Nonostante la scarcerazione, per gli USA il «caso Abedini» non è affatto chiuso

Nella giornata di domenica, il ministro della Giustizia italiano Carlo Nordio ha chiesto la revoca degli arresti per il cittadino iraniano Mohammad Abedini Najafabadi: non sarebbero emerse prove del supporto ai terroristi né alcun elemento sulle accuse a lui rivolte, ha fatto sapere il ministero. Il 39.enne, che era stato catturato a Malpensa il 16 dicembre su richiesta degli Stati Uniti, è stato liberato ed è tornato in Iran, senza passaporto e in gran segreto. Ma «il caso», per gli americani, è tutt'altro che chiuso.
Il nome di Mohammad Abedini Najafabadi, lo ricordiamo, è legato all'attentato che il 28 gennaio 2024 ha ucciso in Giordania tre militari statunitensi e provocato 40 feriti all'avamposto «Tower 22». Attacco con droni realizzati, secondo le accuse del Dipartimento di giustizia USA, anche grazie alla tecnologia messa a disposizione dal 39.enne iraniano. Il quale è accusato dagli USA di associazione per delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Power Act. Ma anche di «fornitura di supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera, componenti elettroniche per la costruzione di armi letali, nella fattispecie droni». Il suo nome è legato ai Pasdaran, il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRCG). Con lui è stato arrestato dagli americani anche Mahdi Mohammad Sadeghi, 42 anni, residente a Natick, nel Massachusetts. Secondo le accuse, Abedini, Sadeghi e altre persone «avrebbero cospirato per eludere le leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni, procurandosi beni, servizi e tecnologie di origine statunitense, tra gli altri, facendo sì che tali beni, servizi e tecnologie venissero esportati o altrimenti forniti all'Iran e, in particolare, alla società iraniana di Abedini», la SDRA - San'at Danesh Rahpooyan Aflak Co. Il tutto, sempre secondo le indagini USA, anche grazie alla società fondata da Amedini in Svizzera, la Illumove SA (con sede all’Innovation Park del Politecnico federale di Losanna), come azienda-satellite dell'iraniana SDRA.
Il caso, dicevamo, per gli americani non si è concluso con il ritorno di Abedini in Iran (e non in Svizzera, dove risiedeva). La procuratrice Christina Clark ha chiesto che l'ingegnere iraniano Mahdi Sadeghi resti in carcere perché «è a rischio fuga». L'accusa ha citato proprio la scarcerazione in Italia di Mohammed Abedini per sostenere che l'Iran potrebbe adottare misure per aiutare Sadeghi a rientrare in Iran se fosse rilasciato. Dopo avere ascoltato anche gli argomenti della difesa, il giudice Donald Cabell ha annunciato che si pronuncerà in un secondo momento senza specificare quando. Tre settimane fa la procura di Boston si era detta disponibile a consentire il rilascio su cauzione di Sadeghi in attesa del processo per violazione della sanzioni americane contro l'Iran. Ma dopo il rilascio, domenica, di Abedini da parte del governo italiano i procuratori hanno insistito che l'iraniano resti in carcere.
Le sorti dei due iraniani, lo ricordiamo, sono state legate a quelle del giornalista italiana Cecilia Sala, rilasciata dopo 20 giorni di detenzione dalla prigione di Evin. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha rilasciato una dichiarazione a Repubblica in cui si dice «deluso dalla decisione di revocare l’arresto provvisorio di Mohammad Abedini Najafabadi, che ha portato al ritorno di Abedini Najafabadi in Iran». Quindi aggiunge che gli USA non rinunciano a portarlo davanti alla giustizia: «Abedini Najafabadi resta accusato nel distretto del Massachusetts di aver complottato per procurarsi tecnologia statunitense sensibile da utilizzare nel programma iraniano di attacco letale con droni e di aver fornito supporto materiale alle attività terroristiche del Corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane, attività che hanno provocato la morte di tre militari statunitensi nel gennaio 2024». Un disappunto tecnico e legale, oltre che politico, destinato a restare anche con l’arrivo di Trump, commenta il quotidiano.
L’avvocato Alfredo De Francesco, legale che ha curato in Italia la difesa dell’ingegnere iraniano, ha parlato di «fantasie» in merito a uno «scambio di prigionieri»: «La scarcerazione di Abedini è stata un atto di giustizia. Dal mio punto di vista non è stato altro. Ho sempre sostenuto che non c’erano le condizioni per l’estradizione. Che è quello che alla fine il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha effettivamente dichiarato. È un atto giuridico, non un atto politico. Abedini è tornata a casa con un atto giuridicamente motivato che in sostanza diceva che non c’erano le motivazioni per estradarlo. Sala, tra l’altro è tornata prima di lui, non si può dire che le scarcerazioni fossero collegate. Io mi limito ai fatti. Poi ognuno la pensa come vuole».
Tutti i dispositivi sequestrati lo scorso 16 dicembre ad Abedini, al momento dell'arresto richiesto dagli USA– tra cui smartphone, tablet, chiavette USB e schede tecniche – sono ancora custoditi in una cassaforte della Procura di Milano. «Sinceramente non mi sembra un fatto rilevante», ha concluso l'avvocato De Francesco. «Le indagini sul suo conto erano già concluse, se ne avevano chiesto l’arresto. Io mi sono occupato della sua libertà personale, punto. Una volta che è tornato a casa, del resto francamente non mi importa nulla, sono aspetti che seguono una procedura amministrativa, non giudiziaria».