Linguaggio e inclusività

Quando la gender equality sbarca nel cielo, anche in Svizzera

L’addio alla formula «signore e signori benvenuti a bordo» è una strategia di marketing «arcobaleno» o motore di un vero cambiamento? – La sociolinguista Vera Gheno: «Una formulazione più universale è solo positiva, meglio si conoscono i meccanismi linguistici della diversità più aumenta la consapevolezza»
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Jenny Covelli
15.07.2021 12:25

«Sehr geehrte Damen und Herren, herzlich willkommen an Bord unseres Airbus nach Frankfurt». Dite addio a queste parole. Il saluto ai passeggeri a bordo dell’aereo deve essere neutrale e rivolto a tutti. Così Lufthansa ha deciso di archiviare il classico «sehr geehrte Damen und Herren» (e il corrispondente inglese «ladies and gentlemen») in favore di più generici ma inclusivi «cari ospiti/buongiorno/buonasera/benvenuti a bordo», a discrezione del capo cabina. La svolta – che vale anche per le controllate Austrian, Eurowings, Brussels Airlines e Swiss – è stata annunciata martedì sulle pagine della Bild. «Per noi è di fondamentale importanza tenere conto di tutti e non escludere nessuno dal saluto di benvenuto», ha precisato un portavoce di Lufthansa.

La decisione è stata presa in applicazione di un più ampio discorso sull’apprezzamento della clientela. Ma il cambiamento verso un linguaggio neutrale più inclusivo «è un processo che richiede tempo». E che ingloba tutta la società. La mossa di Lufthansa, infatti, non sorprende. Perché le questioni di genere vanno affrontate anche a livello linguistico, essendo la lingua un atto identitario. Negli ultimi anni si sta cercando una soluzione a un linguaggio che ha due generi, in cui non si riconosce una minoranza della popolazione. Ecco quindi che si passa dall’asterisco in forma scritta (bell*, brav*, sei invitat*, tutt*) allo schwa in forma orale, segnali di una nuova sensibilità sociale alla ricerca di modi più «definitivi».

Una società che cambia, non solo con le parole

«Paladina» del linguaggio inclusivo è Vera Gheno, sociolinguista, autrice, docente all’Università di Firenze e conduttrice radiofonica, per anni collaboratrice dell’Accademia della Crusca. Quella di Lufthansa «mi sembra una decisione positiva, visto che si rimane nell’alveo della lingua come la conosciamo (non c’è una sperimentazione, solo una riorganizzazione linguistica) eppure si riesce a dare una formulazione più universale – commenta –. Oggi sappiamo che il genere è un continuum invece che un’opposizione netta maschio-femmina, e questo implica che una formulazione in cui vengono inclusi solo i maschi e le femmine possa non far sentire ‘‘a casa’’ le persone che non si riconoscono nel binarismo di genere».

Ma si tratta davvero di una volontà di inclusione, che passa anche dalle politiche aziendali, o è solo una trovata di marketing per attirare passeggeri? «Io penso che siamo di fronte a un cambiamento socioculturale di grande portata – dice dal canto suo la sociolinguista –. Magari alcune aziende non sono ‘‘sincere’’ e operano piuttosto una sorta di ‘‘rainbow-washing’’; ma al di là di questo penso che la società si stia accorgendo di stare cambiando. Vedo che sempre più aziende sono interessate a capire meglio cosa voglia dire linguaggio inclusivo, o meglio, di ‘‘convivenza delle differenze’’, come lo definisce Fabrizio Acanfora. A me questo sembra positivo. Anche perché meglio si conoscono i meccanismi linguistici della diversità più aumenta la consapevolezza».

Una formulazione in cui vengono inclusi solo i maschi e le femmine può non far sentire ‘‘a casa’’ le persone che non si riconoscono nel binarismo di genere

Nell’aviazione il sessismo prende il volo

Il settore dell’aviazione, si sa, per anni è stato considerato decisamente sessista. In realtà, il primissimo assistente di volo era uomo, fu la Western Air ad assumere uno steward il cui compito era di servire i passeggeri, assisterli all’imbarco, aiutarli con le valigie e portare loro i sigari. Negli anni Trenta la United Airlines diede alle donne l’incarico di occuparsi dei clienti, ma dovevano possedere la qualifica di infermiere. La guerra interruppe le cose e si ritornò a una situazione maschile. È dagli anni Quaranta che la professione ebbe una svolta e le hostess cominciarono a trasformarsi anche in «fashion icons», simbolo pure di libertà perché lavoravano e giravano il mondo. Ma le compagnie assumevano solo ragazze nubili e categoricamente under 30. Sui voli degli anni Sessanta le hostess indossavano abiti decisamente succinti per l’epoca. Si trattava di una professione prettamente femminile (tra le poche riservate al genere), tanto che la prima Barbie lavoratrice vestiva proprio i panni dell’assistente di volo. La Pacific Southwest, in una campagna pubblicitaria degli anni Settanta, arrivò a vendere i posti centrali come più ambiti perché da lì i viaggiatori avrebbero goduto della visuale migliore sulle hostess. Fu un decennio difficile. Le gonne diventavano sempre più corte, i licenziamenti in caso di gravidanza piovevano, e il traffico passeggeri aumentava di oltre il 20% con le (costose) campagne pubblicitarie della National Airlines («I’m Cheryl, fly me» e «I’m going to fly you as you’ve never flown before»). Gli anni Ottanta possono essere considerati il punto di svolta della professione, che si avvicina a quella che conosciamo oggi e diventa anche maschile. Ma non è tutto rose e fiori, anzi.

Meno di dieci anni fa Ryanair proponeva «tariffe bollenti e hostess piccanti» per il suo calendario ai fini di beneficenza. Nel frattempo Meridiana adottava uniformi di sole taglia 40 e 42. Nel 2019 il sindacato britannico GMB Union ha segnalato in un rapporto le disposizioni «inaccettabili, vergognose e pericolose» imposte alle dipendenti delle compagnie aeree (a differenza dei loro colleghi uomini): lucidalabbra o rossetto, tacchi e gambe ben curate da Swissport; «peli evidenti su gambe, braccia e viso» sono «inaccettabili» per Dnata (fornitore di servizi aeroportuali di Emirates) che consiglia alle donne di «scegliere il metodo più adatto per rimuoverli», mentre agli uomini è proibito truccarsi, salvo che non usino «un correttore per coprire le imperfezioni». I casi di molestie e commenti inappropriati a bordo (anche da parte dei passeggeri), poi, si moltiplicano. Emblematico è il caso della star degli Oasis Liam Gallagher, bandito a vita dalla Cathay Pacific per avere, nel 1998 su un volo tra Hong Kong e Perth, fumato a bordo e importunato passeggeri e equipaggio.

In Swiss diversità e uguaglianza sono valori centrali. D’ora in poi vogliamo mostrare che la diversità non è solo una frase vuota, ma una realtà vissuta

Verso un vero cambiamento?

Ma le donne non sono solo hostess. L’International Society of Women Airline Pilots (ISA+21) ha come obiettivo quello di ispirare, supportare e difendere la categoria. Punta inoltre a modificare i modelli culturali («nei film, sulle riviste, in televisione raramente si vedono donne occupare posizioni di ruolo tradizionalmente ricoperte da uomini») e fornirne di nuovi che possano ispirare le ragazze e le donne a puntare in alto, anche a pilotare un aereo. Ma la strada è ancora lunga. Dai dati raccolti da ISA+21 emerge che attualmente nel mondo la «quota rosa» è del 5,1%. In cima alla classifica della «gender equality» spicca un po’ sorprendentemente Air India, con il 12,7% di donne alla cloche. Sul podio anche l’irlandese Aer Lingus (9,9%) e Hawaiian Airlines (9,1%). Lufthansa si piazza al quinto posto, con il 6,9%. In fondo alla classifica ci sono Qatar Airwas (2,4%), Emirates (2,2%), Aeroflot (2,2%), Japan Airlines (1,3%) e Singapore Airlines (0,4%).

Tornando alla «rivoluzione» introdotta da Lufthansa, dal canto suo Swiss sembra crederci fermamente: «Diversità e uguaglianza sono valori centrali per la nostra azienda e la cultura aziendale – commenta il portavoce –. D’ora in poi vogliamo esprimere questo atteggiamento anche nella lingua e mostrare che la diversità non è solo una frase vuota, ma una realtà vissuta». Proprio un «uso sensibile del linguaggio» è tra gli obiettivi della compagnia svizzera per «contribuire attivamente all’uguaglianza e all’inclusione», dentro e fuori l’azienda. Una mentalità che, stando a quanto dicono, viene applicata anche nella gestione del personale: «Swiss protegge la personalità di tutti i suoi dipendenti e non tollera in alcun modo discriminazioni o sessismo. Anche in materia d’impiego (ruolo, salario, promozioni, formazione, ...)».

Le modifiche nel linguaggio non dovrebbero quindi essere precedute da un cambiamento effettivo sul riconoscimento dei generi, delle identità sessuali e delle parità? «Le parole non sono mai solo parole, ma sono un vero e proprio atto identitario. Sono una specie di specchio della società e di come la società pensa e processa le cose», ha dichiarato la sociolinguista Vera Gheno. Che sulla questione conclude: «Trovo che non serva cercare un ‘‘ordine’’ tra realtà e lingua. Le due procedono intrecciate (Benjamin Whorf parlava di ‘‘entanglement quantistico’’) e quindi l’ideale è quando società e lingua cambiano in armonia. Magari una delle due ogni tanto fa un balzo in avanti, ma... se ci sono dei cambiamenti linguistici in atto è perché sta cambiando anche la nostra società».