Se lavorare da casa non è così «smart»

Lo smart working, o telelavoro, sperimentato per la prima volta da tante aziende a causa del nuovo coronavirus si è rivelato in molti casi un’esperienza positiva. Tanto che aziende come UBS o Novartis hanno intenzione di proseguire a proporla ai loro dipendenti. Lavorare da casa comporta molti vantaggi, a cominciare dal risparmio di tempo sul tragitto casa-lavoro. Non però in termini fiscali. A livello di imposta federale diretta, con le detrazioni per il trasporto (fino a 3.000 franchi), i pasti fuori casa o le altre spese necessarie per l’esercizio della professione (come i soggiorni settimanali fuori domicilio), per i dipendenti è economicamente più conveniente andare in ufficio. A Berna ora si vuole trovare una soluzione che renda lo smart working più conveniente.
Più flessibilità
Il consigliere nazionale Fabio Regazzi non lavora mai da casa. Il suo ufficio dista pochi chilometri dalla sua abitazione e personalmente preferisce evitare di rischiare «di non avere una distinzione netta fra lavoro e vita privata». Il popolare-democratico ha però depositato un’interpellanza per chiedere al Consiglio federale se non sia necessario adeguare le attuali disposizioni sulle spese professionali in modo da rendere più attrattivo lo smart working.
Questo, secondo l’unico candidato alla presidenza dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM), l’associazione mantello delle piccole e medie imprese, porta diversi vantaggi. In primis ai lavoratori. «Facilita la conciliabilità tra professione e famiglia - per le donne ma anche per gli uomini - e dà maggiore flessibilità». Soprattutto, afferma il deputato, è una soluzione per contribuire ad attenuare il problema della congestione del traffico sulle strade e dei treni stracolmi, contribuendo a diminuire l’inquinamento.
All’interno della holding di Regazzi, che porta il suo nome, il telelavoro era realtà già prima dell’attuale crisi sanitaria. Una soluzione trovata per andare incontro in primis a delle collaboratrici con bambini piccoli. Per i datori di lavoro avere collaboratori meno stressati e più soddisfatti può portare benefici anche sul lato della produttività, aggiunge il consigliere nazionale. Non da ultimo, dare la possibilità di lavorare da casa rende le aziende più attrattive.
Quegli scambi che mancano
Ai molti pro si aggiungono però anche dei contro: «Per i dipendenti c’è il rischio di non avere chiari orari di lavoro». Per il datore di lavoro è invece proprio il controllo sui tempi di lavoro che va perso, continua Regazzi. «Inoltre, si perdono un po’ gli scambi fra colleghi e l’integrazione nei team viene meno facilitata». Una videochiamata non ha lo stesso valore di un incontro faccia a faccia, dice l’imprenditore. Ed evidentemente, conclude Regazzi, lo smart working non è adatto a ogni settore. Tutto sommato però i lati positivi sono di più di quelli negativi.
A Berna, lo ricorda anche il «Blick», pure l’ecologista sangallese Franziska Ryser ha depositato un atto parlamentare che propone un cambio di mentalità: con una mozione chiede al Consiglio federale di rivedere le attuali norme affinché le spese per una stanza privata per scopi professionali possano essere dedotte.
Maurer è all’opera
Nelle sue risposte scritte a entrambe le proposte il Governo ammette che chi lavora da casa non gode delle stesse detrazioni di chi si sposta in ufficio. Scegliere lo smart working è insomma effettivamente disincentivante, scrive l’Esecutivo. I costi per esercitare il proprio mestiere da casa possono essere detratti già oggi, spiega. Ma solo se non è un atto volontario, bensì si è costretti a farlo. Ad esempio, se il datore di lavoro non fornisce un ufficio. Il Consiglio federale ritiene che «il diritto fiscale dovrebbe rimanere neutrale rispetto alle diverse forme di lavoro e, pertanto, non influenzare la decisione di lavorare totalmente o parzialmente dal proprio domicilio». In altre parole: l’home office non va promosso rispetto al lavoro svolto nella sede della propria azienda. Piuttosto, fiscalmente parlando, il primo va reso tanto allettante quanto il secondo. Una nuova regolamentazione delle deduzioni necessiterebbe di un adeguamento delle basi legali: una semplice modifica dell'ordinanza non sarebbe sufficiente. Benché respinga la mozione di Ryser, il Governo ha incaricato il Dipartimento delle finanze di esaminare assieme ai Cantoni la possibilità di un’armonizzazione dei due modi di lavorare. Preferibilmente - auspica l’Esecutivo - tramite detrazioni forfetarie.
«È il minimo che ci si poteva aspettare», è la reazione di Fabio Regazzi. «Posso capire la logica del Governo, anche se a mio avviso l’home office andrebbe incentivato – più gente evitiamo di mettere sulle strade o nei treni, meglio è per tutti».