Il reportage

«Macron complice: ci siamo sentiti traditi dall’Università di Losanna»

Abbiamo cercato di ricostruire che cosa è successo prima, durante e dopo la visita del presidente francese all'ateneo vodese
© KEYSTONE / CYRIL ZINGARO
Sara Fantoni
20.11.2023 13:45

«Insorgiamo contro questa decisione. È impossibile per noi non sentirci traditi dalla nostra stessa istituzione». Si possono riassumere così le parole scritte sui volantini sparsi per l’Università di Losanna (UNIL) nei giorni scorsi. L’obiettivo di studentesse e studenti? Proporre una manifestazione contro la visita del presidente Emmanuel Macron – invitato dall’ateneo per tenere una conferenza sull’Europa assieme ad Alain Berset – e le sue posizioni sul conflitto in Medio Oriente.

Benché la contestazione prendesse di mira i due Capi di Stato, il volantino suggeriva che l’obiettivo fosse soprattutto quello di contestare la posizione dell’UNIL rispetto all’invito in sé del presidente francese. Infatti – spiegava il manifesto –, questa decisione si opporrebbe «ai valori che l’Università sostiene di difendere». Per fare chiarezza su questo punto abbiamo chiesto direttamente agli studenti manifestanti, alla portavoce dell’ateneo Géraldine Falbriard e al responsabile stampa e comunicazione della Polizia cantonale vodese, il vicecommissario Jean-Christophe Sauterel: quali sono state le circostanze e le ragioni di questa contestazione? Che cosa hanno significato le proteste per l’Università, considerando anche il contesto generale?

«Una mischia da rugby»: quali conseguenze?

La presenza dei presidenti francese e svizzero è stata contestata da un corteo desideroso di recarsi fino allo stabile in cui si sarebbe tenuto il dibattito. Attorno a questo spazio, le forte dell'ordine vodesi e federali hanno istituito un sistema di sicurezza composto, anche, da due elicotteri. Come da prassi. «Queste dinamiche non coinvolgono in nulla l’Università, tenuta a seguire le indicazioni della polizia», sottolinea Géraldine Falbriard, portavoce dell’ateneo, nel ripercorrere quanto successo.

Dopo pochi metri, la sfilata dei duecento manifestanti –muniti di padelle e cartelli con frasi come «né Macron né Berset», «Macron complice» e «Palestina libera» – è stata interrotta da una cinquantina di poliziotti. «Avevamo fatto appena cento metri quando la parata è stata interrotta dalla polizia – ricorda una studentessa –. Avendo percorso così poco, avevamo il desiderio di proseguire la manifestazione, tant'è che coloro che guidavano il gruppo ci hanno spronato a spingere la polizia per continuare la marcia. Evidentemente, ci siamo spostati di poco». Un’altra manifestante aggiunge: «Sono sorte tensioni dopo alcune richieste pacifiche di poter avanzare. Questo ha dato inizio a una mischia da rugby». A questo proposito, Jean-Christophe Sauterel, interpellato dal CdT, precisa: «Hanno forzato il passaggio, non c’era la possibilità di negoziare. Si trattava di una visita di Stato, ovvero un evento che prevede il maggior livello di sicurezza in Svizzera. I perimetri erano definiti, ciò significa che i manifestanti non potevano andare al di là di questi».

Come ha riportato la RTS, per fermare le rivolte e per dissuadere gli studenti dall’avanzare, gli agenti hanno utilizzato lo spray al peperoncino e diversi giovani si sono sentiti male. Gli studenti sono poi stati trattenuti sul posto fino alla fine del dibattito. «È stato triste per me che nessuno potesse lasciare la zona, nemmeno chi era entrato in contatto con lo spray. Ho provato un senso di sconforto» spiega Saskia, una studentessa al master in geografia. I ragazzi hanno infatti dovuto attendere la fine della manifestazione prima di lasciare il luogo, per ragioni di sicurezza. Sauterel chiarisce: «Le persone che sono state colpite in maniera importante dal gas lacrimogeno sono state inizialmente prese a carico da un'équipe medica messa a disposizione dall’Università. Successivamente, è arrivata anche un’ambulanza».

Per un manifestante, conferma Sauterel, ci saranno conseguenze penali. E questo per via di «un’attitudine aggressiva contro le forze dell’ordine nel voler forzare il passaggio». Per gli altri, invece, nessuna ripercussione, «ma rimane essenziale – aggiunge il vicecommissario – capire la necessità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni in un contesto in cui i limiti stabiliti erano chiari».

Ho partecipato alla manifestazione per dimostrare che non vogliamo un presidente del genere nella nostra università: ci rifiutiamo di accogliere due persone il cui governo è complice nel sostenere uno Stato genocida
Wendy, una studentessa di lettere e scienze politiche all’UNIL

Le decisioni dell’ateneo sono «contestabili»

Ma veniamo alle ragioni che hanno spinto gli studenti a scegliere questa forma di espressione per comunicare il loro dissenso. «Ho partecipato alla manifestazione – dice Wendy, una studentessa di lettere e scienze politiche all’UNIL – per dimostrare che non volevamo né vogliamo un presidente del genere nella nostra Università: semplicemente, ci siamo rifiutati di accogliere due persone il cui governo è complice nel sostenere uno Stato genocida». A questa affermazione si è accodata anche Saskia. Lei, racconta, ha partecipato «innanzitutto per dimostrare il mio sostegno alla Palestina. Secondariamente, partecipo spesso a queste manifestazioni, perciò mi è sembrato coerente e giusto essere presente. Un'ulteriore ragione che mi ha spinta a partecipare – aggiunge – è stata la decisione dell’Università di invitare il presidente Macron, immediatamente dopo il rifiuto di ospitare sui suoi terreni un torneo di calcio per sostenere gli aiuti umanitari a Gaza».  

Tale evento, programmato per il 28 di ottobre scorso e giudicato di natura politica, non era infatti stato approvato dall’UNIL, anche a causa di alcuni limiti amministrativi. «Hanno preso delle decisioni di parte, mancando di fare il loro dovere verso gli studenti. Questo invito così formale per migliorare l’immagine dell’ateneo, quando sia le decisioni prese sia il Capo di Stato invitato sono scelte estremamente contestabili, mi ha lasciata parecchio delusa», dichiara con vigore la studentessa. Questa manifestazione, dunque, oltre a voler dimostrare sostegno alla Palestina non nascondeva pure una critica alle ultime decisioni dell’istituzione universitaria.

Manifestare e dialogare: una convivenza difficile?

La portavoce dell’istituto, dal canto suo, ha confermato la disponibilità della direzione a rispondere ai dubbi e alle eventuali critiche degli studenti. Non si è pronunciata, invece, a proposito dei manifesti sparsi liberamente per il campus universitario. «Quando si vedono questi cartelli, non si sa quante persone rappresentino – dice Falbriard al CdT –. Dieci? Mille? All’UNIL ci sono 17 mila studenti. I manifesti, quante ne rappresentano? Non lo sappiano. Questo per dire che, quando un gruppo identificato di persone desidera esprimere il suo dissenso, l’organo direttivo è sempre pronto a un dialogo e, quando c’è stata l’occasione, l’ha fatto». Quest’ultima affermazione fa riferimento a una discussione che l’ateneo ha avuto con i membri del collettivo Losanna-Palestina. Il dialogo ha permesso agli studenti di venire a conoscenza del fatto che vi fosse la possibilità di porre domande al Capo di Stato francese durante la conferenza, anche riguardo alla sua posizione rispetto al conflitto israeliano-palestinese. «Ma se mi fossi recata alla conferenza – fa notare Saskia – l’avrei percepito come un sostegno sia al presidente sia alla decisione dell’Università. Inoltre, anche volendo, non avrei potuto partecipare in quanto i posti erano terminati in pochissimi minuti dall’annuncio dell’evento; perciò, scegliere la protesta come forma di espressione mi è sembrato un gesto carico di significato».

Tuttavia, il messaggio recepito dall’Università è stato uno soltanto: mancanza di volontà di dialogo. Guai, però, a generalizzare. «La maggioranza degli studenti ha un’attitudine positiva, indipendentemente da quella che è l’opinione della controparte – conclude la portavoce dell’ateneo –. Sono dei giovani che si pongono domande, che riflettono, che sono qui per studiare e per avere uno sguardo critico, ma con qualcuno che non vuole un confronto, purtroppo, non è possibile dialogare. Quando non c’è più dialogo fra le persone è un peccato. Ed è qualcosa che rattrista».

In questo articolo: