L'intervista

Sacha Zala: «La Svizzera? Non esiste una neutralità scolpita nella pietra»

Il dibattito cresce nel nostro Paese dopo la svolta sulla vendita di armi proposta dalla Commissione della politica di sicurezza del Nazionale
© dpa/Peter Steffen
Francesco Pellegrinelli
26.01.2023 06:00

Martedì, la maggioranza della Commissione della politica di sicurezza del Nazionale ha proposto di modificare la legge federale sul materiale bellico, introducendo la possibilità di riesportare armi verso i Paesi che hanno subito una violazione dell’integrità territoriale. Ci troviamo di fronte a nuovo allentamento del concetto di neutralità? Lo abbiamo chiesto a Sacha Zala, professore di storia all'Università di Berna e direttore del centro di ricerca Dodis (Documenti diplomatici svizzeri).

«Nel diritto internazionale la neutralità è codificata nella Convenzione dell’Aia del 1907» ci spiega Zala. «Ma quanto lì sancito, a parte non iniziare una guerra, è veramente molto poco e la Svizzera vi si attiene sempre rigorosamente. Tutto iI resto è una costruzione politica interna. Il concetto di non-riesportazione del materiale bellico, ad esempio, non è codificato nel diritto internazionale dalla Convezione dell’Aia, pertanto, non c’è nessuna violazione del concetto della neutralità. Il concetto di neutralità che vieta la riesportazione è una costruzione svizzera. Ce lo siamo inventati noi».

Con quale obiettivo la Svizzera avrebbe ampliato questo concetto di neutralità, introducendo ciò che in realtà non è contemplato nel diritto internazionale?
«Questa costruzione nasce dal fatto che la neutralità, in fondo, è molto fragile. Durante le due Guerre mondiali la Svizzera è stata risparmiata. Al Belgio, pure neutrale, invece è capitata un’altra sorte. Proprio per questa fragilità, la Svizzera, a seconda dei casi, ha interpretato in maniera più rigida oppure più flessibile la propria neutralità, proprio per cercare di aumentarne la sua credibilità verso l’esterno. Così è nata e si è sviluppata quella che chiamiamo ‘politica’ di neutralità».

Effettivamente, la Convenzione non dice quasi nulla sulla riesportazione di armi. Questo non impedisce tuttavia che la Svizzera produca legittimamente un «suo» concetto di neutralità e che questo vieti la riesportazione. Non è così?
«Qui tocchiamo il nocciolo della questione. In particolare, a finire sotto la lente è la Legge federale sul materiale bellico, di cui si sta discutendo al Nazionale. Una legge che ha una lunga storia a zig-zag, seguendo le contingenze politiche del tempo, diventando più o meno severa o permissiva a seconda del caso. Spesso, poi, a influire su questo andamento, a ben vedere, sono stati gli scandali. È stato così, per esempio, negli anni Settanta quando, in piena guerra nel Biafra, un aereo del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) è stato abbattuto dai cannoni fabbricati in Svizzera dalla Bührle. Venne poi alla luce che Bührle aveva falsificato delle dichiarazioni di non-riesportazione e la reazione politica fu di rendere più severa la legge».

Non esiste una neutralità scolpita nella pietra

Sta dicendo che la neutralità è una questione essenzialmente politica e contingente?
«Certamente la Svizzera è un Paese sovrano e può fare quello che vuole. Non è tuttavia onesto sostenere che questa o quest’altra azione politica non possa essere fatta perché il diritto internazionale della neutralità non lo permetterebbe. Spesso non è vero. Non esiste una neutralità scolpita nella pietra. Tornando al caso specifico sull’esportazione di armi, l’unica neutralità che conta dal punto di vista del diritto internazionale, quella definita nella Convenzione del 1907, non dice nulla».

Quindi, definire in maniera rigida la nostra neutralità, paradossalmente, potrebbe essere controproducente?
«Esatto. Nella storia, il Consiglio federale l’ha sempre capito benissimo. Meglio avere un concetto flessibile, intervenendo puntualmente come propone in questo caso la commissione. Spesso uso questa immagine: la neutralità è stata dal punto di vista giuridico un involucro rigido ben definito, all’interno del quale il Governo ha inserito flessibilmente la politica di neutralità che più gli conveniva in quel momento. Ecco perché una definizione di neutralità integrale, come la vorrebbe l’UDC, sarebbe controproducente. Per la Svizzera è sempre stato un grande vantaggio non definire rigidamente cosa fosse la sua neutralità».

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