Nuova Zelanda o Svizzera, è battaglia alle sigarette

Svizzera e Nuova Zelanda unite contro le sigarette. Su piani diversi, ovviamente. Un paio di giorni fa, il ministro della salute neozelandese, Ayesha Verral, ha annunciato una legge che intende vietare il consumo di tabacco per tutti i nati dopo il 2008. L’idea è limitare i fumatori al 5% della popolazione totale entro il 2025. Con lo scopo finale di arrivare, poi, a zero. L’idea piace molto anche a Bruno Naccini, pneumologo e presidente della Lega polmonare ticinese: «Come medico, me lo auguro di cuore che si arrivi a questo punto pure nella Confederazione. Ma penso che non siamo ancora pronti». Anche Alberto Polli, presidente dell’Associazione svizzera non fumatori (sezione Ticino), saluta positivamente la mossa della «nazione dei Maori»: «Gli intenti sono senz’altro positivi—premette—. Come facciano, poi, a controllare che davvero i giovani non riescano ad acquistare... mi sembra un po’ arduo, questo sistema», avverte con perplessità il «decano» delle lotte al tabagismo nella Svizzera italiana. «Ma il tema su cui si voterà in Svizzera il 13 febbraio non ha nulla a che vedere con quanto affrontato dalla Nuova Zelanda», sottolinea Naccini (guarda il video allegato a quest’articolo).
L’iniziativa «Sì alla protezione dei giovani dalla pubblicità per il tabacco» mira a vietare l’esposizione a messaggi promozionali—non solo di sigarette e derivati, ma anche di sigarette elettroniche—nei confronti della fascia di consumatori più allettante per le multinazionali del tabacco. L’unica forma permessa, sarebbe quella nei luoghi non accessibili ai minorenni. «Si pensa che la pubblicità, oggi, non ci sia più. Perché noi non la vediamo sui giornali, al cinema, in televisione—, elenca Naccini—... ma siamo noi adulti a non vederla. I giovani, invece, sono ancora confrontati con questi messaggi. Su internet, sui social e, soprattutto, non dimentichiamo le grandi manifestazioni culturali, sportive, i concerti». Luoghi cruciali, insomma, per lo sviluppo degli adolescenti. Dove si sentono più liberi e, guarda caso, dov’è più probabile che una casa produttrice di sigarette, secondo numerosi studi pubblicati nel corso degli anni, riesca a indurre alla dipendenza un ragazzo o una ragazza ‘guadagnandosi’ così un nuovo cliente. «È proprio lì che vogliamo agire», esclama Naccini.


«Le multinazionali del tabacco mirano ad acquisire nuova clientela per sostituire quella che muore proprio a causa loro, di anno in anno», evidenzia Polli con una punta di amarezza. «Per avere così una certa... clientela fissa e mantenere la loro posizione di mercato».
La dipendenza dal tabacco non provoca solo tumori ai polmoni: «No, ci sono tutta una serie di altri problemi di salute. E sono parecchi. Tumore al pancreas, tumore alla vescica, alle vie urinarie, l’invecchiamento della pelle, l’incremento delle malattie cardiovascolari... In Svizzera, ogni anno, sono 9.500 le persone che muoiono a causa di malattie provocate dal consumo di tabacco. Sono dei numeri allarmanti», dice Naccini.
Il dito è puntato contro una sostanza che, di per sé, non provoca danni: la nicotina. «Ma è proprio questa la sostanza che ‘fa fumare’. Se tutte le marche di sigarette togliessero la nicotina, non venderebbero più nulla. Ce la mettono, ce la mettono di proposito—insiste Polli—, e si guardano bene dal toglierla o ad abbassare il tenore di questa componente».


E la sigaretta elettronica? «Benvenga la sigaretta elettronica—ammette Naccini—. Ma solo se rappresenta un percorso, un metodo per togliere un fumatore incallito dalla sua abitudine. Ma il problema non è questo. È la sigaretta elettronica nei giovani. Si avvicinano a questo tipo di prodotti, che sembrano fatti apposta per loro, per esempio ci sono dei modelli che assomigliano a delle penne e hanno un formato ideale per entrare in un astuccio di scuola, con l’idea che queste non siano dannose. Però, nel frattempo, diventano dipendenti. Senza contare tutto quello che i liquidi che sostituiscono, diciamo così, il tabacco, possono contenere. Componenti più o meno legali o di cui non se ne conoscono gli eventuali effetti collaterali nel tempo. Ma il punto è che i giovani si avvicinano alla sigaretta elettronica per poi passare a prodotti a base di tabacco». E così le ‘vittime’ del mercato delle multinazionali della nicotina diventano dipendenti per poi avvicinarsi alle sigarette o ad altri prodotti derivati «decisamente più pericolosi», conclude Naccini.
«Bisogna creare una cultura del ‘non-fumo’», è la ricetta di Polli. «In modo tale che questo non sia banalizzato come lo è ora. E occorre convincere i giovani dell’esistenza di parecchie altre opzioni, ben più sane di una ‘svapata’ o di un ‘tiro’ di sigaretta».
