«L'iniziativa sulle successioni è un harakiri clamoroso»

Il 30 novembre si voterà sull’iniziativa della Gioventù socialista «Per una politica climatica sociale finanziata in modo fiscalmente equo». I promotori chiedono un’imposizione del 50% sulle successioni e sulle donazioni superiori a 50 milioni di franchi. Con il ricavato si dovranno finanziare misure di tutela del clima. Fra gli avversari c’è anche l’USAM, l’associazione mantello delle piccole e medie imprese. Abbiamo intervistato il presidente Fabio Regazzi.
L’USAM è in prima linea contro l’iniziativa popolare, definita distruttiva. Perché?
«Perché se fosse accolta avrebbe effetti deleteri sul tessuto economico e in particolare sulle piccole e medie imprese. Si vuole far credere che saranno toccati solo i grandi patrimoni e i grossi gruppi industriali. È chiaro che questi saranno colpiti ma gli effetti si faranno sentire anche su molte aziende di famiglia, diverse delle quali anche non note al grando pubblico ma radicate nel loro territorio. I titolari si troverebbero di fronte a situazioni difficili. Le aziende non sono una banca. I loro beni sotto forma di immobili, macchinari, know-how. Il valore è costituito solo in minima parte da liquidità. I proprietari non avrebbero a disposizione i mezzi per poter pagare le imposte di successione. Dovrebbero pertanto vendere l’azienda, tutta o in parte (perdendo il controllo della società), oppure trasferirsi all’estero. Questo pericolo è reale. Con conseguenti effetti a cascata, a livello di posti di lavoro e di indotto. Oltre al danno economico ci sarebbe anche un autogol fiscale. Ci sono Paesi che accoglierebbero a braccia aperte persone facoltose provenienti dalla Svizzera. L’iniziativa ha già causato danni, facendoci perdere potenziali buoni contribuenti che si sarebbero installati volentieri in Svizzera ma che a causa di questa spada di Damocle hanno optato per altri lidi o sospeso la loro decisione».
Il contesto è difficile. L’economia svizzera è già confrontata con la forza del franco e i dazi americani. L’iniziativa per la responsabilità ambientale è stata bocciata in febbraio con il 70% di no. Non state dando troppo peso a questa nuova iniziativa?
«Se fosse successo dieci anni fa forse non sarebbe stato il caso di preoccuparsi. L’iniziativa per le sei settimane di vacanza e quella sul salario minimo erano state spazzate via. Ma nel frattempo il contesto è cambiato. Bisogna parlar chiaro e condurre una campagna con una forte presenza per farci sentire. Un successo alle urne è alla portata ma dobbiamo vincere in modo netto, perché se dovesse scaturire un risultato tirato è probabile che nel giro di breve tempo gli iniziativisti ripartirebbero con altre proposte estreme. Non vogliamo sottovalutare il pericolo. Soluzioni estreme non appartengono al nostro Paese. Del resto, credo che per l’ambiente si stia già facendo molto. Non abbiamo bisogno di proposte massimaliste».
Si è detto che le aziende direttamente toccate sarebbero fra le due e le tremila. Le PMI sono molte di più. In quale modo questa iniziativa vi danneggerebbe?
«Vanno messi in conto gli effetti indiretti di questa iniziativa, perché tantissime PMI, penso in particolare a fornitori e subfornitori, hanno una relazione economica con le grandi realtà produttive. Si perderebbero posti di lavoro e un’identità imprenditoriale svizzera fatta di imprese di famiglia. Né, come dicevo, va sottovalutato l’effetto fiscale. L’impatto, in caso di sì alle urne e di trasferimento all’estero di contribuenti facoltosi, sarebbe devastante. Per questo definisco questa iniziativa irresponsabile. Sarebbe un harakiri clamoroso».
C’è chi come Peter Spuhler (n.d.r. il patron di Stadler-Rail) ha già detto che in caso di approvazione popolare lascerebbe il Paese. Queste minacce sono credibili? Non rischiano di rivelarsi controproducenti?
«Spuhler è attaccatissimo alla Svizzera, ma non è uno che parla a vanvera. Non impiega molto a realizzare quello che dice. Di fronte a una prospettiva di questo tipo deve anche considerare scenari estremi. Non sono ricatti ma reazioni legittime di fronte a minacce che potrebbero mettere a repentaglio un’azienda e un patrimonio familiare».
Se questi grossi contribuenti si trasferissero all’estero chi pagherebbe le perdite fiscali?
«Lo pagheranno i contribuenti che rimangono e che non possono trasferirsi, il ceto medio e le piccole e medie imprese».
Se un imprenditore non ha i mezzi liquidi per pagare le imposte di successione che cosa dovrebbe fare?
«Pagare un’imposta del 50% sul patrimonio eccedente i 50 milioni non sarebbe fattibile sui due piedi. Bisognerebbe chiedere un prestito alla banca per pagare le imposte, sempre che si riesca a trovare una banca pronta a finanziarlo. Non credo che ci sarebbe un istituto di credito pronto a farlo. I prestiti si chiedono per fare investimenti, per costruire immobili, per dotarsi di nuove tecnologie. Sarebbe un controsenso doversi indebitare per pagare le imposte. Andrebbero in fumo sacrifici fatti da più generazioni per pagare un’imposta di successione fuori da ogni logica. Il rischio è anche che ogni successiva generazione lo Stato si prenda una quota del patrimonio fino a quando non resterà più nulla. E poi si potrebbe anche aprire il capitolo sull’impiego di questi soldi».
Contestate anche l’obiettivo?
«Non sarà certo la Svizzera a salvare il pianeta. La strada per ridurre le emissioni è tracciata. Questa iniziativa è puramente ideologica. I Giovani socialisti non vogliono solo un’imposta di successione esorbitante, ma anche un radicale cambiamento di sistema. Invece di aziende innovative che sviluppano nuove tecnologie rispettose del clima, chiedono un’eco-economia controllata dallo Stato».
Lei con la sua azienda sarebbe personalmente toccato?
«Non ho fatto un calcolo preciso. Forse, sommando il valore degli immobili e dei macchinari ci potremmo avvicinare al limite dei 50 milioni. Se un domani dovessi essere colpito da questa imposta non saprei come pagarla. Dovrei cedere l’immobile o l’azienda stessa. E poi, in termini generali, a furia di tassare gli eredi in modo così pesanti, alla fine rischia di non restare più nulla».
L’iniziativa solleva comunque un problema di ridistribuzione della ricchezza. Secondo alcuni economisti una tassa sui grandi patrimoni diventerà inaggirabile. Voi come vi ponete di fronte a questa questione?
«È il leit-motiv della sinistra e di alcuni economisti a lei vicini. Abbiamo già un sistema fiscale molto progressivo che si applica ai patrimoni. I redditi alti pagano quasi il 50% di imposte. Inoltre, abbiamo anche un’imposta sulla sostanza, sia aziendale sia privata, che non esiste in tanti altri Paesi e che in Ticino è ancora particolarmente alta. Paghiamo già per tutta la vita imposte sul patrimonio. Non dobbiamo introdurne un’altra».
