'Ndrangheta in Svizzera, ecco come agiva il 58.enne che comparirà in Tribunale a Bellinzona

Quello del clan Anello con la Svizzera è un legame che risale alla fine degli anni Ottanta. Droga, armi e denaro riciclato. Tanto denaro. L’atto d’accusa emesso martedì dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC) rappresenta la chiusura del filone principale elvetico legato alla maxi-inchiesta «Imponimento», la stessa che 5 anni fa aveva portato, tra gli altri, all’arresto di un operaio comunale del Luganese, nel frattempo estradato in Italia e condannato a quasi 11 anni di carcere dal Tribunale di Catanzaro. Un’inchiesta sfociata in uno dei più importanti processi degli ultimi anni contro le cosche di ’ndrangheta, e in particolare contro le ’ndrine vibonesi degli Anello di Filadelfia, dei Bonavota di Sant’Onofrio, dei Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia, dei Tripodi di Portosalvo e della ’ndrina dei Cracolici di Maierato e Filogaso.
Ma torniamo a oggi. È lunga la lista di accuse che il MPC ha mosso contro un cittadino italiano di 58 anni residente nel canton Argovia. Una su tutte: «Aver agito, almeno tra il 2001 e il 2020, quale referente della cosca Anello-Fruci in territorio elvetico e di aver favorito lo sviluppo degli interessi di quest’ultima in Svizzera». Il boss Rocco Anello, classe 1961 (oggi in carcere), si recava in Svizzera dalla cittadina calabrese di Filadelfia circa una volta al mese per supervisionare e condurre gli affari in Svizzera. L'Aargauer Zeitung ricostruisce quelle «spedizioni» sulla base dei documenti d'inchiesta italiani, di cui anche il CdT è in possesso. La cosa più evidente era «il banchetto» dei calabresi in un ristorante vicino a Baden, dal quale si congedavano senza pagare. Anzi, ricevendo dal proprietario, dopo il dolce, una busta (piena di contanti).
L'autista dell'escavatore
Tra i presenti al banchetto, c'era un uomo di 58 anni, residente nel canton Argovia, ufficialmente operaio edile. «Gestiva una piccola attività di giardinaggio e possedeva un escavatore». Ma, stando al MPC, era proprio lui il contatto più importante del boss. Il 58.enne – soprannominato «bistecca» – avrebbe infatti «intrattenuto stretti rapporti in particolare con i suoi vertici, offrendo loro piena disponibilità, personale e di soggetti a lui vicini, nell’esecuzione di condotte illegali e legali finalizzate a contribuire al raggiungimento dei fini illeciti e leciti, finanziari e personali dell’organizzazione criminale».
Il clan di 'ndrangheta ha investito molto in Svizzera. In ristoranti, locali notturni, nell'industria edilizia e immobiliare. Secondo l'indagine, era l'operaio edile a operare sul territorio svizzero «in veste di affiliato e quale persona di riferimento per lo sviluppo degli interessi della cosca Anello-Fruci».
Kalashnikov da Lugano nascosti in un carico di pneumatici
Secondo l’atto d’accusa, il 58.enne del canton Argovia avrebbe importato, detenuto, alienato, offerto a terze persone, esportato in Italia e offerto la sua disponibilità quale intermediario per la loro vendita, armi e munizioni. L’istruttoria si è avvalsa anche delle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia in Italia dai quali emerge – citiamo gli inquirenti italiani – il ruolo di longa manus (letteralmente di lunga mano, che agisce per incarico e per conto d’altri, ndr.) del sodalizio criminoso in Svizzera.
Un testimone chiave ha raccontato agli inquirenti italiani come una partita di armi, che l'operaio edile si sarebbe procurato, sia stata consegnata in Italia. Un uomo di nome F. che lavorava come gommista – e «acquistava regolarmente pneumatici a Lugano» da rivendere a Platania (Catanzaro) – avrebbe attraversato il confine verso la Svizzera a bordo di una VW Golf rossa. All'interno della ruota di scorta, aveva nascosto un chilo di cocaina ricevuta dal boss Anello. La droga serviva per pagare le armi acquistate dal 58.enne. Armi – «numerosi fucili, altrettanti kalashnikov e molte pistole calibro 38 e 357 Magnum, oltre a munizioni» – che avrebbero poi raggiunto la Calabria (Lamezia Terme) in treno, nascoste in un vagone merci pieno di pneumatici, secondo la testimonianza del collaboratore di giustizia. «Le munizioni erano talmente tante che non trovavano posto nel fusto per cui ero stato incaricato di nasconderle nella mia abitazione. Ricordo che gli scatoli contenenti le munizioni entrarono a stento nel cofano della mia Golf.(...) F. è stato ricompensato con due o tre milioni di lire».
Nel 2016, un carico di munizioni ordinato dal boss era stato intercettato durante un controllo al confine tra Svizzera e Italia.
La droga
Il 58.enne – che comparirà di fronte al Tribunale penale federale di Bellinzona – viene accusato anche di avere agito nell’ambito di traffici illeciti di stupefacenti, «effettuando ripetutamente atti preparatori finalizzati a procurare in altro modo ad altri, per la vendita, sostanza stupefacente di tipo diverso». Ed è ancora dalle deposizioni di collaboratori di giustizia che emergono alcuni dettagli. «In merito alle zone di spaccio, non si trattava del solo territorio calabrese, avendo gli Anello-Fruci canali anche in Svizzera. Anziché vendere 30, 40 chili a livello territoriale, se riesci a piazzare 100, 80, 90, sono centinaia e centinaia di migliaia dì euro di guadagno». Per «piazzare» la droga, si avvalevano di «un compare – riconosciuto come il 58.enne, ndr. – riconosciuto da mamma 'ndrangheta, dai loro compari, e compagnia bella». Sulle ulteriori attività intraprese dagli Anello in territorio svizzero, dalle dichiarazioni emerge che «compravano strutture ricettive, qualche pizzeria, qualche, ristorante. Addirittura, si vociferava, un night club, che non era molto gradito alle tradizioni della ‘ndrangheta».
Del 58.enne del canton Argovia viene detto che «era una cosa sistematica che scendeva le armi dalla Svizzera. Lo stesso Anello Rocco si riferiva a lui identificandolo in "quello che porta i confetti" (così chiamavano le munizioni). Quando scendevano dalla Svizzera, portavano un po' di ossigeno, inteso come soldi, e i confetti».
Armi, anche rubate
Nel corso delle indagini condotte da fedpol sotto la direzione del MPC sono state ordinate ed eseguite numerose misure di sorveglianza segrete, quali ad esempio controlli telefonici e ambientali, servizi di osservazione e un’inchiesta mascherata («sotto copertura»). Un agente dell'Ufficio federale di polizia, fingendo interesse per l'acquisto di armi, ha visionato l'arsenale che il 58.enne deteneva. Ha pure infine comprato dall'uomo un'arma dell'Esercito svizzero, un fucile d'assalto che, si è scoperto in seguito, era stato rubato da un centro di tiro di Worben (Berna).
Soldi «in auto e donne»
Arrivato in Svizzera nel 1982, l'operaio edile di 58 anni ha raccontato di avere guadagnato molti soldi, ma di averli «sperperati in auto e donne».
A quanto risulta, anche il lavoro «ordinario» dell'uomo era finanziata dal clan. Verso la fine del 2015, Rocco Anello ha visionato in Svizzera macchinari edili di seconda mano che il 58.enne voleva acquistare per costituire una sua azienda. Nel 2018, un escavatore Hitachi è stato trasportato dal canton Argovia alla Calabria con un camion. «Compravendita concordata il 26 dicembre 2017 nel corso di una visita da parte di Rocco Anello in Svizzera». Il mezzo sarebbe passato da un terreno a Collina d'Oro – utilizzato dall'operaio comunale del Luganese –, poi da Rho, fino a Filadelfia, dove è stato rintracciato due mesi dopo. Sul terreno dove il boss Anello stava facendo costruire una casa per la figlia, sposata da poco.
La sorella del boss
L’istruzione penale è stata estesa nei confronti di più persone e ha coinvolto in totale tredici imputati, ha precisato in settimana il MPC. Il 24 ottobre 2024, è stato emanato un decreto d’accusa per riciclaggio di denaro nei confronti di una cittadina italiana 59.enne residente nel canton Soletta. Contro tale decreto è stata interposta opposizione. L’incarto è pertanto stato trasmesso al Tribunale penale federale, davanti a cui compariranno sia la donna, sia il 58.enne del canton Argovia.
E proprio la donna, secondo l'Aargauer Zeitung, sarebbe la sorella del boss Rocco Anello. «Soggiornava in Svizzera da anni, travestita da cameriera in ristoranti in cui il clan aveva una parte della torta. A volte prenotava camere d'albergo quando i suoi parenti venivano in visita. Il suo defunto marito era un temuto mafioso».