Popolazione

Le sfide verso quota 10 milioni

La tendenza alla crescita demografica in Svizzera è chiara ormai da tempo - Il primo motore è rappresentato dall’immigrazione - Michel Oris (UNIGE): «Il Paese non è pronto con infrastrutture e alloggi, ma per cambiare modello economico servirebbe una rivoluzione copernicana»
© KEYSTONE / ENNIO LEANZA
Paolo Galli
11.07.2023 06:00

Da bambino, ai tempi delle scuole elementari, ricordo che la popolazione svizzera viaggiava attorno ai 6,5 milioni di persone. Erano gli anni Ottanta. Ma poi la crescita, da allora, è stata costante. E oggi siamo vicini ai nove milioni. A ogni giro di boa, ogni milione in più accumulato, le stesse domande. Una, in particolare: ma quante persone potrà davvero ospitare la Svizzera? Implicito l’aggettivo: la «piccola» Svizzera. Intanto tendiamo a invecchiare, con un’ottima speranza di vita, e poi continuiamo ad accogliere nuova popolazione. A incidere sulla crescita è stata soprattutto l’immigrazione. Secondo l’Ufficio federale di statistica (UST), come è ormai noto, potremmo arrivare a quota 10,4 milioni nel 2050. Ma stando agli scenari che presuppongono un saldo migratorio più elevato, la popolazione svizzera potrebbe raggiungere addirittura quota 11,4 milioni. Insomma, un boom vero e proprio. Da lì le riflessioni economiche e, soprattutto, in vista delle elezioni federali, politiche.

Le previsioni

Michel Oris è professore alla Facoltà di Scienze economiche e sociali dell’Università di Ginevra, è già stato vice-rettore dell’ateneo ginevrino, ma è soprattutto un esperto di demografia. Seguendo in particolare le prese di posizione dell’UDC - sfociate nel lancio di un’iniziativa popolare denominata, in maniera alquanto esplicita, «No a una Svizzera da 10 milioni!» -, dobbiamo davvero preoccuparci di fronte a queste prospettive? «Al di là delle eventuali preoccupazioni, va detto che, dittature a parte, è difficile controllare la crescita o la decrescita di una popolazione. Abbiamo delle proiezioni - quelle dell’UST - che sono piuttosto precise e che ci dicono che arriveremo a quota 10,4 milioni verso il 2050, infrangendo la soglia dei dieci milioni nel 2040. Il ritmo, nell’avvicinarci a quota 9 milioni, è stato leggermente più rapido del previsto». Detto questo, e dribblando le letture politiche, Oris riflette: «Non per forza la Svizzera ha infrastrutture e alloggi per dieci milioni di abitanti. Basti pensare alle infrastrutture ferroviarie, che sono pressappoco quelle dei tempi delle locomotive a vapore. Ecco, è evidente che a mancare è l’anticipazione di possibili soluzioni, è l’investimento in questa direzione».

Sostenibilità

Si fa un gran parlare, infatti, della sostenibilità di questa crescita demografica. La quale può dipendere allora dall’arrivo di una nuova popolazione, ma anche dal tempismo nell’adeguarsi a esso. «È chiaro - osserva il professore ginevrino - che in un Paese ricco come la Svizzera, più abitanti hai, più aumentano le sfide in termini di sostenibilità. La Svizzera, da almeno settant’anni, vive una crescita economica che genera una forte domanda di manodopera, una forte immigrazione quindi, e bassi tassi di disoccupazione. Ci si può immaginare altri modelli, senza temere un’eventuale decrescita della popolazione. Ma per realizzare una simile transizione, verso un nuovo modello economico, che sia comunque efficace nel rispondere all’invecchiamento della popolazione, servirebbe una rivoluzione copernicana, per realizzare la quale - in un sistema tanto radicato nella mentalità svizzera - sarebbe necessaria, subito, una manodopera qualificata oggi non disponibile sul territorio. Nei primi tempi, insomma, bisognerebbe passare, anche in quel caso, anche guardando al lungo termine, dall’immigrazione e da una prima fase di crescita della popolazione». Confrontata al modello economico attuale, la Svizzera è comunque destinata a superare quota 10 milioni grazie proprio alla mobilità internazionale, non tanto - giusto ricordarlo - al saldo naturale. Come spiega Oris, nel nostro Paese l’indicatore congiunturale della fecondità si attesta a 1,5 figli per donna, mentre nei Paesi sviluppati il livello di sostituzione è raggiunto quando le donne hanno circa 2,1 figli. Se poi consideriamo l’elevata speranza di vita, si capisce come la Svizzera leghi la sua crescita proprio, se non esclusivamente, all’immigrazione.

L'incremento della popolazione in età attiva dipenderà sempre più dall'immigrazione
Michel Oris, professore alla Facoltà di Scienze economiche e sociali dell’Università di Ginevra

L’evoluzione delle strutture

Come ci ha ricordato, nei giorni scorsi, il 19. Rapporto dell’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone, «con la libera circolazione delle persone, per le aziende svizzere è diventato più semplice assumere personale indigeno e attingere al potenziale di manodopera dello spazio UE, soprattutto per coprire il fabbisogno di professionisti qualificati e spesso specializzati». E in futuro «l’incremento della popolazione in età attiva dipenderà sempre più dall’immigrazione». Michel Oris sottolinea che, in linea generale, «la crescita della popolazione è segno di buona salute economica. È poi un fattore positivo in ambito fiscale. Ma anche, tra le altre cose, per dare un senso a scuole e centri sportivi, che di conseguenza si riempiono. Nei cantoni in cui la popolazione diminuisce, diminuiscono anche le entrate, rallenta la fiscalità, alcune scuole sono costrette a chiudere sezioni e i centri sportivi risultano sovradimensionati, senza giovani. Basti pensare ad alcune zone di montagna». Basti pensare alla Leventina. In sé, comunque, come osserva ancora il professore dell’Università di Ginevra, il problema non è tanto la crescita o la decrescita della popolazione, bensì l’evoluzione delle strutture della popolazione. In Ticino, va ricordato, ci si attende per il 2050 il 34% della popolazione oltre i 65 anni di età. «E questa sì che è una sfida». Lo è, in particolare, nel contesto dell’attuale modello economico, «con le varie organizzazioni padronali che chiedono a gran voce manodopera qualificata» e, parallelamente, con l’imminente uscita dal mercato del lavoro dei babyboomer. Tendenzialmente, lo ricordava anche la stessa SECO, il numero di persone che lasciano il mercato del lavoro è maggiore del numero di coloro che vi entrano. «Per fortuna la Svizzera ha un buon sistema di formazione duale», sottolinea Oris, ma al momento l’impressione è che, per le qualifiche di alto livello, l’immigrazione sia sempre più la principale soluzione. A meno - seguendo il ragionamento del professore ginevrino - che non si decida di cambiare modello economico.

Ticino in controtendenza

Le tendenze demografiche del nostro Paese parlano di una crescita, mentre quelle relative al nostro cantone, il Ticino, vanno in senso opposto. È noto, e da tempo è tema di riflessioni anche politiche. «È una questione complicata», ammette lo stesso Michel Oris. «Effettivamente, il Ticino è già in una fase di stagnazione e dovrebbe, in futuro, vivere un lento declino». Secondo lo stesso Ufficio federale di statistica, la popolazione ticinese diminuirà infatti entro il 2050 di oltre 18.000 abitanti, invecchierà e sarà sempre meno potenzialmente «attiva». Un cantone in controtendenza, sempre meno attrattivo. «La prima ipotesi chiama in causa la facilità nel ricorrere ai frontalieri: il Ticino avrebbe quindi meno bisogno di far arrivare lavoratori immigrati. Ma fino a qualche anno fa, aveva gli uni e gli altri. E quindi si può pensare alla terziarizzazione dell’economia, la quale si concentra sempre più nelle metropoli, quindi a Zurigo, Ginevra, Losanna. E infatti si sta facendo largo l’idea che sia proprio l’immigrazione a rendere le città attrattive per le aziende. Le quali vanno allora dove trovano la manodopera nelle quantità e secondo le qualifiche gradite». E il Ticino - con una manodopera sottoqualificata rispetto alla media nazionale e non altrettanto capace, rispetto alle grandi città, ad attirare immigrazione di altissimo livello - non rientrerebbe in questi circoli virtuosi, tra immigrazione, per l’appunto, e dinamiche economiche. Ne rimarrebbe escluso, anche perché nel frattempo «perde giovani tra i 20 e i 39 anni, giovani attivi, e il saldo naturale - va ricordato come in Ticino la speranza di vita sia tra le più elevate al mondo - inizia a pesare al punto che risulta difficile compensarne il deficit». Difficile persino attraverso l’immigrazione.

Quella risposta a Rösti

Gli ultimi a proporre al Consiglio federale interrogativi relativi al boom demografico sono stati l’UDC, con la mozione «No a una Svizzera con 10 milioni di abitanti!», e la verde liberale Judith Bellaiche, che con il postulato «Visione positiva di una Svizzera con 10 milioni di abitanti» riflette sulla necessità di «identificare le ripercussioni di una Svizzera composta da 10 milioni di persone e formulare i relativi obiettivi di pianificazione». Il tema, comunque, affiora qua e là in diversi atti parlamentari. Interessante rivedere la risposta dell’Esecutivo a un’interpellanza dell’allora consigliere nazionale Albert Rösti, «10 milioni di abitanti in Svizzera, quali sono le conseguenze?». Il 17 novembre 2021, il Consiglio federale sottolineava come non intendesse, «con le sue azioni, influire sull’evoluzione demografica, che dipende in primo luogo dalla situazione economica e dall’attrattiva della Svizzera rispetto agli altri Paesi. Nell’elaborare le prospettive, ad esempio nell’ambito dei trasporti e dell’energia, vengono prese in considerazione le ripercussioni della crescita demografica e i relativi dati vengono utilizzati per la pianificazione dello sviluppo delle infrastrutture». Per quanto concerne il mercato del lavoro, va notato - sottolineava lo stesso Esecutivo - «che negli ultimi decenni l’andamento dell’immigrazione di manodopera in Svizzera è dipesa dalle esigenze dell’economia del Paese».
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