Nel menu a Palazzo federale ci sarà presto il pollo al cloro

Il pollo al cloro è ormai sulla bocca di tutti. Ma di cosa si tratta? Negli Stati Uniti, il pollame è prodotto in grandi allevamenti nei quali si potrebbero diffondere e sviluppare vari batteri come la salmonella. Oltreoceano, per ridurre la carica batterica, il pollo dopo la macellazione viene disinfettato talvolta con un rapido bagno in una soluzione diluita al cloro. Da qui deriva questa denominazione, anche se ormai si usa prevalentemente un’altra soluzione. Negli USA è considerato sicuro, ma tale procedimento è vietato in Svizzera e nell’UE: qui si punta su una maggiore igiene sia durante l’allevamento, sia nel processo di macellazione. Dalla notizia del raggiungimento dell’accordo tra Washington e Berna, però, si sono moltiplicati i dubbi: nei negoziati, la Svizzera ha fatto concessioni sul pollo al cloro in cambio di una riduzione dei dazi? Ieri, sui giornali di CH Media (vedi sotto), il «ministro» dell’Economia Guy Parmelin ha preso posizione sulla questione. Alla domanda se la Svizzera debba importare polli trattati con cloro, il consigliere federale ha risposto che in realtà non è così. «Attualmente in Svizzera è vietato. Quello che vogliamo invece valutare è se sia possibile, ad esempio, vendere anche in Svizzera polli che negli Stati Uniti vengono trattati con cloro a causa della salmonella, purché siano chiaramente dichiarati. Ma naturalmente la decisione spetta al Parlamento». La parola passerà presto alle Camere federali.
L’esempio della carne bovina
Parmelin ha aggiunto che questo passo è già stato fatto con la carne bovina: può essere importata dagli USA anche quella trattata con ormoni, ma deve essere dichiarata. «Da quando esiste questa dichiarazione, le importazioni sono scese da 800 a 250 tonnellate. Questo potrebbe valere anche per i polli. Inoltre, è importante mantenere le proporzioni: già oggi importiamo il 40% dei nostri polli. Secondo la dichiarazione d’intenti, solo lo 0,8% proviene dagli Stati Uniti. E mi chiedo: quando gli svizzeri sono negli Stati Uniti, chiedono sempre se nei fast food possono mangiare polli senza cloro?», si chiede provocatoriamente il consigliere federale, aggiungendo che in questa controversia c’è anche una certa ipocrisia.
Il Parlamento si è già mosso
La questione del pollo al cloro, in realtà, è già approdata alle Camere federali. Lo scorso settembre, quando già si temeva che il pollo trattato chimicamente potesse essere usato come leva nella controversia sui dazi, due parlamentari si sono attivati (tramite due mozioni identiche) per chiedere di introdurre nella legge il divieto di importare carne di pollame trattata chimicamente. La consigliera agli Stati Mathilde Crevoisier Crelier (PS/JU) e il consigliere nazionale David Roth (PS/LU) ritengono che la controversia sul pollo al cloro metta in luce «due questioni fondamentali della politica svizzera: la credibilità della nostra protezione dei consumatori e l’indipendenza della nostra politica commerciale».
A livello di ordinanza
Oggi, il trattamento con cloro è vietato a livello di ordinanza, spiegano i due socialisti, aggiungendo che il divieto di importazione è soggetto «alla potenziale revoca da parte del Consiglio federale mediante una semplice modifica di ordinanza». Il Governo, dal canto suo, si oppone alle richieste (l’atto della giurassiana sarà trattato agli Stati lunedì 8 dicembre), sostenendo che l’obiettivo delle mozioni è già stato raggiunto. «In Svizzera, la disinfezione con il cloro della carne di pollame dopo la macellazione non è autorizzata» e dato che nella Confederazione l’igiene «deve essere garantita durante l’intera catena di produzione, questo trattamento finale risulterebbe inutile». Nella sua risposta, l’Esecutivo aggiunge inoltre un altro aspetto: «Il Consiglio federale si adopera affinché la normativa svizzera resti compatibile con quella europea, tenendo conto in particolare del nuovo accordo sulla sicurezza alimentare negoziato con l’UE».
Ben 1.500 tonnellate di pollame
La Svizzera, secondo quanto comunicato dal Governo il 14 novembre, concede agli Stati Uniti dei contingenti bilaterali esenti da dazi su taluni prodotti esportati dagli USA: oltre a 1.500 tonnellate di pollame, sono previste anche 500 tonnellate di carne di manzo e mille tonnellate di carne di bisonte. È tuttavia ancora presto per sapere i dettagli di quanto negoziato, nello specifico, tra Svizzera e Stati Uniti. Lo stesso Parmelin fatto notare che «molti dei punti che attualmente suscitano scalpore dovranno essere negoziati».
La questione del pollo al cloro, tuttavia, ha già sollevato un polverone. Negli scorsi giorni anche la Fondazione per la protezione dei consumatori (SKS) ha preso posizione, chiedendo che questi prodotti (il pollo trattato con il cloro e anche il manzo con ormoni e antibiotici) vengano dichiarati come tali nel commercio al dettaglio e nella ristorazione. Da una ricerca del Blick, tuttavia, emerge che i supermercati svizzeri (tra cui Coop, Migros, Lidl, Aldi e Denner) non sembrano essere particolarmente interessati alla carne statunitense.

Parla Parmelin: «La Svizzera non ha acquistato nulla»
«La Svizzera non ha acquistato nulla». Così, dai giornali di CH Media, il consigliere federale Guy Parmelin ha preso posizione sulle critiche all’intesa sui dazi concluso tra la Svizzera e gli Stati Uniti.
«Gli imprenditori svizzeri ci hanno semplicemente presentato gli investimenti che intendono effettuare negli Stati Uniti nei prossimi anni», ha risposto il «ministro» dell’Economia all’affermazione secondo cui la Svizzera avrebbe «comprato la sua libertà». A suo avviso, gli imprenditori hanno agito «in modo patriottico» per trovare un accordo con l’amministrazione Trump.
Regali controversi
Parmelin ritiene inoltre «del tutto realistico» che l’economia svizzera investa fino a 200 miliardi di franchi negli Stati Uniti nei prossimi cinque anni. «Le cifre e le intenzioni provengono dalle stesse aziende, che hanno già progetti di costruzione, alcuni dei quali sono già stati autorizzati». Può darsi che gli obiettivi non saranno raggiunti «per uno o due miliardi» entro il 2028, «ma l’ordine di grandezza sarà certamente quello». Non vi è alcun obbligo né per la Svizzera né per le aziende di effettuare questi investimenti, ha ribadito Parmelin alle testate di CH Media.
Dove non è arrivata la diplomazia, ci ha pensato il mondo imprenditoriale a suon di regali: i rappresentanti dell’economia svizzera che hanno fatto visita a Trump hanno infatti regalato al presidente statunitense un orologio Rolex e un lingotto d’oro con una dedica incisa. «Questi non sono regali della Confederazione svizzera. Sono regali privati degli imprenditori che lo hanno incontrato», ha tenuto a precisare Parmelin, aggiungendo che non ritiene giustificate le critiche. «Sono grato a loro per aver sfruttato le loro conoscenze e averci aperto la porta. Ma siamo sempre stati noi a condurre le trattative», ha affermato il consigliere federale, tenendo però a precisare che le aziende non hanno visto alcun documento segreto. E che non hanno avuto accesso a informazioni in più rispetto ai membri delle commissioni competenti delle Camere federali.
I negoziati devono continuare
Alle critiche secondo cui il Consiglio federale starebbe dicendo solo una mezza verità sull’accordo doganale, Parmelin risponde che molti non si sono presi la briga di leggere la dichiarazione congiunta dei due governi: «Essa fa una chiara distinzione tra ciò che è giuridicamente vincolante e ciò che non lo è. E molti dei punti che attualmente suscitano scalpore dovranno essere negoziati».
Ma per quanti rimarranno ancora in vigore i dazi al 39%? Secondo il «ministro» dell’Economia, ci vorranno circa 10-12 giorni (dunque fino a fine novembre) per l’implementazione tecnica del passaggio dal 39 al 15% sulla maggior parte dei prodotti provenienti dalla Svizzera. Tuttavia, non c’è ancora una data precisa.
Il fine giustifica i mezzi?
Se la Corte suprema degli Stati Uniti dovesse dichiarare illegali i dazi di Trump, il suo governo «troverà sicuramente altri modi per mantenerli», continua Guy Parmelin, «L’importante è che ora redigiamo un accordo giuridicamente vincolante con una clausola di uscita se ciò dovesse accadere».
Il fine giustifica i mezzi? Per Parmelin, «Può essere deplorevole, ma sì, i tempi sono cambiati. Che ci piaccia o no, nessun Paese può fare a meno degli Stati Uniti come partner commerciale. Dobbiamo trovare un modo per trattare con loro.
Questo è il nostro compito. E non dimentichiamolo: l’Unione europea ha un accordo simile. Le nostre aziende ora godono delle stesse condizioni dei loro concorrenti nell’UE».
