Reclami: le decisioni del Consiglio svizzero della stampa

Reclamo contro «24 heures» parzialmente accolto
Il Consiglio svizzero della stampa ha parzialmente accolto un reclamo contro due articoli online del quotidiano «24heures». Gli articoli recano i titoli «Un Nigérian de 45 ans tué par son petit frère à la gare» (Un nigeriano di 45 anni ucciso dal fratello minore alla stazione) e «Drame à Lausanne: un homme décède après une altercation à la gare. La victime, âgée de 45 ans, a été tuée par son petit frère de 35 ans» (Dramma a Losanna: un uomo muore dopo una lite alla stazione. La vittima, 45 anni, è stata uccisa dal fratello minore, di 35). Il primo articolo, nella parte conclusiva, si interroga sul contesto e su quali siano i nessi tra queste persone di origine nigeriana e il loro status di soggiorno, il traffico di droga o un'eventuale aggressione con arma da taglio.
I reclamanti, tra cui il fratello della vittima, rimproverano al giornale di aver annunciato un fratricidio, mentre le indagini hanno rivelato molto velocemente che non si trattava di un omicidio. Denunciano inoltre espressioni discriminatorie che collegano a stereotipi la nazionalità degli attori.
Dopo aver esaminato il caso, il Consiglio della stampa ritiene che, titolando che vi è stato un omicidio, per di più commesso dal fratello della vittima, mentre tali fatti si sono rivelati errati, il giornale abbia commesso una violazione del dovere di ricerca della verità.
Le affermazioni relative alla nazionalità degli attori favoriscono inoltre stereotipi discriminatori, il che costituisce anch'esso una violazione delle norme deontologiche da parte del media.
Reclamo contro «NZZ am Sonntag» e «Zofinger Tagblatt» respinto
Il 14 luglio 2024 e il 17 agosto 2024, rispettivamente, prima la rivista «NZZ am Sonntag» e poi il quotidiano «Zofinger Tagblatt» hanno pubblicato un lungo reportage su un caso criminale risalente al 1983. All'epoca, un giovane svizzero era scomparso nella foresta tropicale brasiliana dopo aver incontrato un misterioso presunto capo tribù locale. Qualche tempo dopo una comitiva aveva trovato i resti mortali dell'uomo. A posteriori, tutto indicava che il giovane fosse stato ucciso da questo «capo tribù» e che l'autore del delitto fosse in realtà un tedesco.
Entrambi i testi erano riccamente illustrati: tra le immagini figuravano quelle del giovane mentre posava con il «capo tribù», le ossa del defunto e il cranio circondato da candele durante una cerimonia funebre.
Una parente della vittima ha presentato reclamo contro entrambi gli articoli, ritenendo che violassero numerose direttive del Codice deontologico del/della giornalista. In particolare, sosteneva che la menzione del nome avesse violato il diritto alla privacy della vittima e dei suoi familiari sopravvissuti e traumatizzati. Inoltre, le immagini dei resti mortali violavano il diritto della vittima al riposo dei defunti. L'intera narrazione ledeva la dignità umana del defunto. La reclamante ha altresì contestato, in singoli casi, la legittimità dell'uso delle immagini.
Entrambe le redazioni hanno invece sottolineato di essere entrate legalmente in possesso delle fotografie e che non si potesse parlare di violazione della privacy, poiché gli autori avevano contattato la famiglia della vittima prima della pubblicazione degli articoli e l'avevano informata del lavoro svolto al riguardo. Inoltre, la scelta delle immagini aveva tenuto conto della dignità umana del defunto e il suo diritto al riposo non era stato violato.
Il Consiglio della stampa ha respinto il reclamo, ritenendo che la privacy dei familiari della vittima non fosse stata invasa e che nessuno, con questo reportage, fosse entrato nella loro sfera privata. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, la vittima stessa non gode più di una sfera privata che possa essere violata. La direttiva 7.8 invocata, che invita a tener conto non solo delle vittime in situazioni di emergenza, ma anche dei sentimenti dei loro familiari, si riferisce a situazioni di crisi attuali e non a una situazione di emergenza risalente a 40 anni fa. Lo stesso vale per la protezione delle vittime prevista dalla direttiva 8.3 e per la direttiva 8.5 (Immagini di incidenti, catastrofi e reati).
Il Consiglio della stampa respinge le critiche al saggio sulla misoginia nella comunità albanese
L'articolo «Liebe Kosovarinnen, wir müssen uns wehren!» (care donne kosovare, dobbiamo difenderci!), pubblicato sulla rivista «Magazin» nell'ottobre 2024, ha scatenato un dibattito sulla misoginia nella comunità albanese. Il Consiglio della stampa ha respinto il reclamo contro «Magazin». Il saggio di Kaltërina Latifi è chiaramente riconoscibile da lettrici e lettori come un articolo di opinione. L'autrice chiarisce inoltre fin dall'inizio che numerose persone non condividono il suo punto di vista. Il Consiglio della stampa respinge la critica secondo cui l'autrice presenterebbe la propria opinione soggettiva come un fatto generale e opererebbe generalizzazioni improprie. Latifi affronta il tema delle strutture di potere misogine nella comunità albanese (del Kosovo) e descrive così un problema di grande rilevanza. Analizzando il sistema di valori culturali, l'autrice non può fare a meno di nominare esplicitamente la comunità. Quest'ultima sottolinea più volte nel suo saggio che sta scrivendo di norme sociali e tradizioni, chiarendo così in modo adeguato che la sua critica non si riferisce a tutte le albanesi e a tutti gli albanesi (del Kosovo). Al contempo, il Consiglio della stampa riconosce che una lettura selettiva e prevenuta del testo può confermare o addirittura rafforzare pregiudizi. Tuttavia, ciò non è responsabilità dell'autrice.
Uno dei compiti del giornalismo è stimolare e condurre dibattiti sociali. Ai fini della libertà di espressione e dei media deve essere possibile criticare pubblicamente una minoranza e, se necessario, aspramente.
Sia la rivista «Magazin» che l'autrice hanno affrontato le critiche e le hanno accolte, cosa che il Consiglio della stampa approva.
Copertura mediatica del femminicidio: / «20min» e «nau.ch» biasimati
Nel settembre del 2024 «20 Minuten» (online) e «nau.ch» hanno riportato la notizia di un femminicidio. Il presunto autore, marito della vittima, aveva presentato una richiesta di scarcerazione e fatto ricorso fino al Tribunale federale. Entrambi i media hanno dato notizia del caso sulla base della decisione del Tribunale federale, citandone dettagli particolarmente raccapriccianti e pubblicando immagini dei bambini e della casa rese solo parzialmente irriconoscibili. L'organizzazione ombrello delle case protette per donne della Svizzera e del Liechtenstein e il rifugio per donne di Basilea Città e Basilea Campagna hanno presentato un reclamo al Consiglio svizzero della stampa contro il reportage. Hanno deplorato che, con tali articoli, tra le altre cose fosse stata violata la sfera privata e che, sulla base delle informazioni pubblicate, la vittima fosse facilmente identificabile. In particolare, hanno criticato la violazione della speciale protezione dei bambini, come richiesto dalla Direttiva 7.3. Entrambi i media hanno negato di aver violato il codice giornalistico.
Il Consiglio della stampa ha accolto il reclamo a maggioranza e ha biasimato «20 Minuten» e «nau.ch» poiché la loro copertura giornalistica ha violato sia la cifra 7 (Identificazione / Bambini) che la cifra 8 (Protezione delle vittime) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del/della giornalista». Nelle sue considerazioni afferma: «L'argomentazione dei media, secondo cui avrebbero riportato la notizia in quel modo perché è importante informare dei femminicidi e perché viene richiesto di »non riferire in modo riduttivo e quindi edulcorante« (argomentazione di »20min.ch«), non è comprensibile. Naturalmente, è di interesse pubblico informare dei femminicidi e richiamare l'attenzione sul problema. Tuttavia, gli articoli contestati finiscono per fare l'esatto contrario e mancano di sensibilità e rispetto nei confronti della vittima e dei suoi familiari».
