La Svizzera richiama all'ordine Israele ma non firma l’appello dei ministri degli Esteri

«Il Consiglio federale esprime la sua profonda preoccupazione per la tragedia umanitaria in corso nella Striscia di Gaza, aggravata dalla persistente assenza di un accesso umanitario. Israele è tenuto a rispettare gli obblighi in materia di diritto internazionale umanitario che gli incombono in quanto potenza occupante. In particolare, deve applicare le Convenzioni di Ginevra, che sanciscono l’obbligo di approvvigionare la popolazione e di garantire un accesso rapido e senza ostacoli all’assistenza umanitaria per tutte le persone bisognose, in modo imparziale e senza discriminazioni». È con questa presa di posizione che il Consiglio federale, ieri, ha accompagnato l’annuncio dei 20 milioni concessi per sostenere la popolazione palestinese.
Le firme di Berlino, Parigi, Roma e Londra
Il Consiglio federale e il «ministro» degli Esteri Ignazio Cassis si sono invece rifiutati di firmare una dichiarazione congiunta, firmata da oltre venti Paesi, con un appello a Israele in cui si chiede al Governo di Netanyahu di consentire immediatamente il pieno ripristino degli aiuti alla Striscia di Gaza e di consentire alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie di svolgere il loro lavoro in modo indipendente e imparziale.
Tra i firmatari ci sono i ministri degli Esteri di Francia, Italia, Germania, Austria, Spagna, Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Canada, Giappone e Australia. Ma non c’è Ignazio Cassis. Tages-Anzeiger e RSI, che hanno contattato il DFAE per chiedere spiegazioni, indicano che la Svizzera è stata invitata a firmare l’appello, ma ha deciso di non farlo.
Il DFAE: «Troppo imprecisa»
Perché il «ministro» degli Esteri elvetico non intende seguire i suoi omologhi? La dichiarazione è «troppo imprecisa» per quanto riguarda il nuovo modello israeliano per la distribuzione degli aiuti, fa sapere al media zurighese il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).
Il riferimento al «modello israeliano» (che coinvolge anche gli Stati Uniti) riguarda una fondazione registrata a Ginevra lo scorso febbraio: la «Gaza Humanitarian Foundation». Stando ai piani, con questa nuova «alternativa» la distribuzione degli aiuti avverrà solo da poche località della Striscia di Gaza. Un aspetto criticato fortemente non solo dai ministri degli Esteri, ma anche dall’ONU e da varie ONG, poiché i centri di distribuzione saranno costruiti in una zona controllata dall’esercito israeliano e inoltre i civili - per poter accedere agli aiuti - si troverebbero in mezzo al fuoco incrociato del conflitto. Proprio per questo, la dichiarazione congiunta ribadisce l’importanza di consentire alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie di svolgere il loro lavoro in modo indipendente e imparziale.
La Svizzera, invece, vuole aspettare e vedere se il modello israeliano funziona: in dichiarazioni riportate dal Tages-Anzeiger, il DFAE indica che l’ambasciata elvetica a Tel Aviv non ha ricevuto informazioni concrete dalle autorità israeliane. Pertanto, al momento non è possibile esprimere una dichiarazione in merito. Tuttavia, il modello dovrà rispettare le Convenzioni di Ginevra. «La nostra ambasciata a Tel Aviv lo ha comunicato chiaramente alle autorità israeliane», sostengono i servizi di Cassis.