La domenica del Corriere

La riesportazione di armi non smette di far discutere

Scintille tra i deputati a Berna, tra chi invoca regole rigide in virtù della neutralità e chi sostiene la necessità di un cambiamento — Chiesa: «Dobbiamo essere equidistanti» — Romano: «Ma la situazione è eccezionale»
©Chiara Zocchetti
Red. Ticino&Svizzera
04.06.2023 20:00

«Lex Ucraina» e riesportazione di armi, ma anche migrazione. A confrontarsi, nella puntata di questa sera de «La domenica del Corriere» condotta dal vicedirettore del CdT Gianni Righinetti, sono stati i deputati ticinesi a Berna: il consigliere nazionale del PLR Alex Farinelli, il consigliere nazionale del Centro Marco Romano, il consigliere nazionale del PS Bruno Storni e, in collegamento, la consigliera nazionale dei Verdi Greta Gysin e il consigliere agli Stati Marco Chiesa.

Ad aprire il dibattito, la bocciatura della «Lex Ucraina» e la pressione in materia di riesportazione di armi. «Io ho votato no, e il motivo è molto semplice», ha esordito Gysin. «Se cominciassimo a modificare le nostre leggi in modo da consentire la riesportazione di armi verso Paesi in guerra verremo meno ai nostri principi di neutralità. Ciò porterebbe con sé una serie di conseguenze molto gravi anche per le popolazioni colpite dal conflitto, perché sarebbe più difficile per la Svizzera operare in loco come Paese neutrale tramite le diverse organizzazioni umanitarie. È giusto che Svizzera sostenga l’Ucraina, vittima dell’aggressione russa, ma può farlo in ben altri modi». «Stiamo parlando di una situazione del tutto eccezionale e credo sia importante dare la possibilità all’industria bellica di rifornire l’Ucraina di armi, anche perché il futuro del nostro continente passa anche dalla difesa del territorio ucraino», ha fatto notare Romano. Netto, per contro, il rifiuto di Chiesa. «La neutralità esclude la fornitura di materiale bellico a Paesi coinvolti in un conflitto, ed è proprio in momenti come questo che la Svizzera deve avere la schiena dritta e cercare di assumere un ruolo da mediatrice. La Confederazione deve essere equidistante». Un concetto ribadito anche da Storni, secondo il quale «la Svizzera dovrebbe farsi promotrice di accordi di pace e non lasciare il compito di mediare a Paesi come la Cina o la Turchia». Mandare armi in Ucraina, secondo Storni, «vorrebbe dire solo prolungare ulteriormente il conflitto». «La neutralità non vieta l’esportazione di armi», ha invece fatto notare Farinelli. «Qui oggi la questione è un’altra: se la nostra industria bellica non è più interessante per chi si rifornisce da noi, rischiamo che scompaia. È giusto, quindi, che se ne parli. Dopodiché, anche io ho votato no alla ‘‘Lex Ucraina’’, perché ritengo che la situazione attuale ci abbia sì mostrato alcuni problemi, ma sarebbe sbagliato prendere una decisione basata su un caso particolare». Detto altrimenti: «Se si vogliono rivedere le regole, è meglio farlo con un contesto più tranquillo e maggiore calma». Rispondendo poi a Chiesa, Farinelli ha fatto notare che «non possiamo dire che per noi Russia e Ucraina sono la stessa cosa. Deve essere chiaro qual è il Paese aggressore e quale, invece, quello aggredito».

Zelensky e la migrazione

A scaldare gli animi, poi, anche il videomessaggio del presidente Zelensky che verrà trasmesso durante la terza settimana di sessione. «Non so ancora se lo seguirò, dipenderà dagli impegni in agenda», ha detto Gysin. Dello stesso avviso anche Storni, mentre Farinelli ha confermato che non ci sarà: «Non credo che in quel discorso vi sarà qualcosa di nuovo rispetto a quanto ha già detto negli scorsi mesi. Detto ciò, non ci vedo niente di male: è già capitato in passato che capi di Stato abbiano tenuto discorsi davanti alle Camere». Critico, invece, Chiesa, che tuttavia vorrebbe essere presente: «E vorrei anche che Zelensky ringraziasse la Svizzera per le 80 mila persone che sta ospitando e non, invece, assistere a un rimprovero per il fatto che dovremmo fare di più contro gli oligarchi, né alla solita richiesta di armi».

Tra i temi toccati, anche la pressione migratoria, dopo la decisione italiana di sospendere l’applicazione dell’accordo di Dublino. «L’Italia non sta rispettando le intese», ha premesso Gysin. «Ma muoversi in solitaria non porterebbe da nessuna parte. Occorre cooperare a livello europeo». Secondo Romano, «la Svizzera non è un Paese attrattivo, tuttavia ci attendono mesi difficili e occorre avere da Berna una risposta strutturata». Per Storni «il punto è evitare che queste persone partano, aiutando i Paesi di provenienza».

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