nei confronti di Germania, Italia e Francia. «Il confronto si aggrava anche rispetto ad Asia e America Latina, dove le tariffe sono più basse. Siamo ormai tra i quattro Paesi al mondo con i dazi più alti», osserva Tettamanti, che denuncia una disparità di trattamento «incomprensibile e ingiustificata». Qualcosa è andato palesemente storto, aggiunge: «Il nuovo dazio statunitense è nettamente superiore alla media dei Paesi comparabili e difficilmente spiegabile dal punto di vista economico. La Svizzera non può essere penalizzata più di Stati con un peso economico e commerciale nettamente inferiore, come la Siria, pur con il dovuto rispetto».

Quanto alle conseguenze, queste potrebbero essere davvero deleterie, a cominciare dal rischio di una progressiva perdita di competitività sul piano internazionale. Ma non solo verso gli USA, osserva ancora Tettamanti: «Dobbiamo capire che cosa accadrà alle aziende europee che continueranno a importare componenti svizzeri per i loro prodotti. Quelle parti saranno anch’esse soggette al nuovo dazio del 39%? Se così fosse, potremmo dire addio al mercato dell’export svizzero».

Uno scenario estremamente negativo che metterebbe in pericolo l’intera piazza industriale elvetica. «Abbiamo già contattato la SECO per chiarire questo aspetto. Ora, però, chiediamo anche alla Confederazione di reagire. Abbiamo ancora sei giorni per valutare tutti gli scenari possibili. Ad ogni modo, serve chiarezza, poiché a breve dovremo comunicare alle nostre imprese quali settori saranno toccati e quali no, e con quali tassi».

Secondo Tettamanti, la Svizzera negli ultimi anni ha saputo superare diverse crisi, quella finanziaria del 2008 e, più recentemente, quella sanitaria del 2020. Questa volta, però, la resilienza da sola non sarà sufficiente. «Se durante la pandemia, il lockdown ha colpito tutti, ora la Svizzera è l’unico Paese in Europa a subire una tariffa che di fatto la estromette dal mercato».

Non resta che augurarsi un colpo di scena dell’ultima ora. Magari un’inversione di rotta capace di ammorbidire l’aliquota prima della sua entrata in vigore fra sette giorni. Un precedente c’è stato, osserva Tettamanti: «Con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Trump ha inizialmente minacciato tariffe del 30%, per poi ridurle al 15% in cambio di ingenti investimenti negli Stati Uniti». Con una differenza considerevole, però. La Svizzera non può contare sulla stessa forza economica e contrattuale di Bruxelles. «Per questo motivo bisogna assolutamente capire perché Trump, al di là del deficit commerciale, abbia rivisto al rialzo la tariffa. Non è da escludere che ci sia la farmaceutica nel suo mirino». Non a caso, proprio oggi il presidente USA ha inviato ad alcuni colossi del settore nuove lettere con scadenze e richieste specifiche. I costi della salute e la spesa sanitaria che negli Stati Uniti sta esplodendo potrebbero aver spinto Trump a giocare al rialzo proprio con la Svizzera dove hanno sede alcuni degli attori principali?«Sono speculazioni che vale la pena approfondire. E il Consiglio federale, in vista del 7 di agosto, è chiamato a farlo, con pragmatismo e disillusione», commenta al riguardo Tettamanti per il quale il mercato americano oggi più che mai è fondamentale: «Gli Stati Uniti sono il maggiore mercato di consumo al mondo, dettano le tendenze e guidano l’innovazione tecnologica. Senza gli USA, peraltro, la Svizzera non avrebbe a breve un’alternativa credibile per collocare circa 50 miliardi di export. E, in un’economia globale, chi non esporta negli Stati Uniti rischia l’isolamento».

Le richieste

Parole che nuovamente fanno riflettere sulla gravità del momento. Il grande timore, conclude Tettamanti, è che le grandi aziende giudichino la Svizzera ormai poco attrattiva per esportare e operare in sicurezza: «Potrebbero pianificare lo spostamento e il riposizionamento delle catene produttive fuori dal Paese. E per i piccoli fornitori significherebbe perdere i loro principali clienti». Per le PMI, invece, delocalizzare la produzione negli USA oggi appare sempre più una soluzione inverosimile e, ad ogni modo, il tempo per agire è scaduto. «Abbiamo bisogno di risposte nel giro di qualche giorno. Secondo numerosi analisti, un dazio al 39% significherebbe recessione sicura». Più in generale è l’immagine della Svizzera come Paese sicuro in cui investire a essere messa in discussione. Di fatto, avvicinandoci all’Europa proprio nel giorno del 1. Agosto.

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