«Nessun Paese usa aerei-scuola per compiti di polizia dei cieli»

Le minacce, i compiti della nuova flotta di aerei da combattimento, l’alternativa proposta dai contrari ai jet. Ne parliamo con il capo dell’esercito Thomas Süssli, in vista della votazione popolare.
Signor Süssli, quali sono le minacce verosimili cui deve rispondere oggi e nei prossimi anni l’arma aerea svizzera?
«Per l’esercito ciò che conta non è tanto la verosimiglianza di una minaccia, bensí i potenziali militari effettivi in campo attorno a noi. La situazione della sicurezza a livello globale è peggiorata sensibilmente negli ultimi anni ed è in atto un’accelerazione del riarmo: nei Paesi vicini e alle frontiere dell’Europa. Tutti i Paesi stanno rinnovando e rendendo tecnologicamente più performante anche la propria flotta aerea».
Come descriverebbe la fase che stiamo vivendo, rispetto a quelle precedenti?
«Alla fine degli anni Ottanta siamo usciti dalla stagione della deterrenza e degli equilibri militari contrapposti. Negli anni Novanta si è fatta strada una visione ottimistica - quella della “fine della storia” postulata da Fukuyama - e dall’inizio del millennio siamo entrati in una nuova stagione, contraddistinta dalla complessità, che vede l’Asia - e in particolare la Cina - giocare un ruolo molto più importante che in passato. Il mondo sta vivendo una fase evolutiva in cui si stanno ridisegnando nuovi equilibri di potere su scala mondiale. Stiamo passando da un mondo contraddistinto da due blocchi contrapposti ad uno con strutture e meccanismi di potere non ancora chiari, che non capiamo ancora. Ciò rende la situazione della sicurezza piú instabile e potenzialmente più pericolosa».
E per l’Europa cosa significa questo nuovo contesto?
«Negli ultimi settant’anni l’Europa è stata un garante di stabilità. Non sappiamo come saranno gli sviluppi negli anni a venire. Nell’incertezza, i Paesi europei si stanno riarmando. Quando si fanno scelte strategiche che riguardano i prossimi 30 o 40 anni occorre guardare avanti e non indietro. È in questo orizzonte che si inserisce la decisione della Svizzera sui nuovi aerei da combattimento».
Vale a dire?
«I compiti della nuova flotta aerea saranno diversificati come complessa e diversificata è la situazione della nuova minaccia. Per rispondere adeguatamente a questo nuovo contesto il sistema di difesa elvetico deve poter disporre di capacità molteplici. La protezione dello spazio aereo - segnatamente tramite sensori tecnologicamente sofisticati - serve a difendere in modo credibile la nostra sovranità e neutralità anche nel caso di un conflitto alle frontiere dell’Europa o alle frontiere della Svizzera».
Gli F/A-18 sono stati modernizzati nel 2008. Non potrebbero svolgere questi compiti egregiamente per una ventina d’anni ancora?
«Abbiamo esaminato diversi scenari. Uno di questi era il prolungamento dell’utilizzo della flotta attuale. Il problema è - appunto - che un prolungamento l’abbiamo già fatto. Un’operazione molto costosa a causa dei pezzi di ricambio necessari, che diventerebbe sempre più costosa visto che gli altri Paesi stanno optando per aerei di nuova generazione e che dal 2030 finiremmo per rimanere l’unico cliente dei fornitori».
Siamo un piccolo Paese in mezzo al continente e non abbiamo frontiere esterne con nazioni che hanno mire imperiali come la Russia o la Turchia... Non potremmo chiedere ai nostri vicini o alla NATO di difendere il nostro spazio aereo?
«I nostri vicini non capirebbero. Per far fronte a un peggioramento della situazione della sicurezza essi hanno maturato la decisione che occorre spendere di più per la difesa rafforzando anche la propria arma aerea: e noi abdichiamo alla nostra responsabilità? Sanno che siamo un Paese ricco e l’Europa, che sta lavorando a una risposta militare omogenea, non capirebbe. Quanto alla NATO, è un’alleanza militare di difesa che prevede fra l’altro che quando un Paese vicino viene attaccato, gli altri sono chiamati ad intervenire per difenderlo. La nostra neutralità ce lo impedirebbe».
Ma per la protezione di uno spazio aereo minuscolo non basterebbero piccoli aerei poco costosi come il Leonardo dell’italiana Aermacchi, ad esempio?
«Proprio perché il Paese è piccolo abbiamo bisogno di aerei molto performanti: rapidissimi e in grado di compiere atterraggi ripidi. Mi permetta un paragone. Se un rapinatore fugge con una macchina potente, la polizia non può rincorrerlo con una Panda... Ciononostante, abbiamo analizzato a fondo anche questa ipotesi: onestamente non ci sono aerei di cosiddetto “addestramento avanzato” in grado di rispondere ai nostri bisogni. D’altronde, nessun Paese al mondo - neanche l’Italia, Israele o la Polonia... - usa aerei-scuola per compiti di polizia aerea e tantomeno in previsione di un ingaggio in caso di conflitto».
Si vota sul principio del rinnovamento della flotta aerea. Se il popolo accetta, quali sono gli aerei da combattimento che avete selezionato preliminarmente?
«Nella fase preliminare avevamo scelto 5 tipi di aereo. Gripen Saab si è ritirato e restano in corsa due statunitensi (il Lockheed Martin F 35 e il Superhornet della Boeing) e due europei (l’Airbus Eurofighter e il Rafale di Dassault). Tutti e quattro rispondono alle nostre esigenze. Se il popolo approverà il rinnovo della flotta, nella fase di valutazione bisognerà analizzare le caratteristiche di ognuno - prestazioni al decollo, grandezza, capacità di armamento... - e paragonarle fra loro. Contiamo di sottoporre al Consiglio federale una proposta durante il secondo trimestre, affinchè possa prendere una decisione. Ci tengo a sottolineare che c’è ancora un controllo democratico, segnatamente sul Programma di armamento 2020 e il Messaggio sull’esercito, che spetta al Parlamento approvare».
Quali criteri saranno decisivi? Solo tecnici oppure anche di tipo politico? Optare per un aereo europeo oppure americano ha implicazioni politiche significative.
«Se la flotta aerea è la terza dimensione, la politica è la quarta dimensione (ride...). Sarà un mix di fattori a determinare valutazioni e scelte. Ci sono le prestazioni tecniche e ci sono i costi. Noi faremo la nostra proposta, ma alla fine si tratta di una decisione politica e per questa ragione possono entrare in gioco anche altri fattori».
Gli oppositori affermano che 24 miliardi (seppure su 30 anni) sono una fattura esagerata per il popolo svizzero. Come giustifica questa spesa?
«Gli ultimi 20 anni con gli F/A 18 ci hanno permesso di stabilire quali sono i costi effettivi di manutenzione di un caccia. La nostra esperienza ci permette di affermare che il costo di manutenzione sull’arco della vita di un aereo è circa il doppio del suo prezzo d’acquisto. Sei miliardi per l’acquisto e dodici per la manutenzione portano la fattura a 18 miliardi. Ma i cittadini devono sapere che questi costi sono coperti dal budget ordinario dell’esercito. Non sono quindi una spesa in più».
Ma il budget dell’esercito non aumenterà a causa di questo acquisto?
«Il Parlamento ha votato un credito quadro di 20 miliardi per quattro anni e con questo importo l’esercito deve rinnovare la propria flotta aerea e acquisire il sistema di difesa Bodluv oltre alle altre spese necessarie. Il tetto massimo annuo non potrà superare i 5 miliardi. Dal 2021, a causa del rincaro, il budget aumenterà dell’1,4%, una cifra in linea con la crescita media delle spese della Confederazione».
Se capisco bene, il Parlamento ha votato un credito quadro e anche se il popolo boccia l’acquisto dell’aereo, i 6 miliardi previsti non possono essere destinati ad esempio alla previdenza sociale o alla politica ambientale...
«I 5 miliardi annui votati dal Parlamento sono destinati all’esercito affinché svolga le sue funzioni di difesa e di sicurezza e non ad altre voci».
E quanto ci costa l’esercito rispetto al Prodotto interno lordo?
«Circa lo 0,8% del PIL. Noti che è parecchio inferiore rispetto agli altri Paesi europei, che hanno una percentuale variabile dall’1,3% all’1,8%, fino al 2% in taluni Paesi. Per la ricca Svizzera una spesa dello 0,8% del PIL è una cifra sostenibile».
Ma l’Austria ha una piccola flotta e se la cava bene.
«Non se la cava bene. Non ha i mezzi per far fronte all’attuale situazione della sicurezza. E per questa ragione sta preparandosi all’acquisto di nuovi aerei da combattimento, in numero maggiore rispetto a quelli che ha».
Qualcuno dice che l’esercito è una polizza assicurativa che si paga per la sicurezza del Paese in caso di conflitto. Il paragone sta in piedi?
«Effettivamente funziona. Anche se va detto che già oggi e non solo in caso di conflitto l’esercito svolge funzioni importanti di polizia aerea ma anche di aiuto in caso di catastrofi o di bisogno, come si è visto anche durante il picco della crisi del coronavirus».
Se ben ricordo, nel caso degli F/A 18 le commesse alle aziende svizzere sono state del 100% del costo. In questo caso, il Parlamento ha deciso di accontentarsi del 60%. Le pare giustificato, in un momento in cui le aziende svizzere soffrono moltissimo?
«Le compensazioni finiscono per rincarare il prezzo del prodotto. Il 60% è un compromesso fra, da un lato, i bisogni dell’economia svizzera e i benefici che essa ne trarrà dal punto di vista del know how tecnologico e, dall’altro, il prezzo finale del prodotto. Quanto alla ripartizione di queste commesse, essa avverrà tenendo conto delle diverse regioni linguistiche e anche di diverse tipologie di industrie: da quella meccanica all’ high tech».
Ne beneficeranno solo le grandi industrie?
«Questi aerei sono delle vere e proprie macchine high tech e le commesse offriranno una base per nuovi sviluppi innovativi dell’economia elvetica. L’idea è di coinvolgere non solo aziende che hanno già un valore aggiunto in settori tecnologicamente innovativi, ma anche piccole e medie aziende che hanno un potenziale e che potranno approfittarne per svilupparsi in questa direzione».