L'intervista

Mirko Manzoni, un ticinese ambasciatore in Sudafrica

A tu per tu con il diplomatico elvetico fresco di nomina: dalla posizione dei cosiddetti BRICS sulla guerra in Ucraina al concetto di neutralità svizzera, passando per i rapporti con il Ticino e la missione di pace in Mozambico
Stefania Briccola
18.05.2023 06:00

Mirko Manzoni parla dell’arte di costruire la pace e della neutralità della Svizzera che fa la differenza in un mondo in cui dominano il pensiero unico e la comunicazione dell’era di Twitter. Il diplomatico ticinese, classe 1967, è stato nominato dal Consiglio Federale ambasciatore plenipotenziario e straordinario nelle repubbliche del Sudafrica, del Botswana, delle Mauritius e nei regni del Lesotho e di eSwatini. Attualmente l’ambasciatore sta portando a termine a Maputo il suo mandato di inviato personale del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che lo vede responsabile dell’attuazione degli accordi di pace firmati nel 2019 tra il governo del Mozambico e Renamo, il partito armato di opposizione, per porre fine alla guerra civile. La Svizzera in Africa ha una marcia in più in quanto scevra da un passato coloniale. La posizione dei cosiddetti BRICS nel conflitto tra Ucraina e Russia può essere un'opportunità per instaurare un dialogo. La Confederazione Elvetica ha una reputazione e una tradizione in ambito internazionale, ma anche una posizione e un colore diverso sulla cartina dell’Europa.

Ambasciatore Manzoni, a che punto è la missione di pace in Mozambico che le è stata assegnata da Antonio Guterres dopo gli accordi firmati a Maputo nel 2019?
«Al momento della firma di un accordo di pace nell’immaginario della gente sembra che tutto sia finito. In realtà, lo svolgimento dello stesso è complesso quanto la fase di negoziato. Dopo quattro anni dalla firma dell’accordo di Maputo siamo quasi alla fine della messa in opera delle sue diverse parti. È andato tutto come previsto e stiamo attraversando una fase delicata simile all’ultimo chilometro di una maratona, perché in Mozambico avremo le elezioni amministrative a ottobre. Però siamo ottimisti e abbiamo già un piano per terminare il nostro lavoro alla fine di quest’anno. I processi di pace sono comunque politici e credo che qualunque leader potrebbe dire che fare un piano è un’ottima strategia. Dopodiché, è molto difficile prevedere che venga realizzato come previsto».

Come ha accolto la nomina di ambasciatore del Sudafrica e di altri Paesi?
«L’ambasciata di Pretoria è importante anche solo per il numero di Paesi coperti. La mia nomina rappresenta una sfida molto interessante perché conosco bene la regione dell’Africa australe, dove ormai lavoro da dieci anni. Poi sarò anche accreditato alla SADC (Southern African Development Community) che è l’organizzazione regionale che unisce in un’ottica di sviluppo tutti i Paesi dell’Africa australe, compreso il Mozambico».

Dell’Africa australe si sa poco nel resto del mondo, fino a quando non spunta un giacimento di gas come in Mozambico. Quali sono le prospettive dei Paesi in cui lavorerà come ambasciatore della Svizzera?
«Innanzitutto, come diplomatici svizzeri abbiamo sempre un certo vantaggio in Africa perché non abbiamo avuto un passato coloniale. Siamo tenuti in considerazione e non abbiamo un’agenda nascosta nelle relazioni con questi Paesi. Paesi che, purtroppo, guadagnano la ribalta solo quando arriva un ciclone devastante, come Freddy in Mozambico, o per via delle loro risorse naturali immense. Dal punto di vista della promozione economica l’Africa australe è una regione molto importante, mentre dal punto di vista politico non dobbiamo dimenticare che lo diventerà sempre di più considerando che l’intero continente ha mostrato la tendenza a non essere più “allineato”. Al contrario, ha cercato – in un modo anche corretto – una sua via. Oltretutto, il Sudafrica fa parte dell’alleanza dei BRICS (acronimo per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ndr). Un'alleanza che oggi, nell'ambito del conflitto in Ucraina, inizia a essere molto rilevante».

La posizione dei BRICS rappresenta una criticità o un’opportunità?
«In politica e soprattutto in geopolitica la strategia è più facile quando tutti sono allineati. Non mi preoccuperei del fatto che questi Paesi non la pensano come noi, al contrario incomincerei a lavorare in modo serio per cercare di dialogare con questo blocco, che di colpo non cambierà idea per assecondarci. I BRICS in passato hanno già dato dei segnali chiari creando un istituto bancario regionale che si pone come alternativa alle nostre istituzioni finanziarie. Questi Paesi messi insieme fanno la metà del mondo a livello demografico e non sono poca cosa. Invece di mostrarci arroganti, cercherei di capire le loro ragioni e di costruire una relazione solida per il futuro. Abbiamo investito per cinquant’anni in educazione, salute e temi importanti per lo sviluppo di questi Paesi e poi, di colpo, quando diventano più forti e indipendenti ci lamentiamo perché non fanno più quello che diciamo loro di fare».

In Svizzera, anche pensando al concetto di neutralità, si sta discutendo molto sulla riesportazione di materiale bellico verso l'Ucraina. Quanto conta la tradizione elvetica nei vari negoziati di pace e nella visione dello scacchiere mondiale?
«La mia posizione magari non sarà allineata con il pensiero di tutti gli svizzeri, ma credo sia un'assurdità, incredibile e gigantesca, quella di aiutare la pace fornendo armi e di pensare che ci sia solo una vittoria militare. Sono diventato diplomatico proprio con questa convinzione. Come Paese, abbiamo un’opportunità incredibile perché nella nostra costituzione sta proprio scritto che dobbiamo costruire la pace».

La Svizzera ha applicato le sanzioni contro la Russia, ma non è allineata con l’Europa. Questo fa la differenza ancora oggi in una situazione sempre più incontrollabile

Quale posizione ha la Svizzera rispetto all’Europa?
«La Svizzera ha applicato le sanzioni contro la Russia, ma non è allineata con l’Europa. Questo fa la differenza ancora oggi in una situazione sempre più incontrollabile. Essere neutrali non significa approvare il conflitto. Si è creato un pensiero unico e questo è il disastro della nuova comunicazione nell’era di Twitter. La Svizzera al centro dell’Europa spicca per la sua differenza. Quel colore diverso sulla cartina geografica deve rimanere tale. Quando viaggio in aereo e vedo la mappa dell’Europa con il nostro Paese, sono orgoglioso di essere svizzero».

Come si prepara all’incontro con i capi di Stato sudafricani tra cui i re dell’eSwatini e del Lesotho ai quali dovrà presentare le credenziali di ambasciatore?
«Avendo vissuto per dieci anni in questa regione ho già avuto occasione di informarmi su questi Paesi. Tuttavia, mi preparo ogni volta come se fossi tornato a liceo. Alla fine diventa un po’ come seguire una serie tv e ti rendi conto che c’è un legame con tutta l’Africa del sud».

Lei è laureato in architettura e in economia poi ha abbracciato la carriera diplomatica. Non ha mai rimpianti?
«Da studente di architettura ho avuto la fortuna avere a che fare con grandi personaggi, come Aurelio Galfetti e Luigi Snozzi, poi da professionista ho lavorato anche con Renzo Piano. Sono del parere che è bene “mai dire mai”. Quando ho scelto la carriera diplomatica non ho riflettuto su cosa perdevo, ma ho trovato affascinante che cosa andavo a fare. Il retroterra culturale dell’architettura è stato importante anche in una carriera come la mia perché mi ha insegnato l’ordine, un certo gusto e le priorità da seguire quando progetti e costruisci».

Fare il negoziatore di pace non è la cosa più facile del mondo. Quale è il segreto del successo di un trattativa?
«Per quanto riguarda la mia esperienza in Mozambico, i momenti difficili hanno superato di molto quelli facili, ma alla fine mi hanno aiutato ad andare avanti. Il fattore umano nelle trattative è determinante soprattutto in un rapporto di pace, che ha una componente differente rispetto a una negoziazione qualsiasi perché il leader sta decidendo il futuro della sua gente. Ci sono processi politici più delicati e reazioni emotive che non ti aspetti. Uno dei punti fondamentali per portare avanti un negoziato è l’onestà. Non bisogna vendere favole».

Che cosa le manca del Ticino ?
«Quello che mi manca di più della mia terra sono i sapori e le cose in genere con cui sono cresciuto. In Mozambico ci sono aragoste favolose, ma io sogno il lesso che ho sempre mangiato in Ticino».

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