Le linee rosse dei sindacati per accettare l’intesa con l’UE

I sindacati si preparano per la fase calda dei colloqui con i datori di lavoro sulle misure di tutela dei salari, da affiancare al nuovo pacchetto di accordi bilaterali con l’UE. L’intesa con Bruxelles non piace a Unione sindacale svizzera e Travail.Suisse, che vogliono una serie di garanzie supplementari. Secondo le organizzazioni dei lavoratori, che oggi a Berna hanno adottato una presa di posizione comune e formulato una serie di richieste, l’accordo mette in pericolo la protezione salariale, in particolare a causa della riduzione dei termini di annuncio, della soppressione di fatto della cauzione e della ripresa del regolamento europeo sulle spese (le aziende estere dovrebbero coprire i costi di vitto e alloggio in Svizzera secondo le tariffe in vigore nel loro Paese). Se le loro richieste non saranno soddisfatte, l’esito dei negoziati conclusi in dicembre con l’Unione sarà respinto. La posizione che assumeranno i sindacati è importante perché senza il loro consenso l’intesa con l’UE, già contestata dall’UDC e da altre organizzazioni vicine al mondo economico (per motivi di perdita di sovranità) non avrebbe nessuna chance alle urne. «Quello che è stato presentato dal Consiglio federale costituisce già un passo indietro. Sia a livello di servizio pubblico che di protezione dei salari», dice il vicepresidente dell’USS-Ticino Giangiorgio Garantini, intervenuto all’assemblea straordinaria indetta nella capitale. «Quindi abbiamo presentato diverse possibilità di miglioramento delle misure di accompagnamento che dovranno essere soddisfatte affinché si possa sostenere l’accordo». Anche il sindacalista ticinese tiene a sottolineare che senza i sindacati l’accordo è destinato a cadere alle urne.
Secondo i sindacati il «deterioramento» della protezione dei salari è «inaccettabile». Bisognerà porre rimedio e negoziare duramente, ha sottolineato il presidente nazionale dell’USS Pierre-Yves Maillard. «Il nostro obiettivo è di trovare una soluzione utile ai lavoratori». L’USS, in ogni caso, assumerà una posizione definitiva dopo le discussioni di politica interna e i dibattiti parlamentari. Sulla medesima lunghezza d’onda il suo omologo di Travail.Suisse Adrian Wütrich: «Siamo aperti ad affrontare in modo costruttivo i prossimi colloqui politici interni e a cercare soluzioni. Ma se le richieste non verranno accolte l’esito dei negoziati sarà rifiutato».
Le richieste dei sindacati sono una decina, ma quelle che daranno filo da torcere nei colloqui con i datori di lavoro sono essenzialmente tre. Innanzitutto che i contratti collettivi di lavoro diventino più facilmente vincolanti per tutti (una misura finora osteggiata dalla controparte padronale),; in secondo luogo un migliore statuto per la manodopera temporanea; e da ultimo una migliore protezione contro il licenziamento dei rappresentanti del personale.
Sulla questione dei rimborsi spese l’USS in particolare chiede una rinegoziazione. Anche i datori di lavoro, comunque, sono critici con le disposizioni contenute nell’accordo negoziato, in quanto costituirebbero una distorsione della concorrenza (a scapito soprattutto delle piccole e medie imprese).
L’USS domanda, fra le altre cose, che le aziende primarie straniere si facciano carico delle multe per i subappaltatori, nel caso in cui non abbiano prima verificato se questi ultimi pagano stipendi svizzeri. Inoltre, denuncia anche la liberalizzazione del mercato dell’elettricità e l’apertura del traffico internazionale ferroviario di passeggeri (un punto che però non è contestato dall’altra organizzazione sindacale). Fra le rivendicazioni figura anche l’accelerazione del trattamento delle notifiche dei lavoratori distaccati. Quanto a Travail.Suisse chiede da u n lato misure compensative e dall’altro una modernizzazione della protezione dei salari.
I colloqui con i datori di lavoro dovrebbero concludersi a fine mese. La palla passerà poi al Consiglio federale per la preparazione delle misure interne da mettere in consultazione insieme all’accordo, che dovrebbe essere sottoscritto formalmente nel mese di maggio. Il voluminoso dossier – si parla di 1.400 pagine – dovrebbe essere trasmesso ai partiti e a tutti gli altri gruppi di interesse in giugno.
«Catalogo di rivendicazioni»
«Era prevedibile». Di fronte alle richieste formulate dall’USS, il presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) Fabio Regazzi non si scompone. Anzi, contrattacca. «I sindacati cercano di utilizzare l’arma del ricatto, sfruttando a loro vantaggio i nuovi accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea. Intendono subordinare la loro adesione a misure che andrebbero a rendere meno flessibile il mercato del lavoro. Come USAM siamo sempre stati chiari: queste condizioni non le accettiamo, non ci sono i presupposti». Insomma, per Regazzi i sindacati «sono tornati alla carica con il loro catalogo di rivendicazioni. Rivendicazioni che tuttavia non hanno nulla a che vedere con i rapporti tra Berna e Bruxelles. Sono fatte esclusivamente per l’interno. Per rendere meno flessibile, lo ribadisco, il mercato del lavoro svizzero. Ricordo però che è proprio la flessibilità in questo ambito uno dei punti di forza della nostra economia».