Pedopornografia

Quando le foto dei nostri figli finiscono all’asta nel dark web

Il numero di immagini di minori rubate dai pedofili sui social è «enorme» e «imprecisato», spiega il capo della Divisione cybercriminalità della polizia cantonale di Zurigo e capo della NEDIK – Frequente lo scambio di materiale illecito in termini di domanda e offerta – L’esperto di informatica forense Alessandro Trivilini: «Non esiste un tariffario, in questa terra di nessuno vige il libero mercato»
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Valentina Coda
21.10.2021 18:54

Viene spesso definito come la terra di nessuno, un universo parallelo senza alcun tipo di limiti etico-morali dove è possibile trovare qualsiasi cosa senza troppi rischi di venire rintracciati. È un postaccio il dark web, terreno fertile soprattutto per i pedopornografi che negli ultimi anni sono soliti sguazzare alla ricerca di immagini di minori sottratte dai profili social degli stessi genitori che le postano. Il fenomeno dello sharenting (ndr; fenomeno che si verifica quando i genitori mettono e condividono le foto dei loro figli online) ha provocato una crescita vertiginosa dei casi di pedopornografia che hanno iniziato a dilagare anche grazie all’involontario contributo dei genitori. Avevamo già trattato la tematica dell’importanza di sensibilizzare questi ultimi sulla tutela dei minori e sulla loro reputazione online, ponendo l’accento sul rischio che le immagini dei propri figli, o di minori in generale, potessero finire nelle mani sbagliate. Ma dopo aver contattato la Rete nazionale di sostegno alle indagini nella lotta contro la criminalità informatica e gli abusi sui minori (NEDIK), il congiuntivo sarebbe opportuno toglierlo.

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Numeri «enormi» e «imprecisati»
Premessa: condividere fotografie di minori sui social network – entro determinati parametri, come ad esempio il consenso di entrambi i genitori – non costituisce reato. Pertanto è estremamente difficile conoscere il numero esatto di immagini di bambini apparse nel dark web dopo essere state pubblicate sulle piattaforme. A riprova di ciò, il capo della Divisione cybercriminalità della polizia cantonale di Zurigo e capo della NEDIK Serdar Günal Rütsche, da noi contattato, tiene a precisare che «il numero di casi non denunciati è enorme» dato che una volta pubblicate in rete «le foto possono essere utilizzate in qualsiasi modo». In altre parole, «è praticamente impossibile sapere quante immagini di questo tipo circolano nel dark web», sottolinea Rütsche.

«I pedofili si muovono inosservati»
Le piattaforme social non sono gli unici contenitori cui attingono i pedofili per reperire materiale. Gli stessi, prosegue il capo di NEDIK, «producono autonomamente le immagini, le ottengono da altri pedofili e se le scambiano tra di loro». Rütsche torna inevitabilmente sul fenomeno dello sharenting dipingendo i social network come terreno fertile per i criminali visto che «molti genitori condividono le foto dei figli sulle proprie bacheche». Il risultato di questa operazione tanto involontaria quanto pericolosa? Facile, risponde, «i pedofili si muovono inosservati sui social media e le ottengono facilmente da lì».

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Le foto come approdano nel dark web?
Le risposte del capo di NEDIK sono un assist prezioso per capire, nel concreto, quale sia il «viaggio» che compiono immagini di questo tipo partendo dai social fino ad arrivare nel deep web. Abbiamo così chiesto un esempio pratico al responsabile del Servizio di informatica forense della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) Alessandro Trivilini che ci fornisce anche il motivo alla base della difficoltà, da parte delle autorità, nell’ottenere dati più o meno precisi nell’ambito della pedopornografia.

Ma partiamo dall’inizio. Ovvero dalle classiche «fonti aperte», come Facebook e Instagram, in cui i genitori, ingenuamente o consapevolmente, postano foto di minori. Cosa succede, quindi? Le immagini – spiega l’esperto – vengono salvate e depositate sul dispositivo personale (computer, cellulare, hard disk) del pedofilo oppure di chi vende materiale illecito al pedofilo stesso attraverso il dark web. I contenuti vengono scambiati attraverso la rete TOR, che permette di navigare nell’ombra senza farsi rintracciare. Quando il dispositivo che contiene il materiale illegale è acceso, configurato sulla rete TOR e l’acquirente conosce il suo indirizzo, allora in quel momento è possibile scaricare le immagini. Di contro, se il dispositivo dovesse essere spento, quel sito sparirebbe completamente senza lasciare traccia in quanto il deep web non prevede un’archiviazione sistematica dei siti. Inoltre, l’indirizzo di questi siti è una successione alfanumerica di caratteri e lettere che viene generata ex novo ogni volta che quel dispositivo, collegato al deep web, viene acceso o spento. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che rende difficili le investigazioni da parte della polizia.

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Nessun tariffario: il mercato è libero
Il tema è agghiacciante, ma insieme a Trivilini abbiamo cercato, nel limite del possibile, di simulare una probabile trattativa per l’acquisto di certe immagini tra due persone con una forte attrazione per i bambini. Quindi in maniera molto schietta chiediamo all’esperto: quanto costa una foto? «È difficile quantificare i prezzi – spiega – dipende molto da quanto una persona è mentalmente deviata e in base a questo fattore, non di poco conto, viene decisa la tariffa nel mercato di riferimento del pedofilo». Stiamo parlando, ad esempio, di una fotografia postata sui social di un bambino o una bambina ripresi mentre fanno il bagno. Ecco, più i bambini vengono ritratti nelle foto in un certo modo e da determinate angolazioni, più sarà alta la disponibilità, da parte dell’acquirente, di pagare una determinate cifra. L’unica cosa certa è che «non esiste un tariffario, in questo mondo vige il libero mercato».

E in Ticino?
Alle nostre latitudini dalla statistica criminale della polizia cantonale ticinese per quanto riguarda la pornografia (art. 197 del Codice penale) si evince che nel 2019 gli incrementi maggiori (in termini assoluti) si sono registrati proprio in questo ambito (da 47 del 2018 a 97 nel 2019). L’aumento della casistica, però, è in parte riconducibile all’obbligo per i gestori di piattaforme web di segnalare contenuti legati alla pornografia infantile. Nel 2020, invece, c’è stata una netta diminuzione, pari al 35% (da 97 a 63). Il dato, ci spiega brevemente la polizia cantonale, «è in generale soggetto a fluttuazioni per cui non per forza è possibile individuare una o più concause dirette del calo. Le variabili sono innumerevoli tenendo conto della complessità di una fattispecie legata all’evoluzione e alla diffusione delle nuove tecnologie su scala globale».

MoniTOR dà la caccia ai "siti ombra"

Un progetto di ricerca per sviluppare nuove tecniche investigative necessarie per combattere la cybercriminalità nel dark web e consentire alla polizia di monitorare il maggior numero possibile di «siti ombra» dove è presente materiale illegale, tra cui anche quello pedopornografico. Questo nuovo strumento si chiama MoniTOR (An intelligence framework to monitor and analyze TOR hidden services for improving dark web investigations) ed è nato dalla stretta collaborazione tra il Servizio informatica forense della SUPSI e InTheCyber Group Sa di Lugano ricevendo anche un importante riconoscimento da parte dell’Agenzia svizzera per l’Innovazione (Innosuisse).

Altro obiettivo di MoniTOR è quello di ridurre i tempi tecnici che attualmente non consentono di velocizzare le ricerche investigative perché, oltre a non avere un archivio, le informazioni nel deep web viaggiano molto lentamente. «Bisogna ridurre i tempi – chiosa Trivilini – perché insieme al mercato continuano a crescere anche le violenze e i reati. Se non si sviluppano nuove tecniche investigative, il tempo d’attesa per concludere un’inchiesta rimane quello di 3-4 anni».