Il caso

Semenya contro la Svizzera: oggi la sentenza della CEDU

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo emetterà una sentenza definitiva - La 34.enne atleta sudafricana: «Spero che la decisione apra la strada alla tutela dei diritti di tutte le atlete»
©KEYSTONE/Jean-Christophe Bott
Mattia Sacchi
10.07.2025 06:00

È attesa per oggi la decisione definitiva della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sul caso Semenya contro Svizzera. La vicenda riguarda l’obbligo per alcune atlete nate con caratteristiche sessuali atipiche - tra cui un livello naturalmente elevato di testosterone - di abbassare farmacologicamente tali valori per poter gareggiare in competizioni femminili. La decisione potrebbe avere ripercussioni sul sistema sportivo internazionale, ma anche sul ruolo dei tribunali arbitrali e sulla protezione dei diritti umani da parte degli Stati che li ospitano.

Caster Semenya, mezzofondista sudafricana due volte campionessa olimpica negli 800 metri, è nata con una variazione delle caratteristiche sessuali, classificata come Difference in Sex Development (DSD). Nel 2018 la federazione internazionale di atletica leggera, World Athletics, ha introdotto un regolamento che impone alle atlete con DSD di assumere farmaci per abbassare i livelli di testosterone, qualora intendano partecipare a gare tra i 400 e i 1600 metri nella categoria femminile. Semenya si è opposta a tale prescrizione e, a partire dal 2019, non ha più potuto partecipare alle competizioni internazionali. La sua contestazione è stata inizialmente esaminata dal Tribunale arbitrale dello sport (TAS), con sede a Losanna, che ha confermato la validità del regolamento. Un successivo ricorso al Tribunale federale svizzero ha avuto lo stesso esito. L’atleta si è quindi rivolta alla CEDU. Nel luglio del 2023, la Corte aveva quindi stabilito che la Svizzera non aveva garantito a Semenya un esame adeguato delle sue denunce da parte delle autorità giudiziarie, rilevando una violazione dei suoi diritti. La decisione era stata impugnata dallo Stato elvetico, che ha chiesto un riesame da parte della Grande Camera, il massimo grado di giudizio della Corte.

Il legame tra la vicenda e la Svizzera riguarda la sede del TAS, che è Losanna. Creato nel 1984 su iniziativa del Comitato olimpico internazionale, il TAS è un tribunale privato che si occupa della risoluzione delle controversie in ambito sportivo. Gli atleti che partecipano a competizioni internazionali accettano di vincolarsi a tale giurisdizione, rinunciando di fatto ad adire tribunali pubblici. Questo elemento ha sollevato interrogativi circa la possibilità, per persone soggette a decisioni del TAS, di accedere a garanzie giudiziarie equivalenti a quelle offerte dai sistemi giuridici statali. La CEDU dovrà quindi valutare se il sistema arbitrale - e la vigilanza esercitata dalle autorità svizzere - rispetti gli standard previsti dalla Convenzione.

Il caso Semenya contro Svizzera solleva due serie di questioni. La prima riguarda il rapporto tra sport e diritti delle persone intersessuali: è legittimo richiedere modifiche ormonali per garantire l’equità nelle competizioni? In che modo tali regolamenti possono incidere sulla privacy e sull’integrità fisica degli atleti? La seconda riguarda l’equilibrio tra autorità pubbliche e organismi privati. Organizzazioni come World Athletics o il TAS esercitano un’influenza significativa sulla vita professionale degli atleti, pur operando fuori dai circuiti giurisdizionali statali. La sentenza della Grande Camera potrebbe fornire indicazioni su come bilanciare autonomia sportiva e tutela dei diritti fondamentali, anche quando a essere coinvolti sono enti privati con sede in Paesi terzi. L’esito del pronunciamento potrebbe incidere sul modo in cui le federazioni sportive internazionali redigono e applicano i propri regolamenti, ma anche sul ruolo di vigilanza che gli Stati devono esercitare sui meccanismi arbitrali che si svolgono nel loro territorio.