«Rendita piena già a 62 anni iniziando a pagare l’AVS a 18»

Mentre per il terzo anno consecutivo quella delle pensioni si conferma la preoccupazione principale degli svizzeri (Barometro Credit Suisse), aumentano le proposte sul tappeto per la riforma del sistema previdenziale. L’ultima in ordine di tempo è stata presentata negli scorsi giorni dal «Centre Patronal» (CP), un’organizzazione economica romanda che gestisce anche istituzioni sociali. Per garantire un finanziamento sostenibile dell’AVS e del secondo pilastro viene proposto un cambiamento di paradigma: a fare stato non deve essere l’età legale di pensionamento ma gli anni di contribuzione. L’obbligo di pagare le quote scatterebbe a 18 anni e non più a 21, di modo che chi versa i contributi per 44 anni potrà andare in pensione a 62 con una rendita piena.
Rischio di deficit colossali
Il CP parte dal presupposto che i progetti attualmente in discussione alle Camere non offrono una soluzione a lungo termine alle questioni del cambiamento della piramide d’età e dell’aumento dell’aspettativa di vita. I problemi strutturali del primo pilastro sono noti. L’AVS spende più di quanto incassa (senza le rendite degli investimenti). Quando era stata introdotta, nel 1948, per ogni pensionato si contavano sei attivi. Oggi la proporzione è di tre attivi per ogni beneficiario di rendite. Nel 2042 il rapporto dovrebbe essere di due a uno. «Se il sistema attuale non viene modificato, si accumuleranno deficit colossali», si legge nel documento di presentazione, intitolato «Per una riforma della previdenza vecchiaia duratura, moderna e sociale».
Nel modello proposto dal CP, per stabilire l’inizio del periodo contributivo sotto i 21 anni verrebbero presi in considerazione solo i salari che raggiungono almeno il 120% della rendita semplice massima AVS (2.370 franchi mensili), vale a dire 34.128 franchi all’anno. Questo modello favorirebbe in particolare chi inizia presto a lavorare e svolge un’attività logorante. Per continuare ad assicurare una certa flessibilità nel primo pilastro, è prevista la possibilità di andare in pensione al più presto dopo 40 anni di contributi (non prima dei 60 anni) e al più tardi dopo 48 anni. Per le donne la durata necessaria di 44 anni di contribuzione verrebbe adeguata in modo graduale per tre mesi all’anno sull’arco di quattro anni.
Misure di stabilizzazione
Ma per cambiare garantire l’equilibrio del bilancio di ripartizione occorrerebbe anche un meccanismo di stabilizzazione, composto da tre misure: aumento dell’IVA, aumento della durata di contribuzione e aumento delle quote. L’IVA dovrebbe rincarare di 0,7 punti nel 2023, di 0,6 nel 2029 e di altri 0,6 punti nel 2035. I contributi dei salariati verrebbero aumentate di 0,25 punti nel 2027, nel 2029 e nel 2043. Quanto agli anni di contribuzione, è prevista un adeguamento graduale di 1 mese a partire dal 2027. Detto altrimenti: chi inizia a contribuire a 21 anni, nel 2045 andrebbe in pensione a 66 anni e 7 mesi (63 anni e 7 mesi per chi ha iniziato prima).
A metà ottobre intanto, la Commissione della sicurezza sociale degli Stati riprenderà l’esame del pacchetto elaborato dal Consiglio federale, che prevede di portare a 65 anni l’età di pensionamento delle donne, un aumento dell’IVA di 0,7 punti e di flessibilizzare la fine della vita attiva fra i 62 ed i 70 anni. Si andrà in aula a dicembre.
Giù il tasso di conversione
Il Consiglio federale non ha ancora formalizzato la sua proposta di riforma del secondo pilastro, che dovrebbe prevedere l’abbassamento dal 6,8% al 6% dell’aliquota di conversione minima, accompagnato da un supplemento compensatorio di 100-200 franchi al mese (finanziato con un contributo dello 0,5% sul reddito soggetto ai contributi AVS). Questa soluzione (messa in consultazione) gode del sostegno dei partner sociali, ma non dell’USAM, dell’UDC e dei Verdi liberali.
Il CP dal canto suo propone, oltre ad una riduzione dell’aliquota di conversione (0,1 punti all’anno su otto anni), l’abolizione della deduzione di coordinamento (i primi 25 mila franchi del salario oggi non sono sottoposti a prelievi LPP) e un nuovo scaglionamento delle aliquote contributive. Con l’abolizione della deduzione di coordinamento si alza il salario assicurato e aumentano i contributi di vecchiaia. Si propone inoltre di assoggettare i lavoratori autonomi alla previdenza professionale obbligatoria. Tutte queste misure, dovrebbero permettere di mantenere le rendite ad un livello equivalente a quello attuale, «se non superiore per i salari più modesti». Costo globale della riforma 2,1 miliardi di franchi a carico di datori di lavoro e salariati, oltre a 650 milioni per compensare le rendite della generazione di transizione .