La Svizzera come un «supermarket» di armi per i criminali

In quest’ondata estiva di furti d’armi - cinque i colpi tentati o riusciti negli scorsi giorni tra i cantoni di San Gallo, Vallese e Zurigo - la mente di Jean-Luc Addor non può che tornare a una delle rapine più cinematografiche degli ultimi tempi in Svizzera, quella ai danni dell’armeria Schild di Wallbach (AG). «Immagino che quei rapinatori non si saranno più fatti vedere in Svizzera», afferma il consigliere nazionale UDC e presidente di Pro Tell.
Una rapina hollywoodiana
Era la notte del 30 ottobre 2020, l’armaiolo Jean-Paul Schild stava dormendo insieme alla moglie nell’appartamento sopra al suo negozio quando fu svegliato dall’arrivo di due Audi con i lampeggianti blu, dalle quali scesero sei individui armati che indossavano passamontagna e giubbotti protettivi con la scritta «police» . Sbirciando attraverso la tapparella semichiusa Schild vide che uno degli individui aveva un kalashnikov. L’armaiolo ne dedusse che quegli individui non potevano essere dei poliziotti: erano dei criminali. La moglie andò a far scattare l’allarme e lui si mise a gridare nell’intento di far fuggire i rapinatori. Ma loro andavano avanti come se niente fosse. Uno di loro si arrampicò sulla parete per distruggere il sistema di allarme. Quando Schild vide la sua mano avanzare dalla finestra si sentì in pericolo, prese il suo fucile e sparò un colpo di avvertimento. I rapinatori risposero con il kalashnikov, Schild provò a puntare sulle loro auto per ostacolarne la fuga e facilitarne così l’arresto da parte della polizia. Ma i rapinatori, verosimilmente provenienti dalle banlieue di Lione, non furono presi. Mentre l’armaiolo, che si ritrovò con la parete trivellata da 17 colpi, di cui sette entrati in camera da letto, fu rinviato a giudizio per tentato omicidio plurimo. La procura chiedeva tre anni di carcere, il giudice lo assolse. Jean-Paul Schild aveva agito per legittima difesa.
Una legge «troppo restrittiva»
«Tutti gli armaioli che lo desiderano dovrebbero poter avere un permesso di porto d’armi», sostiene Addor. «Oggi la legge è troppo restrittiva. Il porto d’armi viene concesso a chi fa parte di un corpo di sicurezza statale, con la sola eccezione degli agenti privati che riescono a dimostrare di avere bisogno di un’arma. Io credo che anche gli armaioli debbano poter avere questo permesso, per la loro sicurezza ma anche per la sicurezza pubblica. Si tratta di evitare che armi di guerra finiscano in mano alla criminalità organizzata o a gruppi terroristici». Le misure di sicurezza nelle armerie sono state aumentate, per volontà della Confederazione, che dal 2022 esige una serie di accorgimenti tecnici volti a migliorare la difesa da eventuali attacchi e rapine. Tuttavia, il presidente di Pro Tell ritiene che muri più spessi o allarmi meglio collegati non bastino a cancellare quell’immagine della Svizzera come di una sorta di «supermarket» dove le bande criminali straniere possono servirsi liberamente delle armi desiderate. «Il porto d’armi per gli armaioli avrebbe un effetto dissuasivo», ribadisce Addor. «Però, se si vuole veramente contrastare il fenomeno dei furti di armi, ci sono anche altri due aspetti che devono essere affrontati. Due aspetti meno immediati, ma non impossibili da risolvere. Sono il ripristino dei controlli alle frontiere e il rafforzamento degli organici delle guardie di confine e delle polizie cantonali». Addor, che a giugno è stato eletto alla presidenza del sindacato dei doganieri, Garanto, ritiene che oggi sia le polizie cantonali sie le guardie di confine abbiano organici insufficienti a fronteggiare le nuove sfide con cui sono confrontate. «Se guardo alla regione Ovest, oggi ci sono così tanti agenti impegnati a controllare i passaporti all’aeroporto di Ginevra che non resta quasi più nessuno da mandare sul territorio. È indispensabile reclutare e formare più agenti, ma non da mandare negli uffici a fare comunicazione o risorse umane, bensì da impiegare sul territorio per contrastare la criminalità». Perché la presenza fisica di garanti dell’ordine sul territorio resta, secondo Addor, il miglior deterrente contro qualsiasi tipo di furto. «Non lo dico io, lo dicono le cifre», afferma. «Ogni volta che l’esercito partecipa a un’esercitazione in appoggio alle guardie di confine, le cifre della criminalità transfrontaliera calano in maniera spettacolare. Ora è chiaro che non possiamo avere sempre l’esercito alle frontiere. Però ristabilire i controlli sì».
«Tante armi, pochi problemi»
Resta poi da vedere se la presenza di un paio di agenti al valico doganale basterebbe a scoraggiare le bande che, generalmente dalla Francia ma non solo, vengono in Svizzera a procurarsi le armi di cui hanno bisogno per le loro attività criminose. «Il rischio zero non esiste», osserva Marc Heim, rappresentante ticinese nel comitato di Pro Tell. «I furti di armi avvengono anche in altri Paesi, se certe bande scelgono la Svizzera è forse perché di mezzo c’è un confine che rende più facile sfuggire alla giustizia. Non vedo altri motivi. Perché le nostre armerie sono ben protette. E perché è vero che in Svizzera abbiamo tante armi, ma è anche vero che abbiamo pochi problemi legati alle armi. Noi per tradizione siamo sempre stati un popolo di tiratori, per noi è sempre stato normale avere armi in casa. Siamo cresciuti con più senso di responsabilità e meno aggressività rispetto ad altriPaesi. Il problema non sta nel numero di armi, ma nella testa delle persone».