Richard Saynor di Sandoz: «Nemmeno con dazi del 250% produrremo negli USA»

Sandoz non ha intenzione di produrre i suoi medicinali negli Stati Uniti, nemmeno se il presidente americano Donald Trump metterà in pratica la minaccia di imporre dazi del 250% alla imprese farmaceutiche: lo afferma il CEO Richard Saynor.
«Capisco l'intenzione di Trump di garantire un accesso sostenibile a farmaci economici e di alta qualità», argomenta il 58enne in un'intervista pubblicata oggi da L'Agefi. «È quello che facciamo anche noi presso Sandoz, nonostante le sfide poste dai brevetti e dal sistema assicurativo (pubblico e privato), che negli Stati Uniti è molto complicato. Ma i dazi doganali da soli non risolveranno alcun problema».
«Non telefono direttamente al presidente, ma abbiamo un dialogo migliore con questa amministrazione rispetto alle precedenti», prosegue il manager. «E abbiamo un accesso più facile al governo, al Congresso, alla Commissione federale per il commercio (FTC), al Dipartimento della salute e dei servizi umani (HHS) e a tutte le agenzie interessate. Da gennaio sono già stato due volte alla Casa Bianca e i nostri team americani ci vanno ogni due settimane. Sono disponibili all'ascolto e comprendono le nostre sfide».
Contrariamente ad altre 17 imprese farmaceutiche, Sandoz non ha ricevuto la lettera in cui il governo di Washington chiede misure immediate per abbassare il prezzo dei medicinali. «Queste aziende forniscono farmaci originali, che sono molto costosi, mentre noi operiamo nel segmento dei generici e biosimilari a basso costo», spiega il dirigente di nazionalità britannica. «Alcuni medicamenti originali sono venduti a un prezzo dieci volte superiore rispetto all'Europa, sebbene questi prodotti siano commercializzati da 25 anni e abbiano già perso il brevetto in Europa. Questo non è sostenibile! Perché un paziente americano dovrebbe pagare così tanto per un prodotto il cui brevetto è scaduto nel resto del mondo?», si chiede l'intervistato.
Sandoz sta comunque valutando la possibilità di ritirare alcuni farmaci generici dal mercato statunitense. «Il mio obiettivo principale è garantire ai pazienti l'accesso ai farmaci. Ma devo anche gestire un'azienda e rendere conto agli azionisti. Non è quindi possibile vendere in perdita. E se non è possibile ridurre i costi o aumentare i prezzi, dobbiamo ritirare il prodotto dal mercato», osserva il presidente della direzione in carica dal 2019. «Potrebbero esserci delle eccezioni per alcuni tipi di prodotti, ad esempio gli antibiotici: ne stiamo discutendo con la Casa Bianca, ma è ancora troppo presto per dire quale sarà l'esito dei colloqui».
Non avete intenzione - chiede la giornalista della testata economica romanda - di produrre oltreoceano? «No, non per il momento, nemmeno con un'imposta del 250%», risponde il professionista. «Il mercato americano è troppo incerto e disfunzionale: ogni volta che un farmaco il cui brevetto è scaduto viene immesso sul mercato è necessario ricorrere ai tribunali senza sapere quando e a quale prezzo potrà essere venduto. In Europa è diverso. Sappiamo se e quando scade un brevetto, il che ci permette di pianificare in anticipo. Se il contesto negli Stati Uniti dovesse cambiare e il mercato subisse riforme strutturali che consentissero una concorrenza aperta ed equa potremmo riconsiderare la possibilità di produrre i nostri medicamenti in quel paese», conclude Saynor.