Perdite milionarie allo zoo, a Zurigo gioiscono solo i pinguini

C’è silenzio allo Zoo di Zurigo. Mentre la neve cade copiosa sui rami di bambù, sui tavoli da picnic e sulla folta pelliccia dei cammelli, che ruminanti sembrano godersi il freddo, l’unico rumore che si sente è quello del verso dei fenicotteri del Cile. Anche loro non hanno problemi con le basse temperature. Si concedono un bel bagno gelato. Molti altri animali si sono ritirati nelle loro aree di rifugio, all’asciutto. Tanto, di visite da parte di umani - guardiani a parte -, oggi nulla. Come è stato per le settimane passate e come sarà per le prossime.
Certo, così l’inizio della sua carriera allo zoo zurighese Severin Dressen non se lo sarebbe neppure potuto immaginare: dall’inizio del suo mandato come direttore del giardino zoologico, a luglio, il quasi 33.enne tedesco ha dovuto affrontare la morte di una collaboratrice in seguito all’attacco di una tigre, poi il triste, benché naturale, decesso del tanto atteso elefantino causato dal suo branco, infine la nuova ondata di COVID-19 e la conseguente chiusura, a dicembre, al pubblico. La seconda dell’anno. E quando si riaprirà non si sa: questa settimana, nell’ennesimo tentativo di limitare le infezioni, e con il dilagare delle versioni mutate del coronavirus, il Consiglio federale ha prolungato almeno fino a fine febbraio la chiusura delle strutture dedicate alla cultura, al tempo libero e allo sport, oltre che dei ristoranti. Se a marzo i visitatori potranno tornare a osservare zebre, giraffe e koala dipenderà dall’evoluzione epidemiologica.
Non un caso di rigore
A differenza di altri, lo Zoo di Zurigo non ha nessun diritto ad aiuti finanziari per la perdita di entrate. «Come non ne ha ricevuti durante il lockdown primaverile», ci spiega Dressen. Solo l’indennità per il lavoro ridotto, introdotto per alcune categorie di collaboratori, è concessa al parco. «Ma come?», chiediamo. Mercoledì il Governo ha deciso che tutte le aziende che a partire dal 1. novembre 2020 hanno dovuto chiudere per almeno 40 giorni a causa di provvedimenti adottati dalle autorità (ristoranti, bar, discoteche, strutture per il tempo libero e imprese d’intrattenimento) ora sono considerate automaticamente casi di rigore. Non dovranno nemmeno più fornire la prova di aver subito un calo della cifra d’affari di almeno il 40%. «Ma per il Cantone di Zurigo lo zoo non è un caso di rigore in quanto è per oltre il 10% di proprietà pubblica». Come più tardi ci confermerà anche un portavoce del Dipartimento cantonale delle finanze, «si sta valutando se esiste la possibilità di trovare una soluzione».
Intanto i costi fissi per mantenere l’intera struttura però rimangono. E anche alti. «Normalmente parliamo di 105.000 franchi al giorno. Durante il primo lockdown le perdite sono state di circa 1 milione alla settimana. Quasi 5 milioni al mese. In inverno i visitatori sono sempre un po’ meno, quindi ora calcoliamo 750.000 franchi di entrate mancate ogni settimana. Se dovessimo rimanere chiusi per molto tempo ancora, dopo la fine di febbraio, e dovessimo continuare a non ricevere sostegno finanziario, anche per noi, una grande azienda come lo Zoo di Zurigo, le cose si farebbero sempre più dure». Licenziamenti non sarebbero da escludere. Finora non se ne sono dovuti fare. Se le decisioni vengono prese di settimana in settimana è difficile fare piani finanziari, aggiunge il neodirettore. Come in primavera, anche questa volta sono stati rinviati molti investimenti. «Con il primo lockdown abbiamo anche avuto la fortuna di aver stipulato un contratto d’assicurazione contro le pandemie. Ma l’assicuratore nel frattempo, comprensibilmente, ha cambiato le regole. E questa volta non riceveremo nulla».
Gli ultimi a riaprire
La speranza ora è anche che gli zoo non siano più lasciati per ultimi in vista delle riaperture. Il fatto che questi parchi potessero riaprire solo due mesi dopo i saloni di massaggi e gli studi di tatuaggio e un mese dopo i musei a fine lockdown ha lasciato l’amaro in bocca al giovane direttore, che non capisce bene nemmeno «in che modo ci sia meno possibilità di contagiarsi in un comprensorio sciistico rispetto a uno zoo».
Il comportamento non cambia
Intanto per gli animali l’assenza dei visitatori non ha particolare impatto, afferma Dressen. «Lo abbiamo visto con l’apertura della savana Lewa (la più grande struttura, in termini di superficie, dello zoo, con rinoceronti, giraffe e altre specie tipiche della savana africana, ndr) . Gli animali che la abitano vi sono stati messi poco prima del primo lockdown, ma non ancora a contatto con il pubblico. Hanno vissuto vari mesi da soli nel loro spazio, senza persone attorno. Alla riapertura, quando abbiamo anche inaugurato la savana, la gente è arrivata numerosa a vederli. E da parte degli animali non c’è stato nessun cambiamento comportamentale». Insomma, per la maggioranza degli abitanti del parco zoologico non ha molta importanza se dall’altra parte del recinto c’è un umano o meno. A spassarsela particolarmente è invece il pinguino reale, che ora ha molto più spazio a disposizione per la regolare passeggiata fuori dal suo recinto.
Torna in fretta, patatina fritta!
Per le scimmie, invece, più abituate a interagire con gli umani, è sparito un po’ di divertimento. La gente passa, fa una smorfia, lancia un bacio e poi se ne va. Una buffa distrazione per staccare dal tran tran quotidiano. Ma i più annoiati, da tutta questa calma piatta, potrebbero essere i pavoni. Potendo sempre gironzolare liberamente per tutta la struttura, «si rallegrano molto quando per terra trovano qualche patatina caduta, anche se non fanno loro per nulla bene», spiega Dressen. Eh sì, sembrerebbe che i più vanitosi del giardino zoologico si trovino loro malgrado a dieta. Noi con i lockdown ingrassiamo, loro si preparano alla prova costume.