L’intervista

«Più trasparenza e più fondi, non accetteremo compromessi»

A colloquio con la consigliera federale Simonetta Sommaruga, che la prossima settimana raggiungerà la COP26
© KEYSTONE/Jean-Christophe Bott
Paolo Galli
04.11.2021 06:00

Il clima è materia di discussione politica a Glasgow, ma è anche vita quotidiana, pura e semplice vita. È la pioggia sopra di noi, è l’energia che ci permette di restare al caldo, è parte dell’interazione umana. Riguarda tutti, ogni individuo, ogni singolo Stato. Anche la Svizzera, evidentemente. Per la consigliera federale Simonetta Sommaruga è battaglia quotidiana. Raggiungerà la COP26 la prossima settimana.

Signora Sommaruga, raggiungerà Glasgow mercoledì prossimo, con quali aspettative?

«La 26. Conferenza sul clima mira ad adattare le regole di attuazione dell’Accordo di Parigi ancora in sospeso. L’obiettivo è di fissare le modalità di rafforzamento delle misure di protezione del clima per limitare a 1,5 gradi il riscaldamento globale, come stabilito a Parigi. Sono necessarie risoluzioni vincolanti con regole efficaci. Per esempio, abbiamo bisogno di più trasparenza in merito all’obbligo dei Paesi di fornire informazioni sulle proprie politiche climatiche. E abbiamo bisogno di più fondi per sostenere i Paesi in via di sviluppo sulla strada della neutralità climatica».

In vista della COP26, la Svizzera - Lei in particolare - è stata chiamata a un compito assai importante in termini di mediazione: come è andata questa fase?

«Questi negoziati sul clima sono particolari per me. In luglio, a Londra, mi sono seduta al tavolo dei negoziati, un ruolo attribuito solitamente alle delegazioni, non ai ministri. Il presidente della COP26, Alok Sharma, mi ha incaricata, insieme alla ministra ruandese Jeanne d’Arc Mujawamariya, di individuare soluzioni che possano trovare il consenso di tutti i Paesi. In questo caso, assumo un ruolo diverso, quello di mediatrice neutrale. Le consultazioni sono ancora in corso; abbiamo avuto contatti con diversi ministri. Sono stati fatti dei progressi, ma le discussioni proseguono. A Glasgow, si tratterà di trovare le migliori soluzioni, a volte negoziando con fermezza, a volte fungendo da mediatrice. Io mi impegno a fondo, perché il nostro Paese è particolarmente vulnerabile per quanto riguarda il riscaldamento climatico».

È possibile pensare di portare a termine una mediazione di successo di fronte a reazioni fredde come quella rappresentata - tanto per essere diretti - da Xi Jinping o Vladimir Putin? È davvero possibile trovare una strada comune, viste le differenti posizioni dei vari Stati?

«È vero che la situazione di partenza non è facile. Ma in fin dei conti non si tratterà tanto di levigare gli sbalzi geopolitici quanto di sapere se i ministri dell’ambiente vogliono impegnarsi a configurare la propria politica climatica in cicli di cinque anni, o se vogliono mantenere la possibilità di farlo in passi di dieci anni. La mediazione costituisce solo una parte dei lavori. La Svizzera difenderà una posizione chiara al tavolo negoziale. Vogliamo regole solide e consistenti e mantenere una posizione ferma. Se non credessimo nella possibilità di una strada comune, non andremmo a Glasgow. La protezione del clima è nell’interesse di ogni Paese, perché il cambiamento climatico riguarda tutto il pianeta. Pensiamo alla svolta negli Stati Uniti. Stati Uniti che, dopo l’elezione del presidente Biden, sostengono di nuovo l’Accordo. Anche la Cina è consapevole della posta in gioco. Vale sicuramente la pena cercare di trovare una meta comune ambiziosa ed efficace».

La condizione preliminare per il successo è che gli Stati non rimangano sulle proprie posizioni, ma scelgano delle soluzioni a favore delle popolazioni e della protezione del clima

Come si raggiunge un accordo sul clima? O meglio, quali sono le condizioni necessarie per implementare gli accordi già raggiunti in precedenza?

«L’accordo in effetti esiste già, si tratta dell’accordo di Parigi sul clima. È stato firmato da più di 190 Paesi, tra cui la Svizzera. Abbiamo quindi una “costituzione”, per così dire, che regola i principi fondamentali di come vogliamo assicurare la protezione del clima. Ci mancano ancora regole efficaci su come attuare l’accordo. A Glasgow, negozieremo gli ultimi punti controversi. La condizione preliminare per il successo è che gli Stati non rimangano sulle proprie posizioni, ma scelgano delle soluzioni a favore delle popolazioni e della protezione del clima. Ciò è nel loro stesso interesse, perché il cambiamento climatico non si ferma alle frontiere e riguarda tutti gli Stati».

Quali sono in questo caso le priorità della Svizzera? Nella lotta per il clima, che è globale, è corretto parlare di priorità dei singoli Stati?

«Il mandato del Consiglio federale per la delegazione a Glasgow è chiaro. La Svizzera si impegna a favore di regole uniformi ed efficaci che si applichino a tutti i Paesi. Nei negoziati, si sta concentrando sul miglioramento di tre aspetti: assicurare che le emissioni di gas a effetto serra che un Paese riduce all’estero non possano essere conteggiate due volte (al Paese donatore e al Paese ricevente); rafforzare gli investimenti, soprattutto nella protezione del clima nei Paesi in via di sviluppo; fare in modo che tutti gli Stati sviluppino strategie per diventare neutrali sotto il profilo climatico entro il 2050. Se il riscaldamento globale fa aumentare le temperature di 2 gradi, la Svizzera, che è un Paese alpino, dovrà affrontare una crescita maggiore. Abbiamo visto gli effetti quest’estate, con il maltempo e le inondazioni da noi, mentre i roghi imperversavano in altri Paesi».

Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, a Milano aveva chiesto che ogni Paese arrivasse alla COP26 con un proprio piano preciso: qual è il piano della Confederazione?

«Il nostro piano consiste nel trovare soluzioni creative che aiutino tutti i Paesi a fissare regole severe e ad adottare obiettivi ambiziosi. Ho discusso diversi approcci e strategie con i nostri più importanti alleati, compresi i partner europei, gli Stati Uniti, i piccoli Stati insulari, i Paesi progressisti dell’America Latina e alcuni importanti Stati africani. Ma su un punto siamo intransigenti: non accetteremo compromessi al di sotto degli obiettivi previsti dall’accordo di Parigi».

I giovani sono bene informati, sanno quali sono le sfide climatiche; e capisco che si mostrino impazienti

Greta Thunberg ha colto nel segno quando ha citato il “bla bla bla” della politica. Come si può fare per andare oltre a quel “bla bla bla”? Come si può fare a lanciare un segnale che sia percepibile anche dalla popolazione, anche dai più giovani?

«I giovani sono bene informati, sanno quali sono le sfide climatiche; e capisco che si mostrino impazienti. Credo proprio che il tempo dei segnali sia passato. Non si possono più ignorare le conseguenze del cambiamento climatico: inondazioni e frane da noi, siccità e incendi al sud, in California, Australia e Madagascar. Sono necessarie risoluzioni vincolanti e misure efficaci per limitare il riscaldamento. Ce la metteremo tutta per ottenere un buon risultato a Glasgow. Parallelamente, gli Stati devono fissare il quadro, promuovere le energie rinnovabili, ridurre le emissioni. Bisogna aiutare la popolazione a fare scelte responsabili per il clima. Per esempio, sostenendo chi sostituisce la caldaia a olio con un sistema di riscaldamento che funziona con l’energia rinnovabile, o ancora chi opta per la mobilità elettrica».

Dalla politica a volte arrivano segnali contrastanti. In termini di energia, per esempio, si passa dalla spinta sulle rinnovabili al ventilato “panico” legato alla chiusura delle centrali nucleari. Si può sperare in un avvicinamento al 2050 che sia ben strutturato e pienamente coerente? Come garantirlo?

«Per il Consiglio federale è chiaro che bisogna potenziare la produzione di energie rinnovabili indigene. Per questo motivo, ha approvato una legge in tal senso prima dell’estate. La parte riguardante la promozione delle energie rinnovabili è già stata trattata dal Parlamento ed è in fase di eliminazione delle divergenze. Negli ultimi dieci anni, la Svizzera si è affidata troppo alle importazioni di elettricità e non ha investito in misura sufficiente nella produzione di energia propria. Ora si tratta di cambiare strategia e investire qui da noi. Se il potenziale dell’energia fotovoltaica fosse sfruttato e immagazzinato, potremmo sostituire tre volte l’elettricità prodotta dalle centrali nucleari svizzere ancora in funzione. A proposito di nucleare, ho incontrato i rappresentanti delle imprese elettriche: finora, non ne ho sentito nemmeno uno che abbia intenzione di investire in un nuovo reattore nucleare. Il tempo delle chiacchiere è finito, ora dobbiamo agire e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, assicurando nel contempo l’approvvigionamento energetico del nostro Paese. Si può fare».